Governo: mosse e contromosse… Dalla Bonetti alla Binetti?

Il Pd sta sbollendo la rabbia verso Matteo Renzi? E la scelta di Italia Viva di astenersi al Senato, facendo abbassare il quorum, è un modo per distendere gli animi? Ma tornare indietro sembra non sia possibile. Con che risultato? Che al posto della ministra renziana, alla Famiglia Elena Bonetti potrebbe andare l’ex teodem Paola Binetti. Non è un colpo di scena, ma l’ennesima puntata di una soap a metà strada fra l’isteria e la noia che però va seguita perché in fondo si sta parlando del governo del Paese, non di una partita a scacchi fra privati. Dunque: ieri Matteo Renzi, dopo gli sfracelli dialettici dei giorni precedenti, ha fatto partire una poco decifrabile strategia di pace, attraverso una serie di segnali intesi a sdrammatizzare il clima dopo averlo arroventato specie nell’ultima conferenza stampa. È come se volesse rientrare in gioco, Renzi, dopo le porte sbattute in faccia da Nicola Zingaretti e Luigi Di Maio, dopo i tentennamenti e i mal di pancia di alcuni dei suoi, dopo il terribile bombardamento mediatico – ma anche a livello di clima generale del Paese – e dopo i severi giudizi, pubblici e non pubblici, di importanti istituzioni italiane e internazionali sulla sua offensiva di questi giorni. Ecco allora la scelta di astenersi al Senato, facendo abbassare il quorum, ecco Teresa Bellanova prima e Davide Faraone poi lanciare segnali di fumo della serie «possiamo ricucire se Conte ci ascolta», senza dire dell’intreccio di telefonate e messaggini verso mezzo mondo per spiegare, tranquillizzare, sedare. E rivendicare una iniziativa che ha cambiato il Recovery plan: «Abbiamo fatto una bella battaglia». Chiariamoci, tornare indietro non è possibile nemmeno al più abile giocatore di calcio capace di dribblare tutta intera la squadra avversaria, e dunque il copione delle prossime ore dovrebbe restare quello di un governo Conte2 bis che incassa la fiducia ampia della Camera e molto meno ampia, forse senza raggiungere nemmeno la maggioranza di 161 voti, al Senato: i calcoli sono tutt’altro che consolidati ma insomma l’attivismo della Ditta dei Costruttori è al massimo dei giri dopo la costituzione del gruppo Italia23 che sarà una specie di soccorso alpino per un esecutivo che avrà costantemente bisogno di ossigeno, un embrione forse di quella aggregazione contiana chiesta dagli ex dc Bruno Tabacci ma anche dall’ex Pci Pier Luigi Bersani che auspica un “Centro democratico” che interloquisca con la sinistra – e ciaone a Renzi. E i possibili e probabili Costruttori dell’Udc subito mettono gli occhi sul Ministero della Famiglia per l’ex leader del Family day Paola Binetti, non esattamente un’apertura a sinistra ma tant’è, sono i giorni di Clemente Mastella, Lorenzo Cesa, Bruno Tabacci, irriducibili democristiani che cercano un ruolo di ‘soccorritori’ tra le macerie del bombardamento renziano del secondo governo Conte… Questo scenario non sembra preoccupare più di tanto il Premie, determinato comunque a ‘sfangarla’ anche questa volta: e sarà interessante vedere se martedì al Senato farà lo statista o cederà alla tentazione di maramaldeggiare su Renzi come fece con Salvini un anno e mezzo fa. Chi invece è sempre più preoccupato è il Pd, che una volta ingoiato il fiele per l’ex segretario fiorentino, intuisce (non ci vuole Machiavelli) che il Conte2 bis sarà molto fragile, aggrappato a palazzo Madama a carneadi che non rispondono a nessuno come i mitili a uno scoglio sbattuto dal mare. Come andrà avanti, una maggioranza che forse al Senato non sarà nemmeno tale e che soprattutto non potrà contare su una forte compattezza politica? Ecco perché Zingaretti è preoccupato e già dice che bisognerà allargare la maggioranza. Sapendo peraltro che sui provvedimenti fondamentali Renzi già c’è, e infatti mercoledì voterà lo scostamento di bilancio: ma dopo? Riemerge quindi, il disappunto per la miscela di immobilismo e furbesca concentrazione del potere attribuiti a Conte. E nel Pd, ristagna il timore che, una volta superato l’ostacolo parlamentare, il capo del governo prosegua sulla strada del passato: oltre tutto condizionato dai voti decisivi di eletti nei quali la «responsabilità» è un eufemismo per velare il trasformismo. Anche per questo il passaggio della settimana prossima appare complicato. La possibilità che i voti si trovino rimane alta. Ma è bassa la convinzione che possano diventare una vera soluzione. Anche perché come già accennato Italia viva, dopo avere dato la spallata e annunciato che si asterrà, manda segnali di possibile riconciliazione. Accusa Conte di rispondere a una richiesta di cambiare politica «cambiando maggioranza». Mette in dubbio che Conte racimolerà in Senato i 161 voti necessari per non andare in minoranza. Insomma, cerca di evitare un isolamento che è nei fatti. Lo stesso Zingaretti e i vertici del Pd assicurano di non volere «vendette» contro i renziani che hanno fatto «un salto nel buio». E ribadisce: se il governo si allarga deve essere «su contenuti e profilo politico». Smaltita la rabbia, e senza fare sconti a un uomo che, a quanto si vede sui social, è odiato dalla base come solo a sinistra si sanno odiare rinnegati, eretici e scissionisti – da Kautsky a Trotskij a Silone – il Nazareno sa che questo quadro politico rappattumato alla bell’e meglio non garantisce moltissimo specie dinanzi alle tremende emergenze del Paese che richiederebbero ben altro clima. Insomma, dopo la fiducia è possibile che torni la calma – nella Prima Repubblica si sarebbe chiamata “decantazione” – magari per ricomporre con Italia viva, non sarà comunque una passeggiata, in effetti Trotskij non finì bene. Ma nelle soap di un certo livello nulla è scontato, nemmeno una crisi-non crisi chiusa formalmente ma nei fatti sempre aperta…

 

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