Coronavirus: sembrerebbe che Governo e Regioni (in disaccordo praticamente su tutto) abbiano deciso di: “lavarsene le mani e gettare la mascherina”…

La Lombardia l’ha resa obbligatoria, insegue la Toscana nell’uso obbligatorio che scatterà solo dopo averne distribuite 3 gratis a tutti, contemporaneamente la Liguria ha comunicato che inizierà la distribuzione gratuita in questi giorni; Borrelli capo della Protezione Civile dice in diretta che non serve, il Ministro Speranza annuncia che sarà essenziale. E la sua diffusione ha un impatto sociale molto più grande di quel che pensano gli epidemiologi… Insomma nelle ultime 48 ore, ricapitolando quanto comunicato ufficialmente dalle autorità competenti, il catalogo è il seguente: sabato scorso la Lombardia ha emesso un’ordinanza che ne impone l’uso come condizione per poter uscire di casa; lo stesso giorno il capo della protezione civile, Angelo Borrelli, ha dichiarato in conferenza stampa che lui non ne fa uso, perché tanto basta mantenere la distanza; il giorno seguente, sul Corriere della sera, il ministro della Sanità, Roberto Speranza, ha illustrato niente di meno che un piano in cinque punti «per il dopo», il primo dei quali recita: «Promuovere l’utilizzo diffuso di mezzi di protezione individuale». Indovinate quali? Ma le mascherine, naturalmente. «Purché – aggiunge il ministro, che in questi mesi oltre all’epidemiologia dev’essersi dedicato parecchio anche alla psicologia – si eviti di usare quelle con il filtro, riservate al personale sanitario». Di altri decreti Regionali è stato fatto cenno. È ormai chiaro a tutti che sulla questione delle mascherine, come su pressoché ogni altra questione legata al Covid-19, finora non ci ha capito quasi niente nessuno, nel mondo. Non si può pretendere che sia proprio il governo Conte 2, pertanto, a dirimere controversie che ancora oggi dividono la comunità scientifica planetaria. Ci si accontenterebbe del fatto che chi è preposto a farlo non comunicasse, sullo stesso delicatissimo argomento, due o persino tre posizioni perfettamente contraddittorie. Non si tratta nemmeno di pretendere chissà quale strategia. Tutti i governi del mondo hanno fin qui navigato a vista e commesso innumerevoli errori. Si tratterebbe solo di non prendersi in giro. Il fatto che tanti medici ancora oggi non abbiano mascherine adeguate è gravissimo. Ma ancora più incredibile è che negli stessi giorni si dica che sono indispensabili. Così com’è successo in Lombardia, tanto da renderle obbligatorie per uscire di casa, quando si sa che sono difficili da reperire e che hanno prezzi speculativi, ne è intelligente cavarsela dicendo che in alternativa si possono utilizzare sciarpe e foulard ricorrendo ad un proverbio: “piutost de nient è mei piutost”. Governatore Fontana, per carità …sia serio! E nel resto d’Italia, sono forse inutili? Dicono in molti che saranno comunque fondamentali per «il dopo». È difficile pretendere disciplina e rigore dai cittadini, nel momento in cui le stesse autorità dicono loro tre cose diverse, accreditando peraltro il sospetto che sulla questione della fornitura delle mascherine nessuno dica tutta la verità, e la confusione sia anzitutto figlia dell’imbarazzo, per usare un eufemismo. Da questo punto di vista, le parole di Borrelli sono sicuramente sbagliate e figlie di una polemica costante tra periferia e centro ampliamente “concimata” dal Presidente lombardo. Ma, perché alimentare ulteriore confusione e sfiducia su uno strumento che assai verosimilmente, in Italia come nel resto del mondo, è destinato ad avere comunque un ruolo fondamentale almeno sul piano psicologico. E che comunque, diversamente da quanto accade in molti paesi asiatici, sappiamo sin d’ora che incontrerà molte resistenze, di carattere sociale, culturale, antropologico in questa parte del Mondo. Come ha scritto sabato scorso Gillian Tett, capo della commissione editoriale del Financial Times: «indossare la mascherina non è qualcosa che attiene soltanto al comportamento individuale; ha anche delle conseguenze sociali». È un discorso con cui dovremmo avere già familiarizzato, dopo tante discussioni sui runner, le passeggiate in famiglia e le partite a pallone, ma che assume una valenza particolare in questo caso. Lì infatti si trattava di non fare qualcosa che ci piace (correre, passeggiare, giocare a pallone), qui di fare qualcosa che non ci piace affatto (girare sempre con bocca e naso coperti), il che è tutto un altro paio di maniche. È qualcosa che chiama in causa un intero sistema di valori, abitudini, sensibilità personali e sociali. Tutte cose destinate a cambiare rapidamente. In sostanza è come se tutti fossimo costretti ad indossare il BurKa! Pensate quando si potrà uscire di nuovo ai controlli in aereoporto dei passaporti ci verrà intimato di toglierci la mascherina, in un conflitto di sicurezza sanitaria rispetto a quella terroristica? Già oggi, nota Tett, «non indossare una mascherina è quasi un motivo di vergogna in paesi come il Giappone». Del resto, in Asia l’esperienza della Sars, insieme con tradizioni culturali assai più attente al ruolo del singolo nella società, hanno ampiamente preparato il terreno. Ma anche noi, come già notato da queste parti, ci stiamo alquanto orientalizzando, dando prove insperate di disciplina, rigore e senso di comunità. È un vero peccato che non si possa dire altrettanto dei nostri politici ad ogni livello di governo centrale come locale…

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