Come uscire dalla crisi? Bisogna vivere nella crisi e comunque pensare positivo…

(prima parte)

Crisi, Crescita… Job Act …il lavoro.

Ormai sono anni, che i TG e i giornali, quotidianamente disegnano gli scenari che stanno dietro alla parola Crisi.

Il risultato? Aldilà dei dati economici reali, che sicuramente non sono al meglio e nonostante le ‘iniezioni di ottimismo’ di chi ci governa, bisogna prendere atto che la cosa peggiore che si è generata è una crisi ben più pesante nella testa di tutti noi. E bombardati dai tanti problemi quotidiani …che ci rendono la vita cupa e negativa, forse abbiamo creato una crisi più grande proprio nel nostro animo, che ci ha portati a essere demotivati, pessimisti, vulnerabili, insicuri, immobili.

Con uno stato emotivo così, è chiaro che non si spende, non ci si muove, non si fa girare l’economia, e il problema …peggiora.

La domanda quindi è: di questa benedetta crisi, quanto è la parte reale e quanto la parte generata da tutti noi e dal nostro cambiamento emotivo dettato da questi stati negativi? Come dire…era partita che era un palla di neve, e scendendo a valle è diventata una valanga. Perché dico ciò?

Se ci guardiamo attorno, di persone che lavorano ce ne sono tante, di aziende che sono rimaste aperte e che fatturano bene altrettanto, e diciamolo chiaramente …sono entrambe ben più numerose delle persone e delle aziende che hanno avuto problemi! E quest’estate, tutto sommato, in tanti siamo andati in vacanza.

Quindi se guardiamo bene in modo ..con più ottimismo… quello che è cambiato, sta cambiando e ancora cambierà… tutto passerà! E così si conferma che, la crisi è finita!

Si, sicuramente, i consumi sono calati e si sono persi posti di lavoro, ma come ben sappiamo, è dalla notte dei tempi che l’economia segue delle leggi per cui prima sale, poi scende, poi risale, e così via.

Quindi in realtà, non c’è molto di cui stupirsi. Presto ricominceremo a crescere… il Pil migliora, quest’anno aumenterà di uno 0,1 se non di uno 0,2 e forse 0,3.

E’ proprio così?!

No, non lo è!!!

Penso che: “senza forse e senza ma” sia giunto il tempo in cui  bisogna definitivamente dare l’addio al ‘pensiero’ di un unico e stabile lavoro fatto di 8 ore per 5 giorni alla settimana per 40 anni della propria vita.

No non sto dicendo una banalità… e meno che meno una ovvietà …perché sono anni che ormai non è già più così… tant’è che le scelte “politiche” fatte per governare il lavoro in questo momento economico “particolare” del nostro paese (job act) ripropongono comunque un ‘modello’ di tutele in prospettiva “crescenti” ma che guardano ad una stabilità del lavoro …simile e alla fine coincidente con quel modello che già oggi …non c’è già più. E le ultime statistiche e i vari “rapporti” sull’ andamento della società nazionale… ne registrano in pieno tutta la contraddittorietà… infatti al medesimo tempo diminuisce si, la disoccupazione, ma, aumenta l’inoccupazione… e non l’occupazione… che continua a registrare la mancanza di centinaia di migliaia di posti di lavoro rispetto all’inizio della crisi. Mentre la disoccupazione giovanile resta ad una percentuale del 40% e rischia di ancora aumentare…

Allora?  Per l’appunto: “…Senza se e senza ma” occorre dare l’addio ad un mercato del lavoro del passato e necessariamente anche ad un concetto di società che guarda ad una “crescita continua”. Ad un modello dove sia possibile lavorare e basta, produrre e basta, crescere e basta, a qualunque costo. E’ un modo di vivere che non paga più, perché il ‘sistema’ non è più in grado di garantire una crescita professionale con stipendio adeguato né una pensione futura ai cittadini.

La soluzione? “Scrollarsi” di dosso …questa idea che possa essere ancora il modo di vivere del presente e ancor più del futuro.

In che fase della crisi siamo?

“Innanzitutto diciamoci con chiarezza che:  questa è una crisi definitiva e non congiunturale. E che comunque la nostra è una crisi minima, ovvero che pur nella crisi noi continuiamo ad “avere molto” e che la vera crisi è quella che vivono i Paesi del terzo Mondo.

Ormai tutti dobbiamo comprendere che cosa sta accadendo!

La promessa che tutti avremmo avuto una bella vita in cambio dell’adesione totale allo schema del lavoro sempre e comunque non ha funzionato e non funzionerà domani o dopodomani. In altre parole: oggi, se rinunci a fare il violinista per essere ingegnere, non trovi comunque lavoro. Se mi chiedi di lavorare 50 anni, il sistema deve darmi la possibilità di crescita professionale e di pensione alla fine. Invece non è così. Il sistema non è in grado di drenare tutte le risorse lavorative.

Acquisire questa consapevolezza e cambiare  prospettiva è ormai una necessità. Ma non c’è, come avveniva in passato, nessun intellettuale ‘illuminato’ in grado di proporre un’alternativa. Ne meno che meno un Governo in grado da solo di indicare un percorso ‘collettivo’ per tornare alla precedente condizione”.

