Diseguaglianze, o si cambia o si muore…

È giunto il momento di costruire un’economia umana a vantaggio di tutti, non solo di pochi privilegiati. Un economia per il 99% e non solo per 1% della popolazione del Mondo.

Se ne parla sempre più… e le diseguaglianze – vedi Forum Economico Mondiale – che già da qualche anno, indica proprio nelle crescenti disuguaglianze economiche la maggiore minaccia alla stabilità sociale. E anche la Banca Mondiale, che ha ormai associato al proprio obiettivo di eradicazione della povertà, la necessità di promuovere ciò in una prosperità condivisa di lotta alle diseguaglianze economiche. Le diseguaglianze sono quindi indicate come il “male” principale di cui soffre l’Economia mondiale… e conseguentemente gran parte dell’umanità. Ma, Come stanno effettivamente le cose? Dalle stime (2017) risulta che otto persone possiedono da sole la stessa ricchezza della metà più povera dell’umanità. La crescita va a vantaggio solo dei più ricchi mentre il resto della società soffre, in particolare i poveri. Sullo stato delle diseguaglianze nel mondo quindi la situazione è peggiorata rispetto al 2016: se, nel 2015, 62 persone possedevano la stessa quota di ricchezza della metà della popolazione mondiale, nel 2016 sono solo 8 i super-ricchi che hanno accumulato una quota di capitali pari a quella di 3,6 miliardi di individui che occupano i gradini più bassi della scala economica globale. Questo aggiornamento, fanno sapere i redattori dello studio, è stato possibile grazie all’analisi di nuovi e più approfonditi big data. Snocciolando un po’ di dati, emerge che l’1% della popolazione mondiale è più ricco del restante 99%: 1.810 miliardari detengono una ricchezza pari a 6.500 miliardi di dollari, cioè quanto posseduto dal 70% più povero dell’umanità. La crescita delle diseguaglianze, che procede incontrastata da ben 25 anni a questa parte, riguarda il rapporto sia tra le diverse parti del mondo, sia tra le élite ed i ceti sociali più poveri all’interno dei vari Stati: per fare due esempi paradigmatici, un Ceo dell’istituto finanziario Ftse-100 ha un reddito annuale pari a quello di 10.000 contadini del Bangladesh, e l’uomo più ricco del Vietnam guadagna in un giorno più ricchezza di quanta ne guadagni la fascia più povera di popolazione vietnamita in 10 anni. Sono la natura stessa delle nostre economie e i principi alla base dei nostri sistemi economici ad averci portato a questa situazione estrema, insostenibile e ingiusta. La nostra economia deve smettere di remunerare eccessivamente i più ricchi e iniziare ad operare a vantaggio di tutti. Quali le cause di questa situazione? La possibilità per le multinazionali di eludere le fiscalità nazionali, allocando i propri capitali in paradisi fiscali, ed il pressing lobbistico sulla politica per far competere gli Stati a ribassare la pressione fiscale sui profitti delle grandi corporazioni (paradigmatico il caso di Alphabet, società controllata da Google, che grazie all’attività lobbistica paga nell’Unione Europa appena lo 0,005% del proprio fatturato). La decennale crescita del divario tra i redditi delle categorie occupazionali più elevate (Ceo, Cfo, amministratori delegati, ecc.) ed i lavoratori salariati in tutti i settori dell’economia, a causa soprattutto della crescente quota di valore prodotto dal lavoro che finisce nelle mani del capitale piuttosto che nelle tasche dei lavoratori dipendenti; Una politica di distribuzione dei dividendi, nelle grandi società quotate in borsa, finalizzata ad aumentare il guadagno degli investitori, che porta a strategie aziendali di breve termine. La grande influenza che le corporazioni ed i grandi capitali hanno sulle istituzioni politiche nazionali, internazionali e trans-nazionali, grande influenza che ha portato e sta portando tutt’ora alla riforma dei sistemi istituzionali e giuridici in una direzione che favorisce il profitto di pochi a discapito del benessere dei più.  Lo so che tutto ciò appare come una pesante critica all’ideologia neo-liberale che da oltre trenta’anni è sempre più egemone nel sistema economico sempre più globale: l’idea che il libero mercato sia la forma migliore di allocazione delle risorse e che il ruolo dello Stato debba essere minimizzato (la teoria dello “Stato minimo” di Friedrich Von Hayek); che le corporazioni debbano massimizzare il proprio profitto per remunerare il capitale investito dai vari investitori (sia istituzionali che privati) e che l’abbassamento delle tasse sugli alti redditi produca conseguenze benefiche a cascata su tutta la società; che la crescita del Pil debba essere l’obiettivo delle politiche nazionali ed internazionali a prescindere dalla considerazione di altri fattori (qualità della vita, eco-sostenibilità, salute ambientale) e dall’equa distribuzione tra i vari ceti sociali della ricchezza prodotta; che la ricchezza ed il successo individuali siano una dimostrazione positiva del merito personale e che il problema delle disuguaglianze socio-economiche sia soltanto un fossile ideologico di un’epoca ormai conclusa. Ma, Il problema dell’estrema disuguaglianza socio-economica non è una questione che appartiene alla sfera della filosofia e dell’ideologia: è il principale fattore che mina la stabilità politica della società contemporanea, e il vento del rifiuto dello status quo ha iniziato a soffiare sempre più forte in tutto l’Occidente… La rinascita dei nazionalismi xenofobi, la vittoria di Trump e la Brexit sono sintomi che i ceti medio-bassi di tutti gli Stati occidentali non tollerano più una situazione che appare irriformabile secondo gli schemi della politica tradizionale. Per questo motivo bisogna provare a delineare alcune proposte di costruzione di un “programma vasto” da porre come alternativa positiva rispetto al ripiegamento nazionalistico degli Stati su se stessi: cooperazione tra Stati per la promozione di diritti e di giusti livelli fiscali per gli alti redditi ed i profitti delle società multinazionali, invece che competizione economica a livello globale incentrata sulla svalutazione di diritti e salari; virata eco-sostenibile del sistema produttivo, incentrando la produzione di energia sulle fonti rinnovabili; scrittura di nuove regole per la finanza ed i grandi capitali, sì da finalizzare la produzione di ricchezza al benessere dei più invece che al profitto di pochi; una rivoluzione culturale nel mondo dell’economia, a partire dall’ideazione di nuovi indici di misura del benessere e della crescita economica… Occorrono Governi responsabili e lungimiranti. Imprese che agiscono nell’interesse dei lavoratori e dei produttori. Valorizzazione dell’ambiente. Diritti delle donne. Un solido sistema di equa imposizione fiscale. Sono questi gli elementi fondanti di un’economia più umana…

La palla è alla politica… si deve comprendere che ormai ne va della sopravvivenza stessa della società umana per come la conosciamo oggi!

“E’ sempre tempo di Coaching!”


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