3) Pensionamento ed invecchiamento: “un binomio troppo stretto…”

(parte terza)

…riprendendo il ragionamento su pensionamento ed invecchiamento:

Quando le persone entrano nel processo che le porterà in pensione si trovano ad innescare una valutazione complessiva del proprio operato, resa però più difficile da difficoltà aggiuntive (tutti i bilanci sono operazioni difficili, onerose e delicate).

Queste possono determinare un effetto negativo sia sulla sua realizzazione, sia rispetto ad un possibile uso “perverso” dei risultati scaturiti.

L’atmosfera nella quale si costruisce questo bilancio non può non risentire di alcuni elementi di rottura che incombono sul soggetto e sulla sua identità. bilancio-consolidato (2)

La possibile frattura con la realtà si consumerà attraverso: 1. L’allontanamento dal posto di lavoro come luogo costitutivo la quotidianità.
2. Con esso la perdita secca di molti fattori che generavano nel singolo sicurezza e ritualità (pur nella copresenza di elementi acuti di conflitto).
3. La privazione di quella rete sociale che ogni giorno contribuiva a dare significato a sé e permetteva un rispecchiamento fondamentale per l’attivazione dell’equilibrio soggettivo.
4. L’azzeramento della dimensione di negoziazione sociale che si attiva nell’espulsione del singolo rispetto a modalità e tempi del pensionamento determinati da norme e loro applicazioni (queste rendono la persona esclusivamente oggetto del passaggio alla quiescenza).
5. L’indeterminatezza del senso del “dopo”, tutto racchiuso all’interno di posizionamenti che possono assestarsi tra il senso di morte, la sua insostenibilità, e la speranza onnipotente del benessere permanente.

Questa la cornice alla stesura di un bilancio che da una parte possiamo vedere come atto liberamente scelto, ma che per altro verso ci appare come “atto dovuto” ed in qualche modo “automatico” (il che non significa che sia totalmente cosciente, ma non per questo meno vero e comunque generatore di effetti) .

Le considerazioni precedenti ci fanno supporre che non pochi bilanci si potranno rivelare tendenzialmente falsi e comunque caratterizzati da una notevole dose di perversione intrinseca. Sembrerebbe corretto ipotizzare che spesso i soggetti si sentiranno fatalmente a ridosso di una valutazione polare, senza che la stessa corrisponda “realmente” ai successi e ai fallimenti ottenuti. Compare un rischio elevato determinato proprio dalla presenza di condizioni che “spostano” in modo rilevantissimo la lettura dei trascorsi soggettivi.

Quindi nella stessa ricostruzione delle esperienze precedentemente attivate, si possono creare distorsioni, rimozioni, falsificazioni con l’obiettivo inconsapevole di “adeguarsi” ai sentimenti riguardanti il proprio presente, ovvero il proprio futuro. Questa operazione può svilupparsi o in linea con gli stessi impulsi presenti o per “negarli”. Ma il bilancio, costruito con le modalità sopra esposte, diverrà parte fondamentale della stessa modalità con cui le persone si avvicineranno alla pensione.

Passiamo ad analizzare, nel passaggio al pensionamento, le componenti che influenzano in modo determinante la percezione di sé e della propria identità. Nell’ordine avevamo proposto due aspetti di perdita e tre elementi di difficoltà. Da una parte compare la “perdita” del “ruolo” e una alterazione significativa dello “status”, dall’altra registriamo le difficoltà di reiterazione, di socializzazione e di riprogettazione.

RUOLO: Per ruolo(i) intendiamo l’insieme delle attività che una persona svolge nella sua vita attraverso le quali si rappresenta socialmente. Questo determina un’attesa di risposta, di conferma e di validazione. E proprio il “ritorno” degli altri, la risposta collettiva, la retroazione sociale, si configurano come conferme del soggetto costituendosi come elementi basilari del Sé e della propria identità, in ultima analisi del proprio equilibrio.
Se è condivisibile che ogni persona svolga molti ruoli ed anche contemporaneamente, è altrettanto evidente che non tutti i ruoli abbiano la stessa preminenza. Il ruolo collegato al lavoro, all’attività produttiva nella quale il soggetto è inserito, alle funzioni che il singolo ricopre nell’organizzazione, rappresentano un elemento di assoluta strategicità.
La quantità di tempo trascorso rispetto alle ore/giorno vissute, la qualità delle energie impegnate, il livello di interazione sociale agito, il tasso di pensabilità attivato, rendono il ruolo ricoperto nel lavoro un elemento e un valore che non può, una volta abbandonato, non provocare effetti anche devastanti. Infatti: “alcune persone, quando vengono separate dal loro ruolo, per esempio la perdita del lavoro in seguito a licenziamento o pensionamento, vanno incontro a breakdown mentali o fisici, a gravi regressioni e perfino alla morte.”

