Governo: «Un precedente grave». La prima rottura fra Mario Draghi e la Lega, con Salvini stoppato…

E’ paradossale, far diventare un’ora in meno di coprifuoco (si chiedeva di portarlo alle 23) il simbolo della “libertà” negata agli italiani… Continua la visione distopica della nostra società portata avanti dalla Lega, nell’ambiguità di una oscillazione politica continua, che va dal: no-vax al no-Stato e a tanti altri no, di cui è ricca la propaganda politica della lega (no legge sull’omofobia, no all’immigrazione, no allo ius soli e ius culture e no a questo e a quello).  Si è creato «un precedente grave», ha detto il Presidente del Consiglio ai Ministri al termine di una seduta a suo modo storica, quella della prima rottura fra il Premier e la Lega. Il Presidente del Consiglio non ha ceduto sul coprifuoco, che per ora resta alle 22, nonostante le pressioni del leader leghista, che aveva provato a forzare la mano facendo astenere il suo partito sul decreto che ha disposto le riaperture. Capita, in un governo di coalizione si perde a turno. Stavolta è toccato al leghista. Mario Draghi ha fatto Mario Draghi: non si fa eterodirigere da alcuno, tantomeno da Salvini. Anche rischiando. Infatti, la rottura fra il Premier e la Lega c’è stata ieri, dopo due mesi di navigazione comune abbastanza tranquilla. «Un precedente grave» appunto, ha sottolineato il Premier molto molto seccato perché – spiega chi era presente – «le cose erano molto chiare». E il fatto che la seduta del Consiglio dei Ministri sia stata paradossalmente tranquilla testimonia che è vero che le cose fossero chiare fin dal principio. È la Lega che ha giocato pesante. Il mare si è improvvisamente increspato nel pomeriggio con Salvini che si è messo di traverso su un punto importante del decreto sulle riaperture: ma l’impressione, come al solito, è che Draghi abbia impedito al capo leghista di piazzare una delle sua bandierine preferite, quella della “libertà” (combinazione – o forse no – ieri davanti a Montecitorio si sono rivisti al grido “libertà libertà” no vax e ristoratori arrabbiati), “libertà” simboleggiata nello spostare il coprifuoco alle 23. Draghi (spalleggiato da Pd e M5s) non ha ceduto sulle 22, anche perché questo era stato l’orientamento condiviso nella cabina di regia, o almeno così il presidente del Consiglio aveva compreso. Macché, «non ho voglia di votare una cosa contro il buonsenso», era stata la frase di Salvini che annunciava l‘astensione leghista sul decreto, astensione effettivamente espressa in Consiglio dei Ministri dai leghisti Giancarlo Giorgetti, Massimo Garavaglia e Erika Stefani. Cosa può produrre lo strappo? Di certo una inedita freddezza fra Salvini e Draghi il quale, come detto, si è molto irritato: ma politicamente non cambia niente. Il decreto è cosa fatta. L’apertura di gran parte del Paese, che dal 26 tornerà zona gialla in molte regioni, aveva bisogno di un qualche argine anche per dare l’idea che la settimana prossima non dovrà scattare un “liberi tutti” le cui conseguenze potrebbero essere devastanti. E l’argine è stato appunto trovato nel mantenimento della regola attuale del coprifuoco dalle 22. Bene per Speranza e Franceschini e i dem bene anche per i ministri di Forza Italia, che non da oggi appaiono i più “allineati” al Presidente del Consiglio, mentre anche Italia viva (lo aveva fatto capire Elena Bonetti) non si sarebbe certo adontata se fosse passata l’idea leghista delle 23. Si vede meglio da questo incidente di ieri il “metodo Draghi”: imporre la sua linea, dunque la sua leadership, a partire da una base razionale, in questo caso il fondato timore che ritardando l’entrata in vigore del coprifuoco si potessero creare le condizioni non solo psicologiche ma fattuali per le temute movide primaverili: ed è la medesima preoccupazione di un Roberto Speranza che vede stavolta passare una posizione “dura”. E questa linea attenta solo a