Governo: la normalità del governo Conte 2 è la crisi permanente…

Il presidente del Consiglio ha innervosito tutti con la sua decisione di affidare a sei manager la gestione del Recovery Fund, e anche il ruolo dei ministri Gualtieri e Patuanelli, percepiti dai partiti della maggioranza come troppo vicini al premier, crea malumori. In Parlamento ci si prepara a sei mesi molto complicati, in cui nessuno vuol far davvero cadere il governo, ma l’incidente può arrivare in qualunque momento. Ieri si è votato sul Mes. I numeri erano incerti al Senato, ma alla fine la camera alta ha approvato la risoluzione di maggioranza, presentata sulla riforma, in vista del consiglio europeo, di oggi e domani. I favorevoli sono stati 156, 129 i contrari e 4 gli astenuti. “Sono tranquillo, certo…”, risponde il premier Giuseppe Conte, lasciando il Senato, dopo il via libera della risoluzione di maggioranza sul Mes. Diversi i commenti giornalistici: Giuseppe Conte – Tommaso Labate al TgLa7: “Rassegnato a presentarsi in Europa così”, altra figuraccia”. Rincara la dose Enrico Mentana e avverte Giuseppe Conte: “Operazione catastrofica, lo metto a verbale”. Perché mai tutto ciò? Il governo, in mattinata, aveva superato anche lo scoglio del voto alla Camera e la risoluzione sulla riforma del fondo ‘salva Stati’ è passata con 297 sì. Il temuto strappo dei 5S non si è consumato anche se la ‘fronda’ dei dissidenti grillini a Montecitorio si è attestata a quota 13 voti contrari (e 10 assenti). Mentre sono stati 16 i deputati di Forza Italia che non hanno preso parte al voto della risoluzione di maggioranza alla Camera. Ma è in Senato che si è alzata la tensione, soprattutto proprio nella maggioranza e se non sul Mes, sul Recovery Fund. Duro l’annunciato affondo del leader di Italia viva Matteo Renzi che ha ribadito la sua contrarietà alla governance del Recovery Fund proposta dal presidente del Consiglio (una struttura piramidale con una gestione e supervisione politica, in capo al Governo, ma affiancata da una sorta di comitato tecnico esecutore, guidato da 6 manager indipendenti (dei quali non si conosce ancora il nome. I manager dovrebbero essere scelti dal governo ma dovrebbero anche avere poteri eccezionali, essere responsabili degli obiettivi del Recovery con deleghe in deroga alla legislazione vigente. E sarebbero coadiuvati da una task force di 300 persone). A Conte, Renzi ha lanciato un ultimatum: “Sappia che se ha bisogno di qualche poltrona ce ne sono tre, due da ministro e una da sottosegretario, nostre a sua disposizione. Per giocare pulito e trasparente noi di Italia viva diciamo: se nella manovra c’è un provvedimento sulla governance del Next generation Eu e se c’è un provvedimento sulla fondazione dei servizi segreti, noi votiamo contro. Lo diciamo per tempo”, Matteo Renzi ha concluso il suo intervento tra gli applausi del centrodestra. Aria di crisi e rischio di andare a nuove elezioni? Era probabilmente inevitabile, in un governo di coalizione con quattro partiti, che i 209 miliardi garantiti dall’Unione europea provocassero una sorta di “assalto alla diligenza” che prefigura tempi difficili per l’esecutivo di Giuseppe Conte. Le critiche all’idea del presidente del Consiglio di far gestire il Recovery fund a una struttura esterna guidata da sei manager, a loro volta aiutati da circa 300 consiglieri (ridotti dicono già delle voci a soli 90), nascondono una frattura più profonda tra Giuseppe Conte e i partiti che lo sostengono. Una parte delle tensioni sono causate da questioni di potere interne ai partiti (5stelle) e alle amministrazioni dei Ministeri: «Il punto non è dove allocare le risorse che arriveranno, perché parliamo di un’enorme quantità di denaro che riuscirà a soddisfare tutte le richieste. Il tema vero è la gestione dei progetti, chi avrà la responsabilità sugli appalti, chi sceglierà i funzionari, chi decreterà le assunzioni. Insomma si discute sulla regia politica e amministrativa del Recovery fund». In più continua a permanere la questione del Mes sanitario, risorse che occorrerebbero come il pane al nostro sistema sanitario… a fronte di una previsione di spesa delle risorse del Recovery che vede su 196 miliardi ripartiti su varie voci, assegnare alla Sanità 9 miliardi in tutto. Ci si chiede; chi ha deciso questa ripartizione? Quando è stata discussa?  La bozza del decreto fatta filtrare nel pomeriggio di lunedì definisce i compiti dei manager esterni all’esecutivo, che si occuperanno di dare «impulso e coordinamento operativo» alle varie decisioni, «vigilanza e monitoraggio» sui progetti, ma soprattutto «segnalazione e pubblicazione» dei ritardi con «poteri sostitutivi». Di fatto dei commissari straordinari che esautorano i ministri: «È evidente che in questo modo i ministri non potranno rivendicare eventuali risultati politici, potrebbero vedersi ritirare le competenze senza preavviso dai manager nominati dal presidente del Consiglio, e potrebbero non riuscire a incidere politicamente su progetti pensati e scritti dai loro uffici. A questo si aggiunge il malumore per la cabina di regia voluta da Conte che controllerà i sei super manager. In teoria affidare il coordinamento del Recovery fund al ministro dell’Economia Roberto Gualtieri e al ministro dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli è comprensibile: il primo ha in mano la finanza pubblica, il secondo regge l’amministrazione che più di ogni altra dovrà spendere le risorse europee. In pratica l’eventuale nomina di Gualtieri e Patuanelli non piace quasi a nessuno. Non piace a Italia viva e Liberi e Uguali, che si troverebbero in questo modo completamente al di fuori delle decisioni della maggioranza, ma nemmeno ai rispettivi partiti, tutt’altro che uniti nel sostegno ai ministri. Roberto Gualtieri è percepito come troppo vicino a Giuseppe Conte, e non viene più considerato come un nome che unisce dietro di sé tutto il partito; Stefano Patuanelli non rappresenta completamente il Movimento, ed è piuttosto malvisto dall’ala radicale. Le fibrillazioni interne al governo si sommano alle richieste del Parlamento e dei partiti che compongono la coalizione, visto che i tre leader che hanno dato alla luce l’esecutivo hanno agende diverse. «Avere due dei tre leader dei principali partiti, Renzi e Zingaretti, fuori dall’esecutivo e un terzo, Luigi Di Maio, che ha come principale obiettivo politico riprendere il controllo del suo partito, non aiuta l’esecutivo», Queste le considerazioni di più parlamentari della maggioranza, che aggiungono: «Il gioco del leader di Italia viva è abbastanza chiaro, vuole entrare in prima persona nel governo e contare di più, quello del segretario dem è invece più difficile da leggere, perché personalmente non ha nessun interesse a diventare ministro o vicepremier e in realtà, se si va a votare, ci guadagna, perché sceglie lui i prossimi parlamentari e inverte i rapporti di forza con il Movimento 5 stelle, oggi almeno 5 punti percentuali dietro al Partito democratico». Le varie voci dicano che «L’instabilità perdurerà fino a luglio», quando entreremo nel semestre bianco e Sergio Mattarella non potrà più sciogliere le camere. Il Movimento 5 Stelle esclude categoricamente, almeno a microfoni accesi, il ritorno alle urne: «In questo momento sembra una follia pensare che una parte della maggioranza pensi di andare a votare», dicono più voci e aggiungono «Oggi la maggioranza deve lavorare compatta per superare questa fase di crisi. E se c’è qualcuno che non sta apprezzando il lavoro di Conte sicuramente non è nel Movimento 5 stelle, con tutto quello che ha ottenuto, a partire dai 209 miliardi del Next Generation. Se si cerca un’opinione diversa si deve chiedere, a un esponente di Italia viva o a qualche altro esponende dei dem o di LeU». E però Italia viva è probabilmente ancor meno tentata dal voto: il partito di Matteo Renzi è attorno alla soglia del 3%, e in caso di elezioni anticipate (soprattutto provocate da lui) rischia seriamente di restare fuori dal prossimo Parlamento. Ecco perché la minaccia far saltare tutto è poco temuta, e considerato ancora un ricatto per aver qualcosa in più. Ma, «Quando fai casino rischi di finire al Papeete, non si sa mai bene come si evolvono le crisi nel Parlamento italiano» sorridono alcuni dirigenti dem. Matteo Renzi e Nicola Zingaretti condividono tuttavia l’analisi sull’immobilismo del presidente del Consiglio: «Conte deve cominciare a prendere delle decisioni politiche su dossier che non si capisce come mai sono ancora fermi: perché non riusciamo ad andare avanti sulla legge elettorale, sulle riforme dei regolamenti parlamentari e su altri temi fondamentali come la cybersecurity? Quando Zingaretti dice che “tirare a campare non ci interessa” vuole dire a Conte che guidare il governo implica fare delle scelte politiche. Il ruolo di Conte è l’ultimo pezzo del puzzle. Il presidente del Consiglio ha avuto una funzione storica abbastanza definita: è diventato capo del governo per fungere da mediatore, prima tra Salvini e Di Maio, poi tra Partito democratico, Movimento 5 Stelle, Italia viva e Liberi e uguali. Ora però questa funzione sembra superata: i leader dei partiti di maggioranza parlano tra loro, Movimento 5 stelle e Partito democratico in particolare hanno superato alcune diffidenze reciproche, l’alleanza è «inesorabile» come dice Dario Franceschini? In realtà non è per niente così… Franco Bechis ospite di Enrico Mentana allo speciale del TgLa7 per seguire il voto sulla riforma del Mes. Il direttore del Tempo ricorda: “Renzi dice che non ha fermato i pieni poteri di Matteo Salvini per darli a Conte”, frase più volte ripetuta negli ultimi giorni dal leader di Italia Viva e dai suoi fedelissimi. Dunque, sornione, Bechis aggiunge: “C’è il tema dei pieni poteri di Conte e agita il vertice del Pd, dietro le quinte”. Insomma, anche secondo Bechis, il Pd condivide le critiche mosse da Renzi al premier, condivide la battaglia contro la task-force sui fondi europei, ma preferisce non esporsi (o, meglio, lo fa senza difendere Conte). Insomma, uno scenario complicatissimo per il premier. Eppure il Premier, pur in calo di consensi, continua a essere il politico più apprezzato dagli italiani, una popolarità che senza dubbio lo aiuta a restare in sella e che a un certo punto dovrà essere capitalizzata politicamente. All’attacco di Renzi: “C’è stato un colossale fraintendimento sulla struttura di missione” – per il Recovery plan, ha replicato il premier Conte – “che deve avere compiti di monitoraggio e non sottrarrà potere e competenze ai ministeri. Dovrebbe solo essere prevista una clausola di salvaguardia nel caso in cui le amministrazioni centrali non possano intervenire a esercitare i poteri sostitutivi”. E poi ha precisato che la struttura del Recovery plan “servirà per garantire la realizzazione degli interventi ed evitare che si sprechino risorse ma la responsabilità rimane sempre nel governo perché servirà l’autorizzazione del Cdm”. Consiglio dei ministri che anche questa sera non si è tenuto. “L’approvazione da parte delle due Camere della posizione a sostegno del Mes è sicuramente una buona notizia, anche se in Europa Conte, in questi due giorni, ci va alquanto indebolito. Quella riforma è figlia anche degli sforzi e dell’impegno del governo Italiano per migliorare una opportunità di credito che il Pd continua a vedere utile per l’Italia. “Ora per andare avanti è importante trovare soluzioni, soprattutto da parte del governo, ai tanti nodi aperti nella maggioranza”, il commento del segretario del Pd Nicola Zingaretti. Questa la situazione che vede: la normalità del governo Conte 2 essere la crisi permanente… Ed Ecco perché, fino a fine luglio, ogni incidente di percorso potrebbe aumentare la tentazione di far saltare il governo, o meglio non volendo nessun partito andare al voto anticipato a cambiare colui che lo presiede…

E’ sempre tempo di Coaching!

Se hai domande o riflessioni da fare ti invito a lasciare un commento a questo post: sarò felice di risponderti oppure prendi appuntamento per una sessione di coaching gratuito

0

Aggiungi un commento