STATUS: Con questo termine intendiamo non solo la radice latina con cui si indicava la condizione giuridica di un soggetto, ma anche l’uso che nella sociologia e, per derivato, nella psicologia il termine ha assunto: la “posizione sociale” da un lato e il “prestigio” dall’altro. La “posizione sociale”, ovvero il sistema di relazioni a cui sono connessi determinati diritti (spazi) e doveri (vincoli) che hanno una oggettivazione nel compenso, espresso attraverso qualche forma di ricchezza, di reddito, di potere, di autorità. Per “prestigio”, invece, intendiamo “quella valutazione di cui è oggetto una persona sulla base di certe sue caratteristiche che possono derivare o da suoi sforzi personali, come la capacità professionale o da aspetti connessi alla nascita.” Possiamo fare nostra anche la terza definizione di L. Gallino che propone lo “status” come: “complesso pluridimensionale di risorse sociali, di cose positivamente valutate o ambite in una società [….] che sono attribuite o che comunque afferiscono ad una posizione ossia a chi la occupa”. Illuminante lo stimolo di L. Gallino nel suo indicare lo “status” come “aspetto allocativo” di una posizione sociale.

Le tre dimensioni con le quali abbiamo avvicinato il termine “status” propongono con immediatezza le difficoltà che possono scaturire dalla sua scomparsa e dalla perdita di quel “posizionamento sociale” direttamente correlato al ruolo precedentemente agito. Il ruolo riverbera lo splendore dello “status” e lo status decade immediatamente con la perdita del ruolo. Perché si possano creare le condizioni di un nuovo e diverso “status” occorre prendere le distanze dalla condizione precedente evitando lo slittamento automatico nel luogo comune pensione = vecchiaia.

Questo binomio può generare uno “status fantasma” PSICHE-E-LEGGE-5-Chi-è-il-“Pericoloso-Sociale”-QUADRATO-300 che agisce come rinforzo rispetto a “orrori” preesistenti. Infatti: “la nostra cultura produce rappresentazioni negative della vecchiaia (e del cambiamento), che si uniscono alle angosce personali, le alimentano e ne sono alimentate, portando alla rimozione (in parte, non a caso, coatta) del problema”. Il soggetto può tornare all’oggetto per riviverlo e modificarne il senso. Nel caso dell’allontanamento dal luogo di lavoro, proiettivamente percepito come parte consistente di sé, questa possibilità appare fortemente compromessa. L’entità dalla quale si è stati allontanati, come effetto diretto ed immediato del pensionamento, diviene spazio impraticabile, luogo legato ad una memoria tendenzialmente statica, valore che appare intrattabile, troppo carico di storia e di alterazioni sedimentate. La possibilità di attivare dinamiche di reiterazione viene nei fatti inibita dall’assenza del soggetto dai luoghi nel quale lo stesso possa “ricostruire” la propria esperienza e dalla mancanza di quelle relazioni che potrebbero permettere e validare le necessarie riletture. Il passaggio da una vita regolata sul ritmo, su “l’orologio” del lavoro, ad una nuova forma di vita che non ha più al centro l’attività produttiva, rappresenta tendenzialmente la possibilità di trovarsi a stretto contatto con un trauma, con una perdita fortissima.

Questo cambiamento può essere assimilato nei suoi effetti a quello provocato dall’alterazione del fuso orario al termine di un viaggio in aereo, quando ci troviamo a vivere uno stato di malessere che necessita della componente “tempo” per riacquisire il naturale ritmo biologico. Ma nel caso del pensionamento non si tratta di darsi il tempo di riacquisire una situazione precedente, ma di darsi il tempo e gli strumenti per andare in un altro luogo con altre cose, per costruire un equilibrio completamente “diverso”.
Quasi mai la presenza di un’attività (lavorativa) nuova del soggetto è rimandabile alla forza, alla determinazione e all’energia attivata dal singolo nella precedente occupazione. Prima il lavoro si costituiva come luogo dei valori del soggetto, delle sue “abitudini” che, proprio nel lavoro, trovavano un elemento centrale, un asse, la base stessa di un sostegno di sé, di un appoggio gruppale, di una motivazione esistenziale, di una giustificazione sociale. Questo il contesto nel quale si formava, con il contributo centrale degli altri, la dimensione sociale del singolo. Con il pensionamento si viene tendenzialmente espulsi da quel gruppo che costituisce parte essenziale della propria identità, luogo centrale della relazione, il quale fa del soggetto un elemento singolo, irripetibile e, contemporaneamente, un componente.
La dinamica di gruppo sviluppatasi nel mondo del lavoro con le sue specificità istituzionali, relazionali, amicali, va in crisi e si lacera. Il gruppo di riferimento del pensionando, tende ad espellerlo. Egli rappresenta, inconsapevolmente, una mina vagante rispetto al gruppo costituitosi nel “campo” lavorativo e, comunque rispetto alla sua integrità. E’ un’entità “diversa”, potenzialmente disgregatrice in quanto rompe, con la sua “uscita”, il senso di appartenenza degli altri e prefigura un “mondo altro” al quale tutti saranno chiamati ma che, come tale, costituirà la temuta fine del gruppo stesso ed il crollo del suo significato.

