Coronavirus: proroga ormai certa per altri 15 giorni. Per allentare i divieti serve il «contagio uno». Intanto cresce ulteriormente il disagio economico e sociale nel Paese…

Non resterà che confermare la chiusura totale e i divieti di spostamento per minimo altre due settimane, valutando alcune minime deroghe per le aziende: è questa l’ipotesi alla quale lavora il Governo in vista del 3 aprile quando sarà firmato il nuovo decreto. Una scelta obbligata per tentare di fermare il contagio da coronavirus. Nella speranza che maturi finalmente nel Paese la consapevolezza che per tornare a una vita normale potrebbero essere necessarie ancora altre settimane, forse qualche mese. Sì, per tornare gradualmente alla normalità ci vorrà ancora del tempo. E proprio il tempo, il quando, è l’oggetto del dibattito non solo fra i cittadini chiusi in casa da giorni e desiderosi di conoscere cosa ne sarà del loro futuro. Ma del mondo politico ed economico nella sua globalità. E’ ormai chiaro ai più, che sarà quindi una ripresa scaglionata quella che segnerà la fine dell’emergenza da coronavirus. E sarà lenta. Soltanto dopo il nuovo blocco che sarà decretato il prossimo 3 aprile e durerà probabilmente fino al 18 aprile, da noi, si cominceranno a discutere i criteri per la progressiva riapertura. La condizione primaria rimane quella di raggiungere il R0, l’indice di contagiosità inferiore a 1 (un positivo infetta meno di una persona). Ma anche dopo aver raggiunto questo risultato bisognerà mantenere alcuni divieti e limitazioni per impedire che la circolazione degli asintomatici possa far risalire il numero dei positivi. Evitare quindi i proclami come fa Renzi: «Riaprire subito il Paese». Gli risponde in coro la comunità scientifica con il Prof Rezza (Iss): «Prima rallentare l’epidemia». Ecco anche perché gli ultimi ad aprire saranno proprio i locali dove maggiore è la possibilità per le persone di stare a stretto contatto come discoteche, i bar, i ristoranti, i cinema e i teatri. Mentre i primi a riprendere l’attività potrebbero essere quegli imprenditori che fanno parte della filiera alimentare e farmaceutica. E in vigore fino alla fine dell’epidemia ci saranno anche le misure strettissime per chi torna dall’estero rese ancora più severe da un’ordinanza emanata nei giorni scorsi. Le vacanze pasquali le trascorreremo quindi in casa. Ma poi? Nel Nord del Paese, si discute di cassa integrazione e bonus, mentre per molti invisibili al Sud non c’è neppure il pietoso obolo di Stato. Ecco l’ennesimo dramma che questa tragica epidemia ci sbatte in faccia. Senza mezzi termini. ”E la tensione sociale cresce sempre più – scrive Sergio Rizzo su Repubblica – sottolineando come il contagio metta “Il virus dentro le ferite aperte del Sud”. “Il Sud sta esplodendo. Al Sud si rischia il collasso sociale”. aggiunge il ministro del Mezzogiorno Giuseppe Provenzano. Chiarendo così cosa volesse dire quando qualche giorno fa aveva fatto presente all’opinione pubblica che “Dobbiamo aiutare chi lavora in nero”. Succede dalla Campania alla Sicilia, e le ragioni sono ignote soltanto a chi non vuole vedere la realtà. Sono nelle stime e nei numeri terrificanti delle famiglie che vivono, ma sarebbe decisamente più corretto dire sopravvivono, con il lavoro nero e le occupazioni saltuarie. Interi strati della popolazione nelle Regioni meridionali sbarcano il lunario così, alla giornata. Senza contratti, senza tutele, senza garanzie. Impegnati anche in attività non di rado abusive. Una sterminata area sociale esposta alle conseguenze istantanee di una crisi come questa. L’enorme bacino della precarietà, che in determinati settori come il turismo è la regola, brutalmente colpito dalla paralisi dell’economia, dei trasporti, dei servizi. Ma mentre i precari regolari, come quanti sono costretti a lavorare con il travestimento delle partite Iva, almeno si possono vedere, chi invece è immerso in un colore che varia dal grigio scuro al nero profondo è invisibile. Invisibile e disperato. Il segnale viene da episodi inquietanti che si sono moltiplicati con frequenza impressionante nelle scorse giornate. Persone che hanno subito lo scippo della borsa della spesa all’uscita dal negozio, irruzioni di gruppi organizzati nei supermercati per prelevare generi alimentari, con le rapine alle farmacie che non diminuiscono come il resto dei reati. Da ieri mattina polizia, carabinieri e guardia di finanza stazionano davanti agli ipermercati di Palermo. L’ipotesi che si possa ripetere quanto già successo giovedì pomeriggio quando un gruppo organizzato si è presentato alle casse di un punto vendita Lidl con i carrelli pieni di provviste al grido: “Basta stare a casa, non abbiamo soldi per pagare, dobbiamo mangiare” non è affatto remota. Anche perché la chiamata ai saccheggi dei supermercati di chi è rimasto senza un reddito corre veloce sui social e si aggiunge agli scippi per strada dei sacchetti della spesa in Campania, ai taccheggi continui di merce sugli scaffali, alle rapine ai punti vendita