Governo: oltre l’enigma tecnico o politico, oltre il surreale di una maggioranza ampia con sostegno di Salvini al governo Draghi. Andiamo avanti con le ragioni e le speranze del possibile…

Scrive Ezio Mauro sulla Repubblica: «Il governo di tutti rischia di essere il governo di nessuno. Questo è il vero problema che segna l’agenda di Mario Draghi dopo il primo giro di consultazioni tra i partiti. Un risultato è già chiaro: il governo si farà, semplicemente perché il sistema è arrivato all’ultima spiaggia e rischia di giocarsi i 209 miliardi di aiuti europei per l’incapacità di rispettare i tempi e i modi degli interventi di sostegno straordinari, e delle riforme necessarie per accompagnare e garantire l’intervento della Ue». Già, tutti sono diventati draghiani, in un batter di ciglio, dimenticandosi persino dell’avvocato pugliese di cui ormai sfugge anche il nome… Certo c’è da stare all’erta perché non siamo ancora usciti dal disastro provocato dal virus e dai governi precedenti. C’è soprattutto da valutare il sostegno della Lega, ma se la conversione europeista fosse genuina, cosa di cui c’è molto da dubitare, si aprirebbero scenari positivi per il paese… Vedremo che sarà in grado di fare veramente l’uomo del Papeete… Ecco che andiamo verso un governo dell’arco costituzionale con l’esclusione dell’estrema destra Meloni e, vedremo, che farà alla fine la sinistra di Leu. Mica male come mossa irresponsabile che tuonavano sull’esito disastroso della crisi, lodavano il modello italiano, ironizzavano sulla mossa del caciocavallo di Renzi, argomentavano sui responsabili responsabilissimi, prestavano senatori, si affidavano a Ciampolillo e minacciavano «Conte o voto» al grido di «ci sarà un Conte ter!» E, invece, sarà Mario Draghi a scrivere il Recovery Plan, perché Conte & C. non ne sono stati capaci… Archiviato quindi Conte e tutto l’armamentario propagandistico di Casalino, il garante dell’Italia al cospetto dell’Unione Europea sarà Mario Draghi, l’interlocutore di un’Europa che con la prossima uscita di Angela Merkel non avrà altri leader autorevoli ed esperti quanto l’ex presidente della Bce, protagonista dei vertici europei e dei G20 da molti anni. Siamo fuori dal guado? Ovviamente no. Il compito di Draghi sarà tutt’altro che facile e forse presentare il piano di recovery alle istituzioni europee sarà una passeggiata rispetto a tutto il resto, a cominciare dall’esecuzione dei progetti da realizzare e dalla storica incapacità italiana di utilizzare in pieno i denari senza perdersi nelle pastoie burocratiche, regolamentari e giudiziarie che da decenni fiaccano ogni tentativo di sviluppo del paese, per non parlare dello spreco dei fondi europei che spesso proprio per queste ragioni strutturali si perdono. Draghi dovrà anche organizzare un piano di vaccinazioni degno di questo nome, possibilmente senza primule e senza comitati tecnico-scientifici, partendo dalla spettacolare impreparazione di Conte con la partecipazione straordinaria di Arcuri. Mentre il Ministro Speranza se Leu entrasse al governo, come è possibile, rimarrebbe in continuità avendo dimostrato coerenza e determinazione rispetto a molti responsabili regionali della sanità… altrimenti Draghi perderebbe il sostegno di una forza politica dimostratasi negli uomini importante ben al di là dei numeri di coloro che la votano… Ma Draghi soprattutto dovrà valutare la conversione draghista di Salvini, fino a cinque minuti fa l’alfiere antieuropeo di tutte le baggianate possibili, comprese quelle criminali ed eversive, diffuse da Putin e Trump, da Assad e Orbán. Nessuno dotato di raziocinio può davvero credere alla svolta liberale di Matteo Salvini né, d’altro canto, all’improvvisa saggezza politica di Vito Crimi, ma certo non è il Partito democratico a poter imbronciare il muso avendo governato un anno con Vito Crimi con il programma di Salvini e sotto la guida di un modesto politico come Conte. I Cinquestelle hanno provocato danni inestimabili alle istituzioni, all’economia e alla società italiana, ma ora anche loro sembrerebbe al servizio di Draghi. Salvini si è tolto la felpa, ha cancellato Putin e Trump, ha cestinato Borghi e Bagnai e ha colto la grande occasione di fare politica che gli è stata offerta da Draghi (forse frequentare casa Verdini gli fa bene). Con tutto lo scetticismo del caso, meglio così che vederlo baciare rosari in bermuda. Meglio così che difendersi dai Cinquestelle al servizio di Casalino e di Travaglio. Avanti, quindi, ma con giudizio. Senza fidarsi troppo. Eppure la novità sarebbe clamorosa, se solo fosse reale: Salvini aveva trasformato la Lega da partito padano in partito nazionale e nazionalista, becero e razzista, conquistando anzi colonizzando il sud, esaltando la sua tragica arretratezza anziché cercare di sconfiggerla e travestendosi da sottoproletariato del Papeete per cavalcare il disagio degli emarginati. Così non ha ottenuto nulla, voleva andare a Palazzo Chigi ma Renzi l’ha spedito al Palazzo dei Cigni di Retequattro. Chissà se adesso ha davvero compreso che quella era la strada sbagliata, che l’Italia deve crescere e non distribuire mance come quota cento, che deve guardare all’Europa e non ripudiarla, che non deve chiudere le frontiere a chi cerca lavoro e rifugio ma aprirle. Una remota ipotesi di genuinità della conversione salviniana, cosa di cui continuerei a dubitare, sarebbe certamente una novità clamorosa, da sostenere e da appoggiare, perché l’eliminazione delle diseguaglianze economiche e sociali italiane non può che partire dal nord produttivo, piaccia o no oggi rappresentato dalla Lega, e da una diffusione di una cultura dello sviluppo possibile anche sotto il Po. Anziché inseguire Di Maio e Conte, ovvero sulla deriva parassitaria della politica, e sullo svilimento delle istituzioni repubblicane e sul saccheggio delle risorse pubbliche per alimentare un sistema di consenso fondato sullo scambio. I 5stelle & Salvini dovrebbero quindi fare marcia indietro su molti punti del Conte 1 che hanno contaminato il Conte 2. Al momento non sono sembrati all’altezza del compito. Ma con Draghi, chissà?

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