Pensioni

Si generano, nei suoi confronti, sentimenti differenziati di forte valenza che oscillano dall’invidia alla compassione. Invidia da una parte per un presunto futuro benessere del pensionando, contrapposto alla durezza del dover ancora soggettivamente soggiacere alla legge del lavoro e alle sue regole coercitive. Compassione dall’altra parte per una persona che, uscendo dal processo produttivo, rischia di non trovarsi più e di perdersi come soggetto e come potenziale. Emozioni di questo secondo tipo possono venire associate alla morte dell’altro. E quindi alla propria.

Anche per questi motivi si determina, intorno a chi va in pensione, apparentemente, molto rumore, ed una chiassosa frenesia ( feste di commiato, il regalo di fine carriera, i discorsi per la cerimonia, ecc.).  Ma anche e soprattutto, un assordante silenzio.

Ma “il silenzio” come sappiamo è complice del male.silentium2

Un’altra dimensione di difficoltà nella quale si trova il futuro pensionato, rispetto alla socializzazione, consiste nel tendenziale rifiuto della sua persona da parte di coloro che pensionati sono già. In quanto non “appartenente”, egli costituisce ricordo doloroso di un tempo passato.

Questa la tenaglia al centro della quale si può venire a trovare il pensionando: rifiutato dai compagni di lavoro attuali e interdetto alla relazione con i suoi futuri omologhi. Inaccettato dai primi, ed ancora inaccettabile per i secondi.

Progettare significa cambiare qualcosa, (accettare di poter cambiare, accettare di dover cambiare e i due elementi potere/dovere ci portano in campi tra loro non poco diversi) ovvero costruire un’ipotesi, sviluppare una strategia, individuare delle alternative, valutare le risorse ed i vincoli. In altri termini per progettare sono necessarie delle condizioni di base di carattere multiplo (psicologico, di equilibrio, di metodo) spesso assenti in contesti caratterizzati da crisi e difficoltà legate al passaggio alla pensione. La ri-progettazione si configura come una progettazione ad alto rischio aggiunto. Rappresenta un passaggio che oggettivamente si fa sempre più complesso dovendosi attivare in un contesto che necessita di una preventiva rivisitazione di quanto precedentemente progettato nei vari risultati ottenuti o falliti. Si rende quindi necessaria una “distanza”, per poter pensare al passato senza che questo neghi il futuro, e una “dissociazione” dal futuro per non rimuovere il presente. La fase di passaggio dal lavoro al pensionamento si rivela come una difficoltà che non aiuta l’attivazione di progetti, ovvero la rivisitazione dei progetti precedenti e la costruzione di nuovi. Per altro, intorno al pensionamento, circolano molte “favole progettuali” in verità spesso banali, stereotipate e scarsamente autentiche. Si passa dal tipico “adesso leggerò tutti i libri che non ho letto” al rituale “andrò a visitare le località che prima non ho potuto visitare” ed ancora “finalmente potrò dedicarmi al mio hobby preferito”. Queste dizioni rivelano un limite strutturale. Infatti la dimensione di progetto, individuabile dietro le parole proposte, appare fortemente condizionata dal rapporto del singolo con il proprio passato. Passato che si mostra non sufficientemente elaborato, e come tale, capace di annebbiare il futuro e renderlo un’appendice di quel tempo trascorso senza che (il futuro) acquisisca la sua specificità e la sua forza.

