Africa: migranti, i perché di una fuga inarrestabile…

Si chiamava Amal Hussein, aveva sette anni ed era diventata il simbolo della guerra in Yemen. La sua immagine, che la ritraeva fortemente denutrita, era stata pubblicata dal New York Times, in un reportage per raccontare il dramma della fame nei campi profughi. Amal è morta.

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Un Continente dalle straordinarie ricchezze e potenzialità, depredato da multinazionali (con sedi centrali negli Usa e in diverse capitali europee) che foraggiano, mantenendoli in vita, regimi che fanno del binomio corruzione-repressione, il loro marchio di fabbrica. Ormai la cronaca quotidiana racconta del boom dell’immigrazione dai paesi africani verso l’Europa e principalmente verso le coste italiane essendo il nostro paese un vero e proprio molo nel Mediterraneo che avvicina i due continenti… il Governo italiano fa la voce grossa e cerca di contenere il problema mentre sorda rimane l’Europa… Raccogliendo l’invito di un Premio Nobel sudafricano Desmond Tutu, simbolo, con Nelson Mandela, della lotta al regime dell’apartheid… i cittadini italiani e europei, e i nostri governanti, non dovrebbero chiedersi dove vogliano andare questa marea di esseri umani che bussano alle nostre porte sempre più spesso sbarrate, ma almeno una volta chiedersi da cosa fuggono, e perché, e per responsabilità di chi, i loro Paesi si siano trasformati in un inferno in terra. Rispondere a questo ‘invito di Desmond Tutu significa incamminarsi su di un sentiero impervio, fatto di verità amarissime, di responsabilità acclarate; significa mettere in evidenza l’inconsistenza europea, il neocolonialismo cinese, la penetrazione russa e lo scontro con il sovranismo Usa, per il quale “America first” in Africa vuol dire sostenere i propri interessi economici anche se ciò comporta creare le condizioni per la fuga di milioni di disperati. I migranti che vengono qua provengono da diverse zone del continente africano: la maggior parte provengono da Sud-Ovest, dalla rotta del Sahel (fascia di territorio africano che comprende Gambia, Senegal, la parte sud della Mauritania, il centro del Mali, Burkina Faso, la parte sud dell’Algeria e del Niger, la parte nord della Nigeria e del Camerun, la parte centrale del Ciad, il sud del Sudan, il nord del Sud Sudan e l’Eritrea), ma l’80% di questi migranti resta prigioniero in territorio libico… Da Sud-Est, invece, arrivano i flussi provenienti principalmente dal Corno d’Africa, Somalia ed Eritrea, che vengono smistati poi verso la costa del paese e poi verso l’Italia e il continente europeo. Da Est, invece, arrivano i flussi provenienti dall’Egitto, il secondo punto di snodo dei flussi migratori verso l’Italia. Uno dei più grandi “produttori” di rifugiati al mondo è il Sud Sudan: questo paese ha distribuito fuggiaschi in tutti i paesi vicini: in Etiopia, in Kenya, soprattutto nel già martoriato Congo e anche nel vecchio nemico del nord, il Sudan di Omar al-Bashir, ricercato dalla Corte Penale Internazionale per crimini di guerra, In totale, tra quelli in Uganda e quelli negli altri paesi il Sud Sudan ha prodotto abbondantemente più di tre milioni di profughi. E ora, una parte considerevole di essi cerca di restare in vita sfidando la morte sulle rotte della disperazione. E per frenare questa fuga di massa, dando una speranza concreta a milioni di donne e uomini, non basta il ‘Partnership Framework on Migration’, il pacchetto di accordi con cinque paesi prioritari (Niger, Mali, Nigeria, Senegal ed Etiopia) per affrontare le migrazioni irregolari e combattere i network dei trafficanti, messo a punto un anno fa dall’Unione Europea. Poca cosa, come lo sono i 3 miliardi che l’Europa ha promesso di destinare a un “piano-Africa” per i migranti, soprattutto se rapportata a un altro dato: “Cinquecento miliardi di dollari sono depositati in paradisi fiscali, mentre i governi perdono 14 miliardi di tasse l’anno: quanto basta a salvare la vita di 4 milioni di bambini africani e 200.000 madri”. A denunciarlo, in un rapporto del luglio 2016, è l’organizzazione umanitaria Oxfam, una delle più importanti confederazioni internazionali nel mondo specializzata in aiuto umanitario e progetti di sviluppo, composta da 17 organizzazioni di Paesi diversi che collaborano con quasi 3.000 partner locali in oltre 90 paesi per individuare soluzioni durature alla povertà e all’ingiustizia. Secondo Winnie Byanyima, direttrice esecutiva di Oxfam International, “i paradisi fiscali, cui fanno ricorso privati e aziende, procurano danni enormi alle