Governo: Draghi e le Regioni, la Lombardia è ormai il manifesto dell’incapacità leghista…

Un Paese ormai in ginocchio e piegato sui gomiti per via di una precedente crisi economica mai finita, che ci vedeva già ultimi in Europa per il Pil e per grandezza del debito pubblico. Un anno di pandemia da Covid letteralmente devastante sul piano sanitario economico e sociale… un popolo che ha finito la fiducia nelle proprie istituzioni e in se stesso… Questo in breve lo scenario in cui nasce e si insedia 5 settimane fa il Governo Draghi 1, definito come un governo di unità nazionale, nel tentativo di salvare il Paese da una déblacle clamorosa. La conferenza stampa di venerdì scorso ha confermato che il premier non è soltanto un tecnico, ma anche un politico di razza. Perfettamente in grado di tenere il punto con un pezzo importante della propria maggioranza: la lega. Imbarcatasi all’ultimo minuto sulla scialuppa di salvataggio di Draghi e già in difficoltà rispetto a se stessa e alle questioni e comportamenti del suo passato, dentro un presente che naviga su una rotta precisa, ma assai nuova per la compagine leghista. Draghi segue la propria rotta e agenda, che è tutta dettata dall’emergenza socio-sanitaria e in minima parte coincide con quella del Capitano; o perlomeno, con la narrazione su cui aveva costruito la propria fortuna Salvini. Al quale resta un solo modo per rassicurare gli ultrà del suo mondo che, ultimamente, non ci vedono chiaro far parlare i suoi Pasdaran (vedi l’ottima intervista concessa da Claudio Borghi a “Repubblica”) per presentare il sostegno a questo governo come passaggio transitorio, quale ripiegamento tattico magari sofferto ma purtroppo necessario in attesa prima o poi dei “pieni poteri”. La Lega quindi vive nella e della doppiezza salviniana. Il leader leghista ha abbassato i toni, ma non molla: “Lavoriamo fianco a fianco con Draghi perché dopo Pasqua si riaprano le attività nelle città fuori dall’emergenza. Lavoro e salute devono camminare insieme”. Ma la realtà è che da oggi più di mezza Italia sarà in zona rossa, con Calabria, Toscana e Valle d’Aosta che si vanno ad aggiungere alle 8 Regioni e alla provincia di Trento, mentre il bollettino dice che ci sono ancora 20mila contagi e 300 vittime al giorno, con quasi 3.700 malati in terapia intensiva. In questi giorni, i ripetuti moniti di Mario Draghi in teoria avrebbero dovuto sortire l’effetto benefico di riportare le Regioni alla disciplina. Invece no. Le Regioni restano (tutte) polemiche, chi più chi meno, contro Roma. E, la Regione più in difficoltà sembra destinata a diventare terreno di scontro tra il Partito democratico e la Lega. I democratici chiedono un intervento tempestivo, a fronte di errori, ritardi e disguidi organizzativi sull’andamento delle vaccinazioni. Finora il governo non si è mosso per non spezzare l’equilibrio nella maggioranza, ma non potrà ignorare a lungo i malumori interni. Intanto, Il governatore Pd dell’Emilia-Romagna Stefano Bonaccini polemizza con il collega della Campania, suo compagno di partito, Vincenzo De Luca. Il motivo del contendere sono le dosi dello Sputnik, acquistate dal governatore campano prima ancora che sia arrivata l’autorizzazione di Ema o Aifa: “Nessuna Regione italiana può acquistare i vaccini per conto proprio, per come stanno le regole oggi, se le regole cambieranno vedremo. Sicuramente nessuna Regione può acquistare vaccini senza l’autorizzazione degli enti regolatori che vigilano su sicurezza ed efficacia”. Bonaccini, che pure in passato aveva sollecitato il governo ad acquistare il vaccino russo non appena fosse passato dal controllo di Ema, l’ente regolatorio europeo, ha però bocciato la mossa del collega De Luca. Oggi, lunedì, ci sarà in giornata un incontro con il governo che si spera chiuda ogni polemica sulla organizzazione e i criteri della vaccinazione. D’altronde l’accusa lanciata da Draghi in Parlamento alle Regioni che trascurano «i loro