aperti. In tutto il Mezzogiorno dove l’economia sommersa del lavoro nero che dà da mangiare a quasi 4 milioni di persone è già allo stremo senza sussidi in vista. Speriamo (a riguardo non c’è altro che la speranza ormai), che le misure d’urgenza, prese con l’ennesimo dpcm del Governo e che ha disposto il trasferimento di 4,3 miliardi di euro ai Comuni anticipando il Fondo di solidarietà comunale. A questi si aggiungono altri 400 milioni che saranno destinati, in particolare, ad aiutare quei cittadini che in questi giorni di emergenza «non hanno soldi per fare la spesa». Mentre si predispongono rapidamente altri provvedimenti come il Rem: 6 miliardi per aumentare i 600 euro agli autonomi ed estenderli ai sommersi. “Non è un reddito di cittadinanza bis” precisa Gualtieri, ma un “reddito di emergenza” dato a 10 milioni di lavoratori anche precari e irregolari. Sperando che aiutino a contenere la ‘rabbia’ crescente nei ceti popolari più disagiati e/o già ridotti in povertà dalla crisi economica degli anni passati e qui da noi, di fatto, mai finita. Senza chiaramente dimenticare il mondo produttivo che lamenta l’immobilismo del Paese. Una condizione che non può durare all’infinito. Dice Massimo Cacciari all’Ansa: “La crisi sociale può essere gravissima, se andiamo così fino a luglio la gente si lancerà dal balcone, l’emergenza sanitaria è prioritaria, ma cresce l’allarme sociale con migliaia di famiglie allo stremo, dall’epidemia se ne esce, prima o poi, ma possiamo precipitare in una crisi economica con riscontri sociali gravissimi”. Sta diventando chiaro a molti che se fino a Pasqua o poco più le cose possono restare sotto traccia, poi sono destinate ad esplodere. Al massimo numero di persone, bisogna dare garanzie concrete e certezze in cifre e tempi rapidi. E’ una manovra d’emergenza economica che non potrà essere inferiore ai 100 miliardi per avere qualche effetto, spiegano più di un economista nostrano. “Ci sono famiglie senza reddito, piccoli artigiani, piccoli imprenditori”. I provvedimenti del governo se tardano e/o non se ne comprende la modalità, se si interviene sulla cassa integrazione e va bene, ma riguarda una sola categoria di lavoratori, quelli dipendenti, mentre sul totale dell’occupazione il c.d. settore secondario è ben il 10%. Questi e tutto il popolo delle partite Iva, cosa farà? Nella pandemia che stiamo vivendo è chiaro, che: “la priorità è salvare le persone, ma ci vorrebbe una comunicazione che assieme all’emergenza sanitaria, tranquillizzasse la gente sugli interventi economici, che sono difficili da quantificare”, chiosa ancora Cacciari. La situazione si presenta tale che già si può vedere chiaramente che sono necessari centinaia di miliardi. Una cifra inavvicinabile rispetto alle misure che può mettere in campo lo Stato italiano anche ammettendo che venga aiutato dall’Europa. Bisogna quindi fare di tutto per poter tornare presto a lavorare, bisogna fare ogni sforzo in questa direzione. Non ci sono due tempi prima l’emergenza sanitaria, poi quella economica, le cose vanno portate avanti insieme. Abbiamo bisogno di prospettive più rassicuranti. Bisogna fare uno sforzo, mentre i messaggi sono sull’emergenza sanitaria e sempre drammatizzanti. Anche i dati che danno ogni giorno sulle morti, senza nessun cinismo, andrebbero forniti in modo più corretto, scientifico. E’ chiaro che la percentuale dei malati viene contata su quelli che sono stati verificati con il tampone, ma la cifra dei contagiati è molto alta. E’ una questione scientifica e non lo si dice per minimizzare. Non è la stessa cosa se muore un amico a 60 anni in perfetta forma o un altro amico, che aveva più di 90 anni e stava male da due. Molto interessante è la differenza tra uomini e donne. Bisogna informare bene, dire agli italiani “facciamo uno sforzo, seppelliamoci, perché se facciamo così ne usciremo prima’”. Ma basta negare che ci sono stati degli errori all’inizio che ci hanno portato in questa situazione? C’è stato un ritardo nel dire le cose in Cina. Non siamo stati avvisati per tempo. Si sperava fosse una grave influenza, c’erano già delle carenze nel nostro sistema sanitario nazionale. Nessuno vuole tirare la croce sul Governo e/o le Regioni, e le loro continue polemiche su chi tiene il potere in materia di sanità. Non si poteva certo chiudere tutto subito dalla sera alla mattina. Basta guardare gli altri paesi nel Mondo che gran casino stanno facendo a riguardo? E l’Europa come si sta comportando? Speriamo che sia la volta buona che capiscono quello che Mario Draghi sta predicando dalla crisi del 2007-2008. Devono fare gli Eurobond per la ricostruzione di tutto. Se i tedeschi e i paesi del nord non lo capiscono l’Europa morirà definitivamente. E saranno riusciti a dare ragione ai sovranisti che senza l’Europa non staranno bene neppure loro. “Sarà una sconfitta generale per tutti. Ognuno è fabbro delle sue fortune e delle sue sciagure” sottolinea ancora con filosofia il Prof. Cacciari…

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