comunità più povere del mondo. In Africa un bambino su 12 muore prima dei 5 anni di età, 34 milioni non vanno a scuola e 40 milioni di giovani sono senza lavoro”. È un saccheggio che deve finire, perché sottrae risorse essenziali per istruzione, sanità e lavoro. Una situazione che, secondo l’ong con sede in Gran Bretagna, “sta ampliando sempre di più la forbice tra ricchi e poveri in Africa”. Dire immigrazione significa accendere un faro sulla disuguale distribuzione della ricchezza. In effetti, ben il 95% delle strutture produttive è posseduto da un sesto della popolazione mondiale. Con un reddito pro capite di circa venti volte inferiore a quello dell’Ue, l’Africa subsahariana dispone solo del 2,1% della ricchezza mondiale. Resta ignorata, peraltro, la crisi alimentare gravissima che sta colpendo diversi paesi Africani, in particolare il Sud Sudan, il bacino del Lago Ciad e il Corno d’Africa, tra le maggiori zone di provenienza di profughi e rifugiati nel nostro paese. Qui, a causa degli effetti combinati di una grave siccità e dei conflitti che insanguinano alcuni paesi (Sud Sudan e Somalia in particolare), quasi 30 milioni di persone sono sull’orlo della fame. Hanno perso le loro fonti di sostentamento principali, bestiame ed agricoltura, perché non c’erano più acqua e cibo sufficienti, hanno attraversato a piedi intere regioni aride sfuggendo da Boko Haram o Al Shebaab o semplicemente cercando acqua per le proprie mandrie. Sono affamati, disidratati e senza prospettive, i bambini muoiono di diarrea sono 2 milioni quelli colpiti dalla fame, che rischiano di morire se non si interviene immediatamente. Ed è impressionante notare come vi sia una stretta correlazione tra diversi dei Paesi “saccheggiati” e quelli da cui provengono la maggioranza dei migranti sbarcati in questi giorni in Italia: Congo, Nigeria, Ghana, Mali, Gambia, Niger, Guinea, Sudan, Senegal, Bangladesh, Camerun Dal Corno d’Africa fuggono eritrei, etiopi, somali e sudanesi. Il caso degli eritrei è forse quello più eclatante. Secondo l’Unhcr ogni mese tremila eritrei lasciano il proprio paese. Fuggono da una dittatura spietata, la stessa Onu in un recente (durissimo) rapporto, definisce l’Eritrea come “la Corea del Nord dell’Africa”. A scappare sono soprattutto ragazzi e ragazze che vogliono evitare un servizio militare “a tempo indeterminato” (non è definito un periodo certo per la coscrizione obbligatoria) e molto violento. Fuggono anche da un paese fortemente impoverito da anni di cattiva gestione e che ha rapporti molto difficili con tutte le nazioni confinanti. Una nazione nella quale l’opposizione politica è duramente repressa e non esiste una stampa libera e indipendente. Fuggono anche dall’Africa occidentale. Soprattutto dalla Nigeria e dal Mali. La Nigeria deve far fronte alla minaccia fondamentalista del gruppo jihadista Boko Haram, ma deve anche fare i conti con forti scompensi sociali (l’80% della popolazione vive in condizioni di povertà nonostante il paese sia ricchissimo). Il Mali, invece, sta uscendo da una guerra civile che ha spaccato in due la nazione: il Sud abitato da popolazioni di origini nere e africane e il Nord dove vivono i tuareg e gli arabi. Quanto alla Libia, stando ai dati forniti di recente dall’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr), sono circa 300mila i libici sfollati dai conflitti in corso. Nel complesso, più di 1,3 milioni di persone – compresi gli sfollati interni, nonché i libici vulnerabili, le comunità ospitanti, i migranti, i rifugiati e i richiedenti asilo – hanno urgente bisogno di assistenza umanitaria. “Centinaia di migliaia di persone in Libia sono state colpite da problemi di ordine pubblico, l’assistenza è insufficiente, mancano medicinali essenziali, cibo, acqua potabile, rifugio e istruzione”, rimarca il report dell’Unhcr. “Sono rimasto letteralmente scioccato – ha detto Filippo Grandi – dalle condizioni in cui sono detenuti migranti e rifugiati. Bambini, donne e uomini che hanno già sofferto così tanto non dovrebbero essere costretti a sopportare tali difficoltà”, ha dichiarato Filippo Grandi, Alto commissario Onu per i rifugiati, al termine della sua visita a Tripoli, lo scorso maggio, incontrando rifugiati e migranti in alcuni dei principali centri di detenzione libici. In ultimo, il “tariffario della vergogna” imposto dai trafficanti di esseri umani: 5000 dollari per andare dal deserto alle coste africane e 1500 per la traversata in mare: un “commercio” che costa migliaia di vite, e che vale miliardi…

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