Governo: Draghi e l’afasia della politica. “chi ha interesse a far tacere il conflitto sociale?”

L’attuale legislatura è iniziata con il trionfo del populismo, alcuni avevano persino parlato di un “populismo integrale” che riuniva destra e sinistra nel governo giallo-verde. Ora si avvia a conclusione con il più istituzionale degli scenari: Draghi capo del governo e sostegno praticamente plenario del parlamento. Sul significato politico di ciò e sempre più doveroso interrogarsi… partendo dal fatto che Draghi, è una figura estranea alla militanza politica partitica, come lo era d’altronde anche Conte, prima di lui. Qual è quindi il significato di questa situazione, se non il segno di debolezza ormai cronica dei partiti? Più in dettaglio: oggi, dove sono i partiti? Se ci riferiamo alla teoria del partito politico in senso classico (attraverso gli indicatori dell’organizzazione, del radicamento sul territorio, della disciplina interna, della partecipazione e comunicazione endo ed extraorganizzativa) ci si può rendere conto come ormai da anni non ci sia più il referente empirico e la realtà, che ci si para innanzi altro non è che una costellazione indigesta di aggregazioni di individui, intorno al nome di un altro individuo, declinato come più o meno carismatico, senza la chiarezza, non dico soltanto di una visione di trasformazione sociale (sarebbe chiedere troppo), ma neanche di governo del presente. Non è un caso che se è vero che “nomina sunt consequentia rerum” fatto salvo il PD (con tutte le sue contraddizioni e limiti), in Italia nessuna aggregazione politica oggi si definisce nominalmente “partito”. Luciano Canfora nel suo recente volume “La metamorfosi”, partendo proprio da un’analisi storica del Partito Comunista italiano, giunge alla conclusione di come la Sinistra non stia più nelle attuali rappresentanze politiche. Nel Paese le lotte e il conflitto sociale sono presenti, pressanti e diffuse, ma non trovano una sintesi in alcun partito o per meglio dire non nel Partito democratico… Si potrebbe dire perciò che Draghi, e prima di lui Conte, sono espressione di una vera e propria scomparsa dei partiti e delle loro rappresentanze sociali… nelle difficoltà della Globalizzazione e della sua complessità nonché del governo di questa complessità sono a un certo punto “apparsi” i tecnici e/o i saggi. E, parlare di “tecnici” e/o “saggi” suggerisce una conduzione neutrale della cosa pubblica, come se l’Esecutivo non fosse chiamato a prendere decisioni politiche, ma si limitasse all’ordinaria amministrazione. Ciò è impossibile! Eppure, sono stati proprio i governi tecnici a indicare la direzione politica degli ultimi decenni. Ecco, provo a parlare di questa sorta di “rivoluzione dei tecnici” che si è rivelata alla fine la perfetta ‘maschera’ di decisioni politiche alquanto mirate. E’ chiaro invece, che tutto è politica. Ma, si travestono gli interessi di una linea dominante, con una maschera di neutralità tecnica. In realtà tale frottola non aspetta altro che di essere disvelata proprio con gli strumenti dell’analisi politica per capire, oltre il velo ideologico del tecnicismo, cosa si possa nascondere e quindi scoprire: la razionalizzazione e la difesa ex ante dello statu quo… E veniamo al populismo, un termine usato per designare fenomeni molto diversi; si ha l’impressione che, più che un concetto, sia un’accusa per delegittimare gli avversari. Per populismo si può intendere il rapporto diretto tra leadership e folla indistinta declinata come popolo (vedi Washington, 6 gennaio 2021). L’accezione “popolo” è un modo per utilizzare un lessico collettivo astratto da parte politica per non definire empiricamente individui sociali, gruppi e classi sociali e per dare in maniera stenografica un drafting sintetico delle società in generale. Da ciò deriva che il termine populismo si metta in rapporto emotivo, affettivo, espressivo con un’entità astratta, che empiricamente non esiste e che pertanto è buona per tutte le stagioni. Dal punto di vista della comunicazione anche a sinistra sovente si è fatto riferimento a tale concetto generale e astratto. Ma andiamo ad un esempio illuminante. Il risultato dell’ultimo governo tecnico, quello di Monti, è stata la crescita esponenziale delle forze critiche nei suoi confronti, Lega e 5 Stelle. Bisogna cominciare a chiedersi (lo vedremo a breve) come reagirà l’opinione pubblica al governo Draghi? Infatti, nemmeno dieci anni sono passati dal Governo Monti, ma in politica sono tanti e molta acqua è passata sotto i ponti. Già la locuzione “opinione pubblica” è come si sa dopata, anche perché nell’informazione superficiale odierna, fatta nemmeno più di televisione e stampa mainstream, ci sono solo tanti social. E ormai dopo il primo “incantamento”, comunque non si potrà non capire che “l’uomo solo al comando” di una compagine Frankstein, come d’altronde è questa maggioranza di pseudo Unità Nazionale, nel prossimo