Ape: i nodi da sciogliere per evitare il flop degli anticipi

Non c’è dubbio che il governo dovrà lavorare parecchio per mettere a fuoco le proposte per la flessibilità in uscita dal lavoro. Bisogna assolutameqqqqqqqqnte evitare che la montagna partorisca il topolino.
Il ventaglio di strumenti tecnici che si sono fino ad ora studiati puntano ancora una volta a conciliare la possibilità di andare in pensione prima con il minimo costo per lo Stato (6-700 milioni l’anno).
Per questo il modello che dovrebbe scattare dal 2017 e che ruota intorno all’Ape, l’Anticipo di pensione, sotto forma di prestito al lavoratore attraverso l’Inps, ma dove i soldi verrebbero in realtà dalle banche assistite da una polizza assicurativa. Il lavoratore che scegliesse l’Ape dovrebbe poi restituire il prestito in 20 anni con trattenute mensili sulla pensione regolare, quella cioè che scatta al raggiungimento dell’età di vecchiaia (oggi 66 anni e 7 mesi, con 20 anni di contributi). In caso di morte prima di aver completato il rimborso, la banca sarebbe coperta dalla polizza e la rata non si scaricherebbe sulla pensione di reversibilità.
In pratica, l’Ape va configurandosi come una sorta di mutuo sulla pensione, ma senza garanzie reali (l’ipoteca sulla casa), un po’ sul modello della cessione del quinto: strumento finanziario cui ricorrono lavoratori e pensionati per ottenere dalle banche un prestito che ripagano poi con rate trattenute sulla retribuzione o sulla pensione. pensioni
Un fenomeno in crescita, che vale ormai 5 miliardi l’anno. Tanto che il 16 aprile la Banca d’Italia ha voluto incontrare i principali operatori, diffondendo poi un comunicato nel quale si sottolinea: «E stata condivisa la necessità di accrescere la tutela della clientela, con una struttura dei costi chiara e comprensibile».
Basta andare sul sito del-l’Inps è si può trovare una scheda su come funziona la cessione del quinto per i pensionati. La rata di rimborso non può eccedere il 2096 dell’assegno e per questo si chiama cessione del quinto. Per esempio, si legge in una tabella, su una pensione netta di 900 euro al mese, la rata non può superare i 180.
Il governo, con l’Ape, punta a ridurre l’impatto della rata attraverso una detrazione che risulti più vantaggiosa al diminuire del reddito, in modo da favorire al massimo chi prende poco.
Per i redditi alti, invece, la rata potrebbe tagliare la pensione anche del 15% e oltre.
Ora su tutto questo discorso vale la pena di fare alcune considerazioni. Secondo i dati Inps, l’importo medio delle pensioni di vecchiaia liquidate nel 2015 (156.494) è stato di 630 euro al mese.
Si va dai 1.063 euro in media per i lavoratori dipendenti ai 535 euro dei coltivatori diretti, passando per i 758 euro degli artigiani e gli 818 euro dei commercianti.
Si tratta di valori ben distanti dall’importo delle pensioni di anzianità (quelle che, dopo la Fornero, si possono prendere oggi dopo 42 anni e io mesi di lavoro; 41 anni e 10 mesi per le donne) che nel 2015 sono state liquidate (154.718 in tutto) per un importo medio di 1.867 euro al mese.
L’Ape però interessa chi deve andare in pensione di vecchiaia, che potrà lasciare il lavoro fino a tre anni prima dei 66,7 anni d’età ora richiesti. Ma quale lavoratore, prendendo un assegno nella gran parte dei casi tra 800 e mille euro, potrà sopportare un taglio dello stesso per 20 anni, sia pure minimo?
Probabilmente solo chi è in condizioni di estremo bisogno, perché ha perso il lavoro e non riesce a trovarne un altro oppure, al contrario, chi ha una situazione familiare tale che può permettersi di prendere una pensione più bassa ma nel frattempo dedicarsi ad altro (il negozio del familiare, un lavoro in nero).
Insomma, per evitare il flop di queste proposte… il governo dovrà mettere in campo detrazioni che abbattano sul serio il taglio dell’assegno conseguente alla rata di rimborso e dovrà farsi carico del costo dell’assicurazione. È evidente, infatti, che il lavoratore metterà a confronto l’Ape con altre possibilità, a partire dal Tfr.
Prendiamo una pensione lorda da 15 mila euro all’anno. Chiedere l’Ape per lasciare, per esempio, il lavoro due anni prima, significherebbe un prestito da 30 mila euro. Ma un lavoratore con una trentina d’anni di servizio potrebbe domandarsi se non gli convenga prendersi il Tfr e utilizzare quello e poi ricevere una pensione piena, anziché chiedere il prestito e avere poi una pensione penalizzata per 20 anni, in pratica per sempre. basta tasse
Non a caso, lo stesso governo accanto all’Ape sta studiando la Rita, Rendita integrativa temporanea anticipata, cioè la possibilità che il lavoratore ritiri in tutto o in parte il capitale accumulato nel fondo pensione, così da ridurre o annullare la necessità di ricorrere al prestito.
Oppure facciamo un altro caso: un lavoratore potrebbe chiedersi se non gli convenga essere licenziato a due anni dalla pensione di vecchiaia e prendere l’indennità di disoccupazione, inizialmente pari al 75% della retribuzione (che è sempre maggiore della pensione) piuttosto che fare «il mutuo sulla pensione».
Sono alcuni dei dubbi sui quali si stanno arrovellando i protagonisti del confronto fra governo e sindacati.

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Commenti

  1. Car Industry  Aprile 25, 2017

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    rispondere

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