Governo Draghi: s’è spezzato l’incanto, nelle danze per il Quirinale, comunque vada, ci giocheremo il magico equilibrio su cui abbiamo campato un anno…

Ho già accennato nell’ultimo post di un paio di giorni fa, che le cose per il Governo Draghi… ma per meglio dire, per il nostro Belpaese si sono rimesse in salita… è riapparsa (ma forse non era mai scomparsa) la “variante Caos”. Nelle ultime settimane, una volta aperte ufficialmente (da Silvio Berlusconi) le danze per il Quirinale, s’è spezzato quell’incanto, quel magico equilibrio su cui Draghi ha fatto campare per un anno il Paese guidando con indiscusso successo sia il piano vaccinale che l’impostazione del Pnrr nonché le riforme necessarie per la sua attuazione con l’arrivo e la spesa dei circa 200 miliardi di euro tra prestiti e sussidi gratuiti delle risorse dall’UE, miliardi necessari al rilancio economico e sociale dell’Italia… Si è notato chiaramente come su una serie di misure della manovra di bilancio e per buon ultimo nelle trattative sulla mini riforma fiscale inclusa per l’appunto nella manovra,  le forti fibrillazioni che ci sono sia all’interno che tra i partiti, che compongono l’attuale maggioranza. In tanti per non dire tutti, hanno altresì percepito l’insofferenza crescente di Draghi…   e nessuno dotato di un minimo pensiero, può pensare di costringere controvoglia Draghi a restare a Palazzo Chigi, fosse anche per il bene della Nazione, facendolo “traballare” sulle singole  “bandiere identitarie” di questo o quel partito, prescindendo dalle vere priorità di governo legate al controllo sanitario della pandemia e/o di quelle economiche del paese all’interno dell’Europa. Per cui di questa insofferenza e volontà del Premier bisogna prendere atto. Ed ecco che in queste ore si fa strada qualche certezza: se Draghi chiederà di traslocare al Colle, nessuno dei principali leader oserà dirgli di no. Per una ragione o per l’altra, tutti quanti sono propensi ad accontentarlo. Compreso Giuseppe Conte. Compresa Giorgia Meloni. Escluso il solo Berlusconi che lo vede essere l’unico suo competitor possibile e lo vuole tenere a Palazzo Chigi. La candidatura del Premier è dunque già un bel pezzo avanti… Resta da definire un certo numero di dettagli che ad alcuni possono sembrare formalità, ma per altri non lo sono affatto. Sussiste ad esempio un dubbio che gli uffici giuridici di Palazzo Chigi stanno mettendo a fuoco, vale a dire cosa accadrebbe se il Presidente del Consiglio diventasse Capo dello Stato, chi terrebbe le consultazioni per il nuovo governo (il presidente uscente o quello entrante?), come si regolerebbe Sergio Mattarella (potrebbe aspettare la scadenza del 3 febbraio o dovrebbe congedarsi in anticipo?) e altri piccoli rompicapo del genere. Non è quindi vero che brancoliamo nel buio sulla corsa al Colle ci sono quindi già alcune cose alquanto chiare. La prima riguarda per l’appunto Mario Draghi. In tutti gli ambienti altolocati, comprese alcune Cancellerie europee, si dà per scontato che Lui non veda l’ora di trasferirsi al Quirinale. Evidentemente ne hanno avuto qualche conferma. Lui stesso evita di smentire, pur avendone avuto più opportunità; e tutti i vari personaggi con cui è in contatto hanno la netta percezione che l’uomo, come è stato accennato, sia sempre più insofferente e sempre meno disposto alle contorsioni cui deve sottostare per guidare il Governo. C’è un ulteriore problemuccio. Draghi può offrire al massimo la propria disponibilità, ma poi qualcuno lo dovrà ben proporre ai 1000 e rotti grandi elettori. Quel qualcuno non potrà essere del Centrodestra visto che Silvio Berlusconi, si è messo in pista ed è assolutamente convinto di potercela fare e addirittura in queste ore si sta preoccupando di che fine farebbe Forza Italia, e se lui potrebbe in qualche modo continuare a pilotarla da Presidente della Repubblica per telefono o per interposta persona. Pensare di liquidare le sue ambizioni con qualche “ammoina” di pura facciata è al momento una pia illusione. Ma ciò significa che, se non prenderanno il coraggio a due mani, Giorgia Meloni e Matteo Salvini dicendogli chiaramente che non è il loro candidato gli stessi resteranno prigionieri del Cavaliere, perlomeno fino al quarto scrutinio, quando si abbasserà l’asticella del quorum. Nel frattempo, Draghi dovrà mettersi in lista d’attesa, incrociando le dita perché nelle campagne acquisti Silvio è il più bravo di tutti. E comunque – e siamo alla terza certezza – per l’ex presidente della Bce ecco che non ci sarà la cooptazione al primo scrutinio (come fu per Ciampi); il plebiscito a “furore di popolo” sembra già sfumato per colpa del guastafeste Berlusconi… Dopodiché ci sarà da convincere l’ancora ampia base