Proporre una riprogettazione in un contesto di cambiamento così complesso e saturo di contenuti multipli e contraddittori, di emozioni profonde soventemente non riconosciute, di fantasie disarticolate e di segno opposto, significa dover veleggiare in acque tempestose e sconosciute. Per poter riprogettare appare necessario, preventivamente, che le persone trovino lo spazio, le energie e la disponibilità che consenta loro di attivarsi in un utile e necessario lavoro su di sé, quale “movimento”, appunto, preventivo, per poter guardare il futuro con occhi diversi. Non si tratta di negare il passato, evidentemente, ma di costruire un rapporto con il proprio vissuto che superi la dimensione meccanica di “peso trascinato” e assuma, nel superamento dinamico del rischio “rimpianto”, una specificità propria, capace di permettere la costruzione di idee nuove, con un basso coefficiente di replicazione.

Riprogettare significa avventurarsi verso la libertà che diventa, dunque, “la capacità che ciascuno sviluppa dentro di sé, aiutato dagli altri, di rendere coscienti le sorgenti del desiderio e perciò dell’ansietà. [Infatti] la quintessenza della libertà è la presa di coscienza.”
Il giorno fissato, “il grande giorno” giunge repentino e lentissimo. Avviene molto spesso che gli ultimi giorni di permanenza sul luogo di lavoro subiscano una forte scansione numerica. Si sente dire: “ fra un anno sono fuori, 365 giorni ancora e poi mi distacco” oppure “ mancano 125 giorni” e “tra 90 giorni vado in pensione” ma anche “ devo restare 37 giorni e poi via!”. Nei giorni che precedono l’evento si ascoltano riferimenti del tipo “il 30 giugno finisco” o anche “il primo luglio sono in pensione”. Questo parlare/parlarsi del distacco, questo proporre una distanza da inserire tra un oggi forse problematico e un domani assolutamente oscuro, questo diversificarsi dell’identità attuale rispetto a quella che ci denoterà “dopo”, rappresentano, spesso, un tentativo di evidenziare il passaggio agognato da una parte, e dall’altra, una manovra volta ad occultare il cambiamento incombente. L’obiettivo più profondo parrebbe consistere, in definitiva, nell’attivazione di una forma di sublimazione che, agìta attraverso un dichiarato enfatico, utilizza poi queste forme e queste modalità per mascherare l’incertezza, il timore e l’ansia che spesso si cumulano prima del pensionamento. L’ipotesi di una presenza di meccanismi di sublimazione appare rafforzata dalla capacità di trascinamento costituita dai riti di uscita/espulsione. Quei riti, spesso promossi dallo stesso soggetto in uscita per motivi di rispetto della norma o come ultima (e qualificante) riprova di appartenenza, diventano gli strumenti che accompagnano l’individuo al di fuori di quella realtà lavorativa.

Quella che per lungo periodo ha costituito la sua “bussola” personale e sociale, il suo punto di riferimento, la sua “chiave” della realtà. Feste, pranzi, rinfreschi, cocktail, brindisi, discorsi, regali, testimonianze, poesie, la consegna di oggetti che testimoniano il passaggio, sorprese: all’interno di questi momenti si sviluppano rituali che comportano solide promesse rispetto al futuro, commossi rimpianti per il vuoto lasciato nell’organizzazione, sentiti ringraziamenti per l’imperituro impegno profuso, profondi riconoscimenti per la dedizione testimoniata nel tempo unitamente al “rimarrà esempio per tutti noi”. Per altro verso si osservano colleghi che durante le celebrazioni appaiono maggiormente interessati all’individuazione di colui che potrà essere collocato nel posto reso vagante dal pensionando. Non manca altresì, chi manifesta il suo piacere perché “un nemico” si allontana dal territorio (che d’ora in poi non sarà più comune), o chi infine indirizza nei confronti dell’uscente elogi che vogliono significare, invece, denigrazione.

pensione1Dentro la preparazione prima, e durante i citati riti, si sviluppano dinamiche articolate e multiformi. I soggetti coinvolti scambiano un inquietante mix di sentimenti e di emozioni, di proiezioni e di attribuzioni. Questa modalità interattiva costituisce per l’attore principale una progressiva esposizione a tensioni diverse e spesso tra loro polari. Il risultato emotivo del pensionando comporta il dover rispondere all’insieme degli stimoli presenti, con il rischio devastante di ritrovarsi ulteriormente lacerato in una situazione che necessiterebbe, invece, di forza ed integrità per poter “guardare” il mondo dentro di sé ed intorno. A valle dei riti di passaggio e delle varie manifestazioni che rappresentano la condizione precedente, il neo-pensionato tende ad affrontare la nuova fase come se l’adattamento alla mutata situazione avvenisse in modo automatico. Tutto questo, però, in alcuni casi, viene vissuto in una condizione generale di tendenziale disturbo, causato da una estraneità provocata dalla rottura degli equilibri quotidiani che erano precedentemente scanditi dal tempo di lavoro e dai ritmi che lo stesso determinava.

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