periodo dovrà accentuare il decisionismo di schmittiana memoria, anche per il tramite ormai ben noto dei DPCM alla Conte, come già ha iniziato del resto a fare il Governo Draghi, anche in maniera, se vogliamo, più prescrittiva e restrittiva di prima. D’altronde la filosofia economica di Draghi, lascia perplessi per essere lui uno degli allievi di Caffè. Infatti, la pandemia ha prodotto una situazione tale che può definirsi molto vicina alla “distruzione creativa” di Schumpeter, che certo non guarda i più deboli, poggiandosi anch’essa su un liberismo di mercato, che sicuramente ha poco a che fare con l’impostazione keynesiana di Caffè. Oggi, per esempio, rispetto alla stessa epoca di Monti il mainstream è solo apparentemente cambiato. Il linguaggio della stagione della pandemia (la paura fa ’90) ha radicalizzato disuguaglianze e problemi, per affrontare i quali il mainstream si trasforma, in modo di tornare appena possibile a quel che era prima del Covid-19. E a ciò si aggiunge l’illusione dell’ “essere tutti uniti” per l’emergenza, come invocato nel discorso al Senato e ribadito alla Camera da Draghi stesso, al momento del suo insediamento e della fiducia. Insomma, un colpo di spugna non solo al dissenso, ma anche a ciò che sta sotto lo stesso: ovvero al conflitto sociale. Da tempo le istanze delle fasce più deboli faticano a trovare rappresentanza politica. I partiti tradizionali di “sinistra” non godono di ottima salute e difficilmente i 5 Stelle manterranno le percentuali delle ultime elezioni. Sorgeranno nuove forme di aggregazione e con tutta probabilità si acuirà il distacco dalla politica. Non è difficile dirlo: perché l’attualità del partito per quanto sia mai presente… oggi ha i limiti di poter rappresentare il conflitto sociale esistente… Vedasi il Pd, che quando cerca di ravvivare una identità che inglobi anche la Sinistra (di e nel governo), trova ostacoli e abiure (ius soli, immigrazione regolata, lotta alle diseguaglianze a partire dalla ridistribuzione della ricchezza da rendita e non di lavoro come la tassa di successione) in primis dal Premier Draghi con coro della Destra dentro e fuori dal governo medesimo). Dopo la pandemia (a livello mondiale tutt’altro che mitigata e messa sotto controllo) un risposta potrebbe essere questa: se il capitale si rimetterà in piedi come prima e l’informazione passerà ancora come passa oggi, saremo purtroppo lontani anni luce da una prospettiva di organizzazione antitetica e in tal modo la disaffezione per una politica afasica che si appiattisce nell’amministrazione delle cose, prima di aver risolto e superato gli scempi di un modo di produzione che allarga sempre più la forbice delle disuguaglianze, senz’altro non potrà essere foriera di un recupero della politica con una partecipazione diffusa e dal basso. Secondo l’ultimo rapporto del Censis, “il sistema-Italia è una ruota quadrata che non gira: avanza a fatica con un disumano sforzo”. Quali sono le cause di questa situazione? La “ruota quadrata” di cui parla il Censis è il risultato di ciò di cui (spero chiaramente) dicevo prima: cioè dello stallo dell’organizzazione politica del conflitto, ovvero la crisi e la scomparsa del ‘partito’ che è dire semplicemente: quella mancanza di quell’elemento cosciente e collettivo che possa valorizzare il conflitto, la lotta e quindi lo stesso mutamento sociale, vale a dire la trasformazione delle ruote da quadrate a tonde. È difficile pensare che una volta superato il Covid non rimangano tracce dei mutamenti intervenuti con lavoro e didattica “a distanza”. Siamo di fronte alla formazione di un nuovo paradigma di società? Personalmente, penso che siamo semplicemente di fronte a un maquillage digitale con l’accentuazione di differenze di classe provocate da un sempre crescente digital divide (lo si è visto con il pernicioso fenomeno della dispersione scolastica dell’ultimo anno, tutto funzionale a stressare il baratro economico e culturale tra pochi privilegiati ricchi e tutti gli altri poveri e a rendere più funzionale la stessa logica del profitto). Ci si illude così di poter a breve vivere nel “Paese delle Meraviglie” tecnologiche e in un altro paradigma sociale, come fossimo tutti dei novelli “Alice” in un labirinto granitico, per scoprire che poi alla fine in effetti, si rimane sempre dentro il vecchio effetto “Macondo”, in cui il mondo gira in tondo, così come narrato da Gabriel Garcìa Màrquez in “Cent’anni di solitudine”. Ma quello era frutto della fantasia di un grande genio della letteratura mondiale; nella realtà odierna si è invece costretti a constatare che non è il mondo “che gira in tondo”, bensì prepotentemente e pervicacemente, senza alcuna resipiscenza, “questo” mondo… così uguale e così diverso, nelle sue sempre più ampie diseguaglianze economiche e sociali… che null’altro fanno se non acutizzare i conflitti economici e sociali…

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