Alla politica che cosa bisogna dire?

“Caro Renzi and company” che nonostante i “roboanti annunci” per dimostrare di essere il “nuovo che cambia” anche loro… non pensano affatto alla “felicità” dei cittadini. Ma solo al fatto che siano dei consumatori (con quali risorse …non si sa bene). Sono tutti quanti sulla tremolante “biscaglina” e ci vogliono far salire, non importa se la nave sta affondando.

Ricordate la nave ‘Concordia’ …è una perfetta metafora del nostro Paese. I passeggeri si sono dati il comando di abbandono la nave da soli, c’è stata una specie di “ammutinamento”. E purtroppo alcuni hanno perso la vita perché ormai la nave era troppo inclinata. Qui tutti aspettiamo un comando che non arriva oppure, se arriva, è sbagliato.

Noi siamo in ritardo. Perché le dichiarazioni del Governo, di Confindustria, o di e alla fine anche quelle della Cgil: tutti ci dicono che serve lavorare di più, in più, per più tempo.

Invece, bisogna lavorare tutti! E meno… facendo cose nuove e diverse.

Vivendo anche in un modo diverso. E bisogna farlo in fretta, perché ormai non c’è più tempo. Continuare a guardare ad una “promessa sbagliata” non ci porta da nessuna parte.

La crisi ha portato tante persone a perdere il lavoro. I Giovani non riescono nemmeno a trovare un lavoro che non piace… comunque un lavoro e siccome un altro posto non si trova, anche se non è il lavoro che si desidera… si sarebbe lavorato e vissuto comunque. Ma, la verità è che quando si vuole trovare un nuovo lavoro e lo si cerca con impegno e motivazione, si trova.

Se si hanno le capacità e la professionalità, un posto migliore si ottiene. Crisi o non crisi, come si diceva prima di aziende e realtà che lavorano ce ne sono, e non poche.

E’ un problema di focus: se si punta l’azimut per  vedere la crisi, si contano solo  le aziende che chiudono e non si vedono quelle che invece funzionano. Un problema tanto semplice quanto cruciale. E’ il caso di dire che …chi si accontenta, per fortuna o purtroppo, lo fa solo per una questione di pigrizia o di abitudine.

Occorre reagire, se gli altri tentano di scoraggiarci dobbiamo ricordarci che quelle sono le loro paure, non le nostre, perciò nessuno ci obbliga ad appiccicarcele addosso.

Poi c’è la famiglia. Chiaramente in tanti siamo cresciuti in famiglie dove si insegna che la sicurezza è la prima cosa nella vita: “Studia, portati a casa un titolo, trova un lavoro sicuro e tienitelo stretto”. E così cresce il senso di frustrazione che deriva da una vita preimpostata e precucinata come un piatto pronto.

“Chi si accontenta gode” è un proverbio adatto al post guerra, non ai giorni nostri, dove di opportunità pur nelle difficoltà ancora ce ne sono tante. Chi si accontenta, all’inizio sembra che goda, poi una mattina si alza e manda tutto a quel paese perché non ce la fa più. Perché a furia di abbassare l’asticella dei desideri e a furia di imporsi limiti creati da altri, il lato istintivo dà di matto. Oppure soccombe e ci si riduce a una vita eccitante e soddisfacente quanto quella di una pianta grassa.

Poi ovviamente c’è la questione “ho un mutuo, ho dei figli”. Certamente, l’idea non è mollare tutto e fregarsene, le scelte vanno ponderate e calcolate, specie se ci sono altre persone coinvolte. Ma questo non significa rimanere immobili, bensì trovare la strada migliore per fare il cambiamento che vogliamo.

Magari significherà metterci del tempo in più o fare qualche sforzo aggiuntivo, ma una volta raggiunto l’obiettivo, saremo talmente contenti che tutto questo passerà in secondo piano. E poi, vogliamo considerare la lezione che diamo ai nostri figli? Insegnare loro – con l’esempio vivente – che la vita è una: e bisogna realizzare i nostri progetti, fare della nostra esistenza il capolavoro che meritiamo, non vivere da piante grasse. Perché loro faranno lo stesso quando saranno grandi.

Genitori impauriti e senza spinta non crescono figli coraggiosi e motivati. A meno che questi figli non abbiano la fortuna di incontrare dei mentori che gli facciano prendere una nuova direzione. Però alla fine dei conti, è sempre l’esempio del genitore quello più forte e importante. E allora, smettiamola di dire “soffriamo in silenzio pur di portare uno stipendio a casa” “eh ma c’è la crisi” “non ci riesco, non si può fare” “purtroppo siamo in Italia”.

Queste sono scuse.

Perché quello che otteniamo nella vita non è altro che lo specchio di quello che pensiamo. Se pensiamo nero, otteniamo scenari bui.

Vivere di speranze e lamenti non porta risultati. Viviamo di azioni, di quello che possiamo fare ogni giorno per costruire la vita che vogliamo.

E’ sempre tempo di Coaching!

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