Elezioni: nel Pd aspettano di scontrarsi con l’iceberg del 25 Settembre e con il senno di poi, il triumvirato che tenta di governarlo sapendosi non vincente, prova ancora una volta ad evitare la resa dei conti nel Partito…

Se la sconfitta alle elezioni del 25 settembre non sarà così drammatica come annunciata dagli ultimi sondaggi, Enrico Letta, Dario Franceschini e Andrea Orlando potrebbero rinsaldare la guida del partito rinviando il più possibile il Congresso ed evitare che si prenda tutto il riformista pragmatico Stefano Bonaccini. Ma in caso di disfatta non sarà così facile. Se le cose andranno come dicono più o meno tutti i sondaggi, il Partito democratico perderà le elezioni, e forse anche malamente. Il partito di Enrico Letta si salverà se otterrà una percentuale sufficiente superiore a quella del peggior risultato di sempre (2018), quando si fermò al il 18,7% alla Camera e al 19,1% al Senato. Altrimenti, dal 20 in giù, tutto sarà in discussione, ben oltre la segreteria di Letta. La domanda circola, a bassa voce: con la vittoria della destra e con Fratelli d’Italia primo partito, che cosa potrebbe succedere al Nazareno all’indomani del voto? La risposta che viene più spontanea è quella di un cambio alla segreteria del partito, un classico andato in scena con Walter Veltroni, Pier Luigi Bersani, Matteo Renzi, dunque diventato un automatismo. Per di più Letta non ha vinto un congresso ma sta lì richiamato da salvatore della Patria trascinato alle elezioni dalla crisi del governo Draghi: «Non sono tornato per farvi perdere», disse appena insediatosi alla guida del Pd con un discorso che faceva intravedere un nuovo corso, più aperto di quello del predecessore Nicola Zingaretti, all’epoca imbullonato nella strampalata alleanza strategica con Giuseppe Conte. Così è stato. Ma se la patria poi non la salvasse, la sua poltrona prenderebbe a scricchiolare ufficialmente un minuto dopo il primo exit poll. Se i precedenti hanno un senso, il segretario potrebbe dimettersi più o meno spontaneamente e il Pd andrebbe a un congresso ravvicinato magari dopo una reggenza per far passà ’a nuttata. Però, se il risultato fosse non catastrofico, in qualche modo difendibile, le cose si metterebbero in modo totalmente diverso (ed è ovviamente quello in cui Letta spera mentre macina chilometri su chilometri), consentendogli di restare al suo posto fino a quando il Congresso non deciderà il da farsi una volta per tutte. In questo senso non è privo di interesse quanto dichiarato dai due maggiorenti del partito, Dario Franceschini e Andrea Orlando, che in questi giorni hanno assicurato che la segreteria di «Enrico» – come ha detto Franceschini alla Stampa – «non vacillerà comunque». Una finta? Può essere. Ma c’è anche una lettura diversa di questa protezione preventiva del segretario. I due big del Pd, assieme ad altri dirigenti, infatti, avrebbero qualche difficoltà a sostenere che l’insuccesso sarebbe tutta colpa del solo Letta: e loro e gli altri dov’erano? Chi potrebbe dirsi innocente rispetto alla gestione del partito di questi anni e alla impostazione, che pare fallimentare, della campagna elettorale? Salvare Letta, per i due capi corrente, vorrebbe dire salvare sé stessi evitando che il leader li trascini con sé nella caduta e contando sul fatto di non avere un’opposizione interna, dato che quella che avrebbe potuto essere tale, Base riformista, in parte si è sempre schierata con il leader e in parte è uscita indebolita nella partita sulle liste elettorali. Con una sconfitta in qualche modo gestibile, cioè con una percentuale non tragica, Letta potrebbe quindi rinnovare un patto interno sulla base di quella che in gergo si definisce una maggiore collegialità e mettere sul tavolo la proposta di un congresso con tempi non esattamente strettissimi. Ma soprattutto l’obiettivo di una manovra dorotea di questo tipo sarebbe quello di scongiurare l’ascesa al Nazareno di Stefano Bonaccini, sospettato dagli altri di voler restaurare quel po’ di riformismo pragmatico e autonomo (renzismo?) che ancora circola in qualche arteria del Pd e che potrebbe in qualche modo incrociarsi con un Terzo Polo che fosse uscito incoraggiato dalle urne. C’è naturalmente da chiedersi se questo sia ancora il tempo degli accordicchi tra tre persone a caccia della propria sopravvivenza politica e se sia il caso di sopire e troncare come all’epoca della tv in bianco e nero. Come reagirebbe la base? Tutto dipende, come detto, da come va a finire con la percentuale ottenuta. Perché  con non si può escludere nemmeno lo scenario della tempesta perfetta, con il gruppo dirigente che, come nel film, accade a George Clooney non riesce a salire sull’altissima onda montante e viene sommerso. Se le proporzioni della sconfitta dovessero assumere proporzioni drammatiche – diciamo sotto il 20 per cento – non è da escludere che a quel punto a venire messa in causa sarebbe l’esistenza stessa del Pd, non solo come brand, ma come soggetto politico unitario in grado di tenere assieme socialdemocratici, filogrillini, ex renziani e quant’altro, un partito sconfitto per due elezioni di seguito che – ha scritto ieri Federico Geremicca – «somiglia sempre più a quell’amalgama non riuscito che qualcuno (D’Alema) lamentava già anni fa». Su questa base di analisi tragica per chi ha creduto nel progetto, ci sarà chi (Bettini, Orlando, Provenzano eccetera…) potrebbero lavorare per un nuovo soggetto politico più definitivamente spostato a sinistra magari federato o addirittura fuso con quel M5s che sembra invece resistere al naufragio, un “post-Pd” che potrebbe liberare molti esponenti in direzione contraria: una ennesima spaccatura tra massimalisti e riformisti in versione Ventunesimo secolo. Uno scenario che spazzerebbe via la breve storia del Pd, altro che la sola segreteria di Enrico Letta… In queste ore di panico elettorale in cui Enrico Letta spiega che la partita è ancora aperta, anche se gli avversari rischiano di ottenere il 70 per cento dei seggi a causa di una legge fatta guarda un po’ dal suo partito quando lui non c’era ed era a lavorare a Parigi e che il suo partito ha promesso di cambiare perché altrimenti ci sarebbero stati rischi gravi per la democrazia, salvo non aver fatto un beneamato niente, e anzi avendo promosso il duello bipolarista con l’amica di Orbán e dei golpisti trumpiani che ora pare minacciare la democrazia italiana, insomma in queste ore drammatiche c’è da chiedersi a che punto saremmo se il segretario del Pd avesse invece perseguito la strada che lui stesso aveva abbozzato al momento dell’elezione, ricevendo i pubblici elogi di tutta la stampa nazionale e anche estera. Che cosa sarebbe successo se il Pd avesse archiviato rancori e risentimenti personali e avesse cominciato a costruire nella società e nel paese una proposta politica seria: socialista e liberale, animata dallo spirito repubblicano invocato dal premier Draghi per sconfiggere la pandemia, contare in Europa e far ripartire il paese. C’è da chiedersi, insomma, che cosa sarebbe successo se oggi a fronteggiare la destra putiniana, orbaniana e neo, ex, post-fascista, più il nulla mischiato a niente di Conte, ci fosse un’area liberal democratica coerente, europea e atlantica, senza trucchi e senza inganni, senza ammiccamenti demagogici e con la partecipazione delle forze e delle intelligenze migliori del paese (molte delle quali vicine al Pd) messe al servizio dei cittadini, delle istituzioni, dei lavoratori e delle imprese? La risposta è che probabilmente oggi le elezioni sarebbero davvero contendibili, sul serio e non solo sulle card social del Pd, intanto perché l’aritmetica non è un’opinione e poi perché un’alleanza repubblicana degna di questo nome avrebbe generato entusiasmo politico e passione civile in grado di far crescere il consenso e non di alienarlo come sta succedendo davanti a una sconfitta certa e per certi versi addirittura ricercata. Enrico Letta il Pd avrebbe infatti potuto affrontare le elezioni in vari modi, tutti decisamente migliori di quello che infine è stato scelto: poteva continuare l’alleanza strategica con i Cinquestelle, o allearsi con i calendian-renziani, o guidare una sinistra mélenchoniana, o giocare una partita solitaria perché il Pd è il Pd, l’unico partito costituzionale del paese e con una sua tradizionale vocazione maggioritaria, oppure avrebbe potuto guidare un ampio fronte antifascista e antiputiniano che mettesse insieme tutte le forze, nessuna esclusa, che difendono la democrazia liberale dagli eversori e dagli emissari delle potenze straniere nemiche… Alla fine non è stata scelta nessuna di queste opzioni. Né, cosa se possibile ancora più grave, si è impegnato ad approvare una legge elettorale proporzionale in purezza – per garantire rappresentatività a tutti i partiti ed evitare i colpi di mano del possibile vincitore amico dei nemici dell’Occidente e della democrazia liberale. E’ stata scelta la peggiore soluzione possibile, quella più tragica, quella più pericolosa e talmente assurda per poi addirittura peggiorarla in modo irreversibile a mano a mano che ci siamo avvicinati al voto. “Legge perversa“. Letta contro il Rosatellum, ma a volerlo fu il Pd. Il segretario Pd, sempre più allarmato dalla valanga di voti che potrebbe ottenere il centrodestra, prospetta ai suoi candidati lo scenario del possibile cappotto: “Col 43% dei consensi ottengono il 70% dei seggi”. Elezioni, Enrico Letta: «Evitare che il centrodestra arrivi al 70% dei seggi, con Rosatellum rischio scenario da incubo». Quindi niente legge proporzionale per salvare la democrazia e avanti col bipolarismo nonostante uno dei due poli lavori esplicitamente per indebolire le fondamenta della convivenza civile, nazionale e internazionale. Niente coalizione draghiana, niente corsa solitaria, niente alleanza strategica, niente campo largo, ma – una battaglia bipolare da combattere schierando un campo stretto, strettissimo, senza i Cinquestelle con cui il Pd aveva comunque governato per tre anni e con cui (alcuni suoi dirigenti) fanno intendere che tornerà ad allearsi dopo la catastrofe elettorale, anche se quelli ovviamente non ci pensano nemmeno, e senza che sia riuscito il gioco delle tre carte dell’alleanza draghiana.  Il Pd ha fatto un gran pasticcio e Letta alla fine probabilmente perirà del conflitto mai risolto tra le sue correnti al servizio dei rispettivi Capataz… sempre gli stessi. Il Pd continua a umiliare i veri riformisti, abbracciando i no ai rigassificatori e gli anti Nato, pur essendo lui il Partito italiano più filo Nato che ci sia, si è dotato di una linea politica economica-sociale che occhieggia senza approfondire nulla dei contenuti di queste alle richieste grilline che, ovviamente, alla fine fa crescere proprio i Cinquestelle… Se a Palazzo Chigi arriverà la leader di destra più impresentabile d’Europa, amica di Viktor Orbán e di Steve Bannon, erede diretta di un signore che un secolo fa si affacciava al balcone di Palazzo Venezia, il primo responsabile rischia di essere proprio il Pd e chi pagherà personalmente il suo Segretario… colui che per mesi ha fatto di tutto per rilegittimarlo (senza riuscirci) agli occhi del suo elettorato perennemente scontento… non era possibile senza ricostruire dall’interno un’unica comune identità veramente riformatrice e senza cambiare la legge elettorale nella direzione della difesa costituzionale… Peccato! Renzi, Calenda saliti qualche anno fa sull’autobus del Pd senza pagare alcun biglietto, ne hanno prima confuso il percorso, per finire scendendone in malo modo e tagliandogli le gomme… così la resa dei conti è comunque arrivata e nei peggiori dei modi…

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