Governo: Gli autonomi riescono a evadere i due terzi dell’Irpef. Ma il governo guarda altrove Giorgia Meloni vuole concentrare i controlli su grandi società e grandi frodi Iva…

  Inchieste L’Espresso

 

 

…le tasse da recuperare tra professionisti e commercianti sono molto più elevate. Lo conferma un rapporto del ministero dell’Economia.

di Vittorio Malagutti

Giorgia Meloni non ha perso tempo. Prima ancora di entrare a Palazzo Chigi, nel discorso per il voto di fiducia alla Camera, ha messo in chiaro quale sarà la rotta del nuovo governo nella lotta all’evasione fiscale. Si partirà da «grandi imprese e grandi frodi sull’Iva», ha scandito Meloni. La “mission” è chiara: il mirino di controlli e verifiche va orientato verso i bersagli più grossi, nella convinzione che il buco nero delle tasse, quei 100 miliardi di euro circa che ogni anno mancano all’appello nelle dichiarazioni dei redditi, sia in primo luogo l’effetto delle manovre di un numero relativamente ristretto di società capaci di occultare i loro profitti nei modi più svariati.

«Il nostro motto sarà non disturbare chi vuole fare», ha promesso la presidente del Consiglio. Parole che suonano come l’annuncio di una tregua sul fronte delle imposte per un esercito di partite Iva, professionisti, artigiani, commercianti, un blocco sociale che vale milioni di voti per il centrodestra. Caso vuole che giusto un paio di settimane dopo il discorso di Meloni in Parlamento, il governo abbia reso pubblico l’annuale rapporto sui risultati del contrasto all’evasione fiscale.

Evasione % dell’Iva sul totale del gettito potenziale

Il documento, più di cento pagine fitte di numeri e tabelle, descrive una realtà molto diversa da quella raccontata in Parlamento dalla leader di Fratelli d’Italia.

Una parte dell’analisi si concentra sul cosiddetto “tax gap”, cioè il valore delle imposte non pagate sul totale di quelle che potenzialmente potrebbero essere riscosse. Ebbene, come già negli anni scorsi, il rapporto torna a segnalare che il grosso dell’evasione si concentra sull’Irpef a carico del lavoro autonomo e d’impresa. Un dato su tutti: in base alle stime preliminari del 2020, le ultime disponibili, il 68,7 per cento dell’Irpef potenziale non viene incassata. Significa che i lavoratori autonomi non hanno pagato 27,6 miliardi di euro dovuti al Fisco. Un buco nero che vale circa l’1,7 per cento del Pil nazionale.

È in rosso anche il bilancio dell’Iva, un altro tributo che per una quota rilevante grava su liberi professionisti, artigiani e commercianti. Qui le imposte evase ammontano a 23,1 miliardi, che corrispondono a un tax gap del 19,3 per cento. Sul fronte dell’Iva, però, la situazione è in graduale miglioramento ormai da anni. Merito in buona parte dell’introduzione di misure come l’obbligo di fatturazione elettronica e lo split payment. Nel 2019, la quota di imposta sul valore aggiunto non pagata superava il 20 per cento (20,3) e nel 2016 si viaggiava intorno al 26 per cento (26,1).

Nonostante questi progressi, l’Italia resta però in grave ritardo rispetto a gran parte dell’Europa. Le statistiche della Commissione di Bruxelles rivelano che soltanto in quattro Paesi dell’Unione (Romania, Grecia, Malta e Lituania) il dato sull’evasione dell’Iva è maggiore di quello italiano. Il tax gap della Francia si aggira intorno al 7 per cento e quello tedesco è inferiore al 9 per cento, meno della metà rispetto all’Italia. A conti fatti, se si somma il valore dell’evasione di Irpef e quello dell’Iva si arriva a circa 50 miliardi di euro nel 2020, 10 miliardi in meno rispetto al 2019. Va però tenuto presente che due anni fa l’attività economica e quindi anche i redditi dei contribuenti, hanno subìto una contrazione per effetto della pandemia. Di conseguenza si è ridotto anche il giro d’affari potenziale dell’evasione. Il dato da considerare è quello del tax gap percentuale e qui i valori restano molto elevati. Nel caso dell’Irpef, come detto, la quota sfuggita all’Erario è addirittura aumentata tra il 2020 e il 2021.

I numeri confermano che per l’Italia resta ancora molta strada da fare per avvicinare gli standard europei nella lotta all’evasione fiscale. Il grave ritardo di Roma è confermato anche dal Pnrr, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza da cui dipendono 191,5 miliardi di finanziamenti destinati al nostro Paese dalla Ue.

Nell’ambito delle misure per la riforma dell’amministrazione fiscale, che è una delle missioni fissate dal Pnrr, è stata infatti inclusa anche la riduzione del tax gap. In pratica il governo italiano si è impegnato a tagliare la percentuale di tasse evase sul totale del gettito potenziale di tutti i tributi, escluse Imu e accise.

