Buongiorno Italia: «il Bene (non il benessere) principio della libertà»

Viviamo in un’epoca in cui il bene (…quello comune) viene confuso con il benessere. Non è importante agire bene – per gli altri, prima che per sé. Quel che conta è stare bene, pensare all’appagamento dei mille nostri desideri che strepitano per essere soddisfatti, concentrarsi sulla cura solerte del corpo, godere del possesso immediato e senza limiti, del consumo narcotizzante, di quel che ci piace lì per lì.

Tutta la pubblicità promette in coro «benessere»: hotel, centri medici e termali, palestre e istituti estetici. Per non parlare dei grandi magazzini che ogni giorno smerciano strumenti per raggiungere una non meglio identificata sensazione di agio psicofisico, uno stato ineffabile di armonia, o forse meglio uno status sociale che dovrebbe ricalcare lo stile di vita degli eroi mediatici di questo tempo. Perfino la politica, svuotata dei suoi valori più alti, esercita potere provando ad amministrare benessere e lascia che questo sia il criterio per misurare i risultati ottenuti. Basti pensare all’idolatria del Pil e a tutte le statistiche con cui si immagina di misurare il benessere che – s’intende – deve aumentare continuamente. Così, dopo la fine delle ideologie (ma quando mai, proprio la fine delle ideologie, si è rivelata come la più grande operazione ideologica nel negare le istanze di emancipazione economica e sociale di gran parte dei Paesi e dei popoli non riconducibili agli schieramenti ed equilibri storici, frutto dei conflitti del secolo scorso…) è andata così fiorendo ovunque “l’ideologia del confort” con i suoi effetti devastanti e non ancora de tutto ben chiari.

La globalizzazione non è che il realizzarsi di questa ideologia. Nel mondo occidentale, e in quello occidentalizzato, si è andato costruendo un sistema di confort, una grande sfera chiusa all’interno della quale vivono, volutamente ignari di quel che accade fuori, i cittadini dei paesi capitalistici vecchi e nuovi. Oltre i confini di questa sfera ci sono i suburbi planetari dello sconforto, lo sterminato hinterland della desolazione. Si deve dire a chiare lettere che la globalizzazione non è stata per nulla un processo inclusivo. Piuttosto si è trattato di erigere un sistema del confort a cui ha accesso un quarto dell’umanità e che a tutti gli altri è precluso. Ma l’ideologia del confort ha anche prodotto un nuovo tipo di essere umano: “lo scontento soddisfatto”. È il cittadino della vecchia Europa, soddisfatto di vivere nella sfera chiusa del confort, ma pur sempre scontento, e in qualche modo anche risentito, per non disporre proprio di tutto quel confort pubblicizzato dai media. Soddisfatti insoddisfatti, contenti scontenti: questa è la nostra condizione paradossale in cui ci esercitiamo a comparare il meno e il più, a misurare comodità, agiatezza, prosperità che riteniamo ci debbano sempre e comunque spettare. L’ossessione del benessere e l’ideologia del confort hanno corroso il vocabolario dell’etica che è la risorsa per immaginare il futuro. Parole come «bene», «sacrificio», «compassione» – per fare solo qualche esempio – sembrano lontanissime dall’esistenza attuale e perciò suscitano raccapriccio o vengono pubblicamente irrise e denigrate. Per invitare alla beneficenza si giunge a dire che quel «far bene» potrebbe, in fondo, avere vantaggi per sé, potrebbe aiutare a sentirsi meglio, essere, insomma, un mezzo ulteriore del confort.
Nell’età in cui doveri e obblighi sono stati depennati, la ricerca della vita buona si riduce alla regola di non fare mai più del necessario, si compendia nella norma che impone lo scambio e sconsiglia ciò che va oltre, il dono, la generosità, la gratuità. Ma il Bene non è quel piccolo, meschino bene del mio ben-essere, del mio confort. Non ha nulla a che vedere con la soddisfazione, con l’appagamento. Tutto ciò non è che una fuorviante imitazione del bene. L’io non è solo cura di sé; si costituisce facendosi carico dell’altro, si realizza nella responsabilità che prende su di sé. Il bene sta in questa torsione verso l’altro, nell’agire che abbandona ogni per me, ogni interesse e tornaconto. Nessuno è buono volontariamente. Il Bene non è una libera scelta; al contrario è il principio della mia libertà. Il mio sé non esisterebbe neppure, se non agissi dando concretezza al Bene che non potrebbe altrimenti farsi presente e finirebbe per restare nascosto. Nell’età in cui doveri e obblighi sono stati depennati, la ricerca della vita buona spesso si riduce alla regola di non fare mai più del necessario. E non contempla la gratuità…

“E’ sempre tempo di Coaching!” 

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