parlamentare. Metà dei “peones” sanno di essere all’ultimo giro in quanto, se si andrà a votare, non verranno nemmeno ricandidati; e sono pronti a scommettere che, un secondo dopo il trasloco del premier, la Lega si sfilerebbe dalla maggioranza per rifarsi il look all’opposizione. A quel punto delle due l’una: o Cinque stelle e “Dem” si caricheranno il governo fino al termine della legislatura; oppure si tireranno indietro anche loro per giocarsela alle elezioni. Nel primo caso otterranno tot poltrone ministeriali in più, quelle lasciate libere dal centrodestra; nel secondo, potranno sperare di perdere bene, piazzando in Parlamento gente più fedele ai capi. Il dilemma non è ancora stato sciolto né da Enrico Letta né dall’Avvocato del popolo Giuseppe Conte. Ma in attesa che questi due decidano di decidere, tra deputati e senatori impazza il TTD, acronimo di “Tutti Tranne Draghi”. Pur di non votarlo per non correre il rischio di andare a votare, qualcuno, chissà (nel segreto dell’urna) potrebbe perfino essere tentato di sostenere sottobanco Berlusconi (pensate chi potrebbe essere, al di là delle dichiarazioni ufficiali) il Cavaliere si presenta come il più forte antidoto a Super Mario. Insomma, la penultima certezza della corsa al Colle è che a Draghi manchino alcuni tasselli, senza i quali finirebbe nel mirino dei “franchi tiratori” e resterebbe impallinato due volte, perfino se fosse eletto; perché una cosa è venire acclamati, altra cosa è sfangarla di qualche voto di maggioranza dopo selvagge conte di voti: nel secondo caso verrebbe meno ogni prestigio politico ed autorevolezza necessaria per essere un Presidente della Repubblica forte e di tutti… altro che il “semi-presidenzialismo di fatto” auspicato da Giorgetti dal sentore gollista o napoleonico. Come d’altronde è stato da noi per Mattarella, come per Napolitano e anche per Scalfaro e Ciampi e direi per molti predecessori fino a Luigi Einaudi. Anche Draghi dovrebbe quindi accontentarsi di aggiustare l’Italia con la “cassetta degli attrezzi”, quella solita, che gli fornisce la Costituzione. Da qualsiasi parte si approcci la questione Quirinale ecco che affiorano difficoltà… “Non c’è alcun dubbio: si può dire che siamo al trionfo dell’ipocrisia. Nella politica italiana vince sempre la tattica, la visione di corto respiro, l’interesse immediato da far prevalere per mettere nell’angolo l’avversario di turno”. Scrive Luciano Fontana sul Corriere della Sera. I partiti che compongono questa larghissima maggioranza dovrebbero, coinvolgendo anche l’opposizione (ma non ne sono capaci) sedersi intorno a un tavolo e stabilire che insieme cercheranno un nome per il Quirinale con caratteristiche chiare: una personalità che rappresenti l’unità del Paese, abbia autorevolezza e prestigio sul piano internazionale, dia fiducia a ognuno di noi. Ogni altra strada porta invece allo scontro, alla lotta di fazioni che coinvolgerebbe la massima istituzione del Paese in un momento molto delicato. Invece, si continua con calcoli di bottega sulla scelta del Presidente della Repubblica. È questo che vogliono i partiti? Sembrerebbe proprio così… L’ultimo punto fermo nelle danze del Quirinale è che, comunque vada a finire, ci giocheremo il magico equilibrio su cui abbiamo campato questo ultimo anno, agganciando la ripresa e tenendo a bada l’epidemia. A governarci non sarà più Draghi, che se andrà al Quirinale riceverà scolaresche, ambasciatori, emiri di passaggio, oppure girerà il mondo in rappresentanza del Belpaese, e comunque dovrà restare il garante super partes che non s’immischia nelle transazioni di governo, nelle nomine, nei pastrocchi. Saremo quindi costretti a tornare a votare oppure ci terremo un “governicchio” guidato da un non eletto (nemmeno Marta Cartabia lo è) che per un anno e mezzo si reggerà sui transfughi berlusconiani e, peggio ancora, sullo statista di Rignano sull’Arno nonché famoso conferenziere internazionale e “rottamatore” per tutte le stagioni. E pensateci un po’, ammesso e non concesso: se Draghi venisse sconfitto nella corsa al Colle siamo sicuri che potrebbe restare a Palazzo Chigi come se niente fosse? Io credo di no! Sarebbe alquanto ammaccato oltre che costretto a starci mal volentieri, sarebbe giustamente risentito del trattamento subito e avrebbe la valigia in mano pronto ad andarsene da tutt’altra parte. Ho più che  la semplice impressione, che ormai Draghi o non Draghi l’incantesimo si sia già spezzato, causa la solita debolezza di idee dei partiti e dei loro leader, il disastro è stato annunciato ed è alle porte da qualche settimana e che, sia già troppo tardi, per rimediare con tutte le conseguenze del caso…

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