Irpef, evasione da record (% imposta evasa sul totale)

La quota dovrà scendere dal 18,5 per cento del 2019 al 17,6 per cento del 2023 fino al 15,8 per cento che è l’obiettivo per il 2024. Non è una mission impossible, ma certo non sarà facile rispettare la tabella di marcia fissata sulla carta, come si intuisce da un semplice confronto con quanto è successo negli anni scorsi. Il tax gap, che era al 21,4 nel 2015, si è ridotto di soli 3 punti percentuali nell’arco di quattro anni. Ebbene, adesso l’Europa chiede a Roma di dare un taglio netto di altri 2,7 punti entro il 2024. Non sono ancora disponibili i dati completi relativi al 2020, ma in base alle prime elaborazioni su Irpef e Iva è improbabile che nell’anno della pandemia ci siano stati passi avanti significativi nel percorso della riduzione del tax gap.

«Dobbiamo concentrare i nostri sforzi sui grandi evasori», va ripetendo Giorgia Meloni. A questo proposito, il documento pubblicato dal governo si occupa anche di Ires e Irap, le due principali imposte che gravano sui conti delle aziende. Proprio su questi tributi dovrebbero quindi concentrarsi in buona parte gli sforzi dell’esecutivo di centrodestra, se davvero vorrà mettere in pratica quanto annunciato il mese scorso da Meloni in Parlamento. Ebbene, in base al rapporto diffuso nei giorni scorsi dal ministero dell’Economia, per l’Ires la quota di gettito non riscossa ammonta nel 2020 al 23,7 per cento, mentre l’Irap è al 17,8 per cento. Le tabelle a corredo del documento segnalano anche che per le due imposte che gravano sulle imprese, due anni fa i mancati incassi da parte dello Stato hanno toccato i 13,5 miliardi di euro, circa 800 milioni in più rispetto all’anno precedente. Anche qui ci sono ampi margini di miglioramento, ma se davvero nei prossimi anni il governo Meloni riuscisse ad arginare il flusso di denaro nero che gonfia i profitti di migliaia di aziende, i vantaggi per le casse dello Stato ammonterebbero nella migliore delle ipotesi a una manciata di miliardi. Ben maggiori sono le somme che potrebbero essere intercettate con una più efficace lotta all’evasione di Iva e Irpef. Per queste due imposte, come detto, il Fisco è chiamato a recuperare circa 50 miliardi di euro non pagati dai contribuenti nel solo 2020.

Di sicuro, nei prossimi mesi, l’Agenzia delle Entrate sarà chiamata ad allineare la propria attività alle nuove priorità stabilite dal governo. Passando dalle parole ai fatti, il mandato sarà quello di aumentare i controlli nei confronti dei pesi massimi, le grandi aziende, banche e multinazionali che secondo la presidente del Consiglio sarebbero le massime responsabili della mostruosa evasione fiscale italiana.

Va detto che la macchina fiscale arriva da due anni, il 2020 e il 2021 segnati dalla pandemia, in cui le verifiche hanno marciato a passo ridotto. E infatti il valore delle imposte riscosse per effetto delle misure di contrasto all’evasione è calato dai 19,9 miliardi del 2019 ai 12,7 miliardi del 2020 con un recupero parziale a 13,7 miliardi fatto segnare nel 2021.

Resta da vedere, nella pratica, come verrà riorganizzato il lavoro del Fisco in ossequio alle nuove direttive del governo. Negli ultimi anni è stato dato grande impulso alle cosiddette lettere di compliance, che permettono al contribuente di regolarizzare in autonomia la propria posizione fiscale con pagamenti ridotti, senza atti di accertamento o liquidazione. Con il cambio di rotta nella strategia dei controlli, negli ambienti politici ora viene dato per molto probabile un avvicendamento al vertice dell’Agenzia delle Entrate. Potrebbe quindi uscire di scena il direttore Ernesto Maria Ruffini, in carica dal gennaio 2020, quando il governo Cinque Stelle-Pd lo richiamò a un incarico che aveva già ricoperto tra il 2017 e il 2018, ai tempi dell’esecutivo guidato da Paolo Gentiloni.

Al ministero dell’Economia, invece, la regia degli interventi sul fronte delle tasse dovrebbe essere affidata al viceministro Maurizio Leo, un tributarista di lungo corso che è tornato alla Camera con Fratelli d’Italia dopo aver esordito in Parlamento nel lontano nel 2001 nelle fila di Alleanza Nazionale. Leo, che è stato anche assessore al Bilancio a Roma con la giunta Alemanno tra il 2009 e il 2011, nell’ultima campagna elettorale ha indossato la divisa del militante anti-tasse, del difensore di artigiani e professionisti vessati dal Fisco iniquo. Tante promesse: dalla rottamazione delle cartelle esattoriali alla flat tax per le partite Iva fino a 100 mila euro di ricavi. Adesso, però, gli slogan devono fare i conti con la realtà dei conti dello Stato. E allora la tassa piatta per i lavoratori è confermata, per il momento, ma con tetto a 85 mila euro, mentre il saldo e stralcio dei vecchi debiti fiscali verrà scaglionato in base agli importi dovuti all’Erario. Di tutto il resto si parlerà più avanti. Forse.

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