Elezioni: come risultato abbiamo un parlamento lontano dal paese…

«Reinterpretare e rilanciare la centralità parlamentare», niente di meno che questo il compito delle nuove camere secondo la presidente del senato Casellati che l’altro ieri ha scritto un messaggio di congedo ai senatori. Non sarà facile. A partire da alcuni dati oggettivi che dimostrano come con le ultime elezioni il parlamento si sia ulteriormente allontanato dal paese che dovrebbe rappresentare… Marco Valbruzzi – insegna scienza politica all’università Federico II di Napoli, – ha calcolato che per la prima volta dal 1948 meno della metà della popolazione italiana ha partecipato all’elezione del nuovo parlamento. Della ricerca ha parlato ieri il sito del Corriere della Sera. Prendendo come base l’insieme dei cittadini italiani e degli italiani elettori residenti all’estero (63,6 milioni), è accaduto che il 52,3% non sia per nulla entrato nella scelta dei nuovi deputati e senatori. In maggioranza sono astenuti (il 28,5% percentuale più bassa rispetto a quella dell’astensione calcolata sugli elettori, il 36,09% che conosciamo dalla notte del voto), poi ci sono i non elettori (minorenni, 21,6%) e le schede bianche e nulle (2,2%). Nell’insieme, per la prima volta appunto, solo il 47,7% dei cittadini ha contribuito al risultato delle elezioni. Per avere un termine di paragone, trent’anni fa, alle politiche del 1992, le camere rappresentavano il voto del 70% degli italiani. Il risultato di questa ricerca fa il paio con un altro dato che possiamo facilmente evidenziare. La nuova maggioranza, il centrodestra, è rappresentativa di una quota di elettori che non è mai stata così piccola. È la prima volta dal 1968 (il monocolore Dc del secondo governo Leone) che una maggioranza uscita dalle elezioni può contare su meno di 13 milioni di voti popolari (la differenza è che nel ’68 c’erano circa 10 milioni di cittadini italiani in meno). Questa volta Fratelli d’Italia, Lega, Forza Italia e Noi moderati hanno messo insieme un totale di 12,6 milioni di voti, il precedente più basso negli anni delle leggi elettorali maggioritarie è quello del 1996 quando l’Ulivo di Prodi andò al governo sulla spinta di 13,1 milioni di voti, ma anche con l’appoggio esterno di Rifondazione che di voti ne aveva 3,7 milioni. Il primo governo Conte, venuto faticosamente fuori dalle precedenti elezioni, quelle del 2018, poteva contare tra M5S e Lega sul sostegno di 16,4 milioni di voti, tutti i governi post-elettorali precedenti, andando indietro fino al 1994, tra i 16,5 milioni di voti e i 19,7 milioni. Prima ancora in tutti gli anni Ottanta e Settanta da sola o con i suoi alleati la Dc aveva dietro di sé dai 13 ai 20 milioni di voti. La prima ragione per cui si può dubitare della rappresentatività non solo della coalizione vincitrice ma di tutto il parlamento è la scarsa affluenza alle urne. Il caso italiano – affluenza il 25 settembre, ricordiamolo, 63,9% – non è un record tra le ultime consultazioni in Europa, perché alle legislative francesi del giugno scorso ha partecipato il 47,5% degli aventi diritto. Meglio che in Italia è andata nel settembre 2021 in Germania, affluenza 76,6%; nel dicembre 2019 nel Regno Unito, affluenza 67,3% e nel novembre 2019 in Spagna, affluenza 69,88%. Ma anche ci fosse stata un’affluenza alta, le camere italiane sono ormai strutturalmente lontane dal paese che dovrebbero rappresentare a causa del taglio dei parlamentari, che da questa legislatura sono appena 600 (400 deputati e 200 senatori, più quelli a vita, adesso sei). Prendendo a riferimento la sola camera dei deputati (perché altrove le camere alte non sempre sono elette direttamente dai cittadini), l’Italia ha adesso 0,7 deputati per ogni 100mila abitanti. Mentre la Grecia ne ha 2,8; il Portogallo 2,2; l’Austria 2,1; la Polonia 1,2; il Regno unito 1 (come noi prima del taglio); la Francia e la Germania 0,9; la Spagna 0,8. A commento di questi dati, Valbruzzi ci dice che «siamo di fronte al crollo verticale della rappresentatività e della rappresentanza del parlamento. Sia perché un numero crescente della popolazione decide di non partecipare al processo elettorale, con conseguenze negative dirette sulla qualità della rappresentanza democratica, sia a causa dell’intreccio tra riduzione del numero dei parlamentari e sistema elettorale fortemente distorsivo. Il voto del 2022 – conclude – segna il momento di maggiore distacco tra classe politica e comunità politica, ma finché rimarranno le attuali condizioni non si può escludere un ulteriore deterioramento del rapporto tra partiti e cittadini-elettori»…

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