La propaganda come strumento di politica estera: il caso della Russia di Putin…

…approfondimento dal dossier:  “La guerra globale della disinformazione

L’uso della propaganda come strumento di politica estera è noto da secoli. Nell’epoca contemporanea è servito in particolare a giustificare guerre e interventi militari. Nel caso della Russia – che nell’attuale fase di restaurazione politica interna ha visto la ripresa del controllo dello Stato da parte di una classe politica già in possesso per un settantennio delle leve del potere e una consistente continuità amministrativa – questo strumento, rivitalizzato da un quindicennio, è stato sottovalutato nelle analisi dei political scientists occidentali. È un paradosso, se si pensa a quante e quali tecniche siano state sviluppate nel periodo sovietico in tema di disinformazione, propaganda i agitacija, operazioni coperte e disorientanti, alterazione della storia, discredito nei confronti di nemici, costruzione di falsi dossier, e sulle quali si sono formati gli attuali detentori del potere, eredi di concrete istituzioni preposte alla propaganda e che vi fanno ricorso in modo massiccio anche nella conduzione contemporanea della politica estera.
Le tecniche di Information Warfare (IW) sono state perfezionate e si sono moltiplicate dai tempi della creazione di una fake façade della realtà sovietica. I nuovi media hanno fornito formidabili strumenti per la rinata potenza politico-militare, che non agisce solo per consolidare un proprio soft power, ma utilizza i metodi della “strategia indiretta” del passato, trasformata in agitazione politica e ricerca di supporter riuniti in network per l’influenza e l’azione politica in Occidente e nelle Repubbliche ex sovietiche indipendenti. Gli strumenti vanno dall’uso di media tradizionali alla creazione di canali televisivi all’estero (media-offshoring), a quello di internet con interi uffici dedicati alla disinformazione e all’orientamento dell’opinione pubblica e dei governi, di troll factories che agiscono con centinaia di addetti nei social media, nei blog e nei forum, diffondendo commenti pilotati, false informazioni e utilizzando le tecniche più sofisticate della guerra psicologica. Non sono state abbandonate le tradizionali pubblicazioni disorientanti, basate su documenti artefatti, presentati parzialmente o sulla de-contestualizzazione storica. In alcuni casi tali pubblicazioni sono apparse solo all’estero, così come film e documentari prodotti in grande quantità dal 2005 e finalizzati a influenzare l’opinione pubblica internazionale. Le tecniche sono ancora quelle studiate in passato, in campo politico-militare, descritte ad esempio dall’analista americano T. L. Thomas: il discredito, l’inganno degli oppositori e il disorientamento dell’opinione pubblica (si pensi alla martellante retorica dei “fascisti” in Ucraina o nei Paesi Baltici). Si servono poi della “distrazione” (creazione di minacce immaginarie per fornire obiettivi inconsistenti e indurre la paralisi), dell’invio ai nemici di una grande quantità di informazioni contraddittorie, dell’esaurimento delle forze, inducendo a impiegarle per obiettivi inutili o fittizi, dell’inganno, provocando la concentrazione dell’attenzione e delle forze su temi e obiettivi irrilevanti, del divide et impera, inducendo fratture nel campo avverso (UE, NATO, partiti politici o coalizioni, anche mediante finanziamenti selettivi per influenzare elezioni e durante cicli elettorali), della deterrenza, creando l’impressione di un’insormontabile superiorità, della provocazione, al fine di indurre azioni a sé favorevoli, della suggestione, offrendo informazioni che colpiscano la legalità, moralità, ideologia, i valori del nemico (ad es. con una “guerra culturale” fra “valori tradizionali cristiani” e “liberalismo” occidentale, a volte utilizzando contraddittoriamente la storyline dell’“età d’oro” del regime sovietico). Si fa poi uso del discredito di interi paesi o classi politiche agli occhi della popolazione o dell’opinione pubblica internazionale mediante tesi complottiste. Gli esempi di applicazione recenti sono innumerevoli. La disinformazione serve a preparare l’opinione pubblica prima di operazioni militari, come si è visto nella campagna crimeana o nel Donbas. Tutti questi metodi fanno parte della strategia (dottrina Gerasimov) del “conflitto non-lineare” (o hybrid warfare), nel quale sopravvivono i concetti militari dell’era sovietica: denial (blocco di informazioni utilizzabili dall’avversario), deception (sforzi per ingannare), distraction e disinformation (Volkov), considerati come strumenti non-militari di importanza superiore rispetto a quelli militari tradizionali.
Le finalità perseguite da un’autentica geopolitics of information (A. Grigas, G. Csurgai) sono manifeste e/o latenti. Fra le prime vi è il dichiarato contrasto al soft power occidentale, visto come “guerra non lineare” e alle sue “mire di destabilizzazione dello Stato russo” e del suo “cortile di casa” (near abroad) mediante “rivoluzioni colorate”. Fra le seconde vi è la creazione, mediante information tools e campagne comunicative, di una fake reality basata sulla manipolazione del passato, che consenta il perseguimento e la legittimazione di obiettivi specifici di politica estera, quali la riacquisizione dell’influenza nel near abroad, l’influenza sulle istituzioni straniere, nazionali e sovranazionali, logorandone l’autorità, la credibilità e la loro rete di alleanze e indebolendo l’efficacia del loro decision-making.
L’uso della propaganda a fini di politica estera non è certo una prerogativa della Russia di Putin. Tuttavia, gli strumenti usati e i metodi per conseguire precise finalità di politica estera ne fanno un uso fra i più efficaci al mondo. La sua specificità è che non può essere ridotta al soft power, dato che risponde a frequenti strategie offensive, con metodi consolidati e di antica origine, che possono causare o esacerbare conflitti, contrasti interetnici e regionali, divisioni fra istituzioni e raggruppamenti politici, ma anche giustificare ex post violenze, guerre o interventi militari.

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