anziani in favore di gruppi che vantano priorità probabilmente in base a qualche loro forza contrattuale» è stata percepita come troppo dura per non sortire effetti… Infatti, c’è un problema nel problema. Si chiama Lombardia. E’ diventata un caso nazionale, perché stiamo parlando di quella che è (era?) la locomotiva del Paese. Su questo finora Draghi non si è mosso. Paura di creare un conflitto interno fra Partito democratico (e Movimento cinque stelle) e Lega-Forza Italia? Probabile. Ma se le cose non dovessero cambiare, a questo scontro interno all’esecutivo prima o poi si arriverà, perché ormai il problema è nazionale. Non è un caso se nella prima riunione della segreteria dell’era Letta – più sensibile della precedente segreteria romanocentrica – il Partito democratico ha discusso proprio di questo problema. Letta non chiede il commissariamento, almeno per il momento, ma di certo il partito non intende osservare passivamente il disastro lombardo targato Fontana, Moratti e Bertolaso, anche su spinta del PD di Milano che ha promosso una petizione popolare per chiedere il commissariamento della Regione Lombardia – già sottoscritta da 25mila persone in pochi giorni. Spiega Silvia Roggiani, segretaria dell’area milanese del partito: «La Lombardia ha bisogno di aiuto, e non basta pensare che sia sufficiente far dimettere qualche dirigente per risolvere le cose. È un anno che denunciamo ritardi e continui errori, e a nulla sono serviti i cambi di poltrone decisi da Fontana. Questa giunta deve prendere atto del suo fallimento e smetterla di nascondersi dietro proclami e scaricabarili. Insieme alle cittadine e ai cittadini chiediamo che il Governo mandi in Lombardia un Commissario capace di gestire le vaccinazioni e di mettere fine a questo incubo». Draghi non potrà ignorare il malumore del Partito democratico. Da parte sua, il nuovo segretario ha ben presente tre cose. Primo, che la pessima prova dei governanti lombardi – oltre ovviamente a causare disastri sul piano umano e sociale – rallenta la campagna nazionale di vaccinazioni; secondo, che il Partito democratico deve guardare con tempismo e continuità al Nord e ai suoi problemi se vuole recuperare un minimo di competitività politica e elettorale; terzo, che la distinzione, anche conflittuale, con la Lega non va oscurata, quando in questione ci sono battaglie così importanti. Ecco perché il Nazareno vorrebbe qualcosa di più da un governo che conta ben nove ministri lombardi al suo interno. Difficile che di fronte ai ritardi, gli errori, i disguidi organizzativi basti esortare Fontana e Letizia Moratti nonché Bertolaso, ad attenersi alle regole nazionali sulla vaccinazione. La colossale figuraccia sul “licenziamento” di Aria cui la giunta lombarda aveva affidato l’organizzazione della campagna vaccinale è solo l’ultimo, penoso episodio dell’operato del trio Fontana-Moratti-Bertolaso. Da mesi i dem milanesi chiedono le dimissioni del governatore (e hanno ottenute quelle di Gallera) ma la situazione non è certo cambiata. Moratti propone la partecipazione alla produzione del Pil, quale criterio di selezione delle classi d’età da vaccinare per prime (alla faccia degli anziani e del fragili), Fontana continua a nascondersi dietro a questo o quel dirigente “infedele”. Bertolaso si infastidisce quando i giornalisti lo criticano (penoso il suo abbandono durante una civilissima intervista di Skytg24) ma il suo operato non pare affatto difendibile. Di qui lo strappo dei dem di Milano con la richiesta urgente dl commissariamento della Regione Lombardia da parte di Draghi: “Presidente, commissari la Lombardia prima che sia troppo tardi”. Enrico Letta per il momento ascolta e non sollecita ancora l’accoglimento della richiesta del Pd lombardo. Ma di fronte al disastro mai finito della Giunta Fontana su Covid e vaccinazioni. Mario Draghi e i ben nove ministri lombardi alla fine che faranno?

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