Alessandro De Angelis su Huffpost parla di suicidio del centrodestra nel deserto della partecipazione e invita alla prudenza nel considerare queste amministrative come un test nazionale per le future elezioni politiche… e poi scrive che è una vittoria politica del Pd (ma soprattutto per altrui demeriti) che quindi non è un plebiscito sociale. E che le politiche saranno un’altra cosa… Francamente trovo che si continui ad esaltare le contraddizioni dell’elettorato italiano e a mettere tutti i partiti sullo stesso piano… non aiutando a dissolvere alcun dubbio e se si può così dire che: “uno vale uno” anche quando si parla di partiti. Ebbene, su ciò non sono propriamente d’accordo… come per le persone anche per i partiti devono contare competenze e obiettivi e soprattutto i giornalisti dovrebbero evidenziare sicuramente i difetti della politica, ma rispetto a questi, evidenziare se ci sono, anche i pregi. E non c’è dubbio che il Pd, rispetto alla Lega, Fratelli d’Italia e partito di Berlusconi oltre che ai 5 Stelle, qualche pregio, dentro questo governo Draghi ce l’ha, come la coerenza e il comportarsi di conseguenza, rispetto alla complessità della situazione che il Paese, o per meglio dire, il Globo sta vivendo. Le parole chiave: deserto e suicidio. Deserto, inteso come poca partecipazione. Perché va bene il caldo, la domenica di fine giugno, il mare o i monti. E va bene anche che, da sempre, ai ballottaggi vota sempre meno gente rispetto al primo turno (il che, normalmente, aiuta la sinistra). Però quando vota un italiano su tre, anche l’astensionismo è un dato iper-politico, che certifica la sfiducia verso l’esercizio stesso della sovranità popolare, la sua utilità nell’Italia in cui si vota poco, e anche la scarsa capacità di coinvolgimento e mobilitazione dei partiti (in questo caso del centrodestra). Non è una novità, ma è comunque vero che le percentuali di partecipazione a queste amministrative suggeriscono comunque grande prudenza nel considerare questa tornata come un anticipo delle politiche. O come un test nazionale. Suicidio è la parola tecnicamente corretta per raccontare la sconfitta del centrodestra che se possibile, nelle principali città al voto, ha sbagliato tutto, dimostrando che la coalizione a trazione populista ha un clamoroso problema di classe dirigente. Ed ha perso soprattutto perché avvitato in dinamiche da strapaese nelle principali città al voto, che della politica attestano solo la decadenza: a Verona, il caso più clamoroso, l’uscente di Fratelli d’Italia che rifiuta l’apparentamento con Tosi per questioni pregresse verso la di lui consorte (Bisinella), con i leader nazionali che nemmeno si presentano, capita l’aria; a Catanzaro il centrodestra sceglie un candidato che viene dal Pd (senza il sostegno di Meloni) e al secondo turno perde l’appoggio di un pezzo di Forza Italia per beghe di partito; a Parma, dove non funziona il ritorno di Vignali che, anche in quel caso non era sostenuto da tutta la coalizione. A conti fatti. Delle 13 città al voto, solo due erano del centrosinistra (Cuneo e Lucca). Finisce col centrosinistra a quota 8, comprese Piacenza, Alessandria, Monza, dato non banale perché, sommata a Lodi, segnala uno scricchiolio in Lombardia. È chiaro, il centrosinistra gioisce. E giustamente. Diciamoci le cose come stanno: il risultato è una vittoria politica, e soprattutto una sconfitta del centrodestra che, come coalizione, non esiste più né a livello nazionale e sempre meno anche a livello locale. Ma non è un plebiscito sociale, reso possibile dal fatto che il centrodestra non è riuscito a riportare al voto, forse anche perché lo strapaese non ha appassionato nessuno, soprattutto il suo elettorato. Le elezioni politiche saranno un’altra cosa. Ma è anche vero che il disastro a valle è figlio di un qualcosa che si è inceppato a monte. Non è colpa del destino cinico e baro il disastro di Michetti a Roma, di Bernardo a Milano, oggi di Sboarina a Verona. È figlio di una coalizione che funziona solo quando intercetta una spinta populista, di rabbia e protesta, ma dove ormai i leader non riescono più neanche a parlare al telefono per far ragionare i loro candidati e sono saltati i meccanismi fisiologici di selezione e scelta della classe dirigente. E diciamoci le cose come stanno: è una vittoria del Pd, non nel senso di una conferma del “campo largo”, il Pd va meglio del campo largo, anche perché i Cinque stelle non sono determinanti da nessuna parte. Anzi, se possibile è il superamento del “campo largo” e la conferma che lo schema funziona quando il Pd quel campo lo “invade” andando a cercare i voti a uno a uno, senza esternalizzare ad altri il rapporto col popolo. Resiste lo spettro delle politiche, così diverse dalle amministrative: il campo largo è scomparso col polverizzarsi delle stelle. il Centro è affollato come un bar di moda alle sette di sera. Il commento che alla fine fa Letta: “paga la linearità e la serietà: vinciamo perché la responsabilità è più importante di tutto, in questo momento difficile serve una politica che sia seria e lineare”. Il primo turno lo ha vinto il centrodestra, con Genova e Palermo. Il secondo lo ha vinto e molto bene il centrosinistra. Forse non è il caso di cercare in questo risultato indicazioni per le politiche, se non forse, tra la novità più interessanti, un certo risveglio del civismo che per il centrosinistra può essere una nuova ipotesi di lavoro per uscire dal suo strapaese tra Conte e Di Maio. Ma dobbiamo dirlo chiaramente, nessuna delle due coalizioni, nonostante tutto, al momento è pronta a rappresentare una credibile offerta di governo nazionale… che vada oltre Draghi. In attesa del risveglio della partecipazione, delle sue modalità (speriamo non rabbiose) e di chi saprà intercettarlo… Speriamo che il Pd e tutti coloro che nella frammentazione politica italiana mantengono a cuore le sorti complessive del Paese e delle sue istituzioni democratiche… prenda forza da questi risultati per costruire una rinnovata prospettiva che riporti i molti, troppi astenuti, di nuovo alla partecipazione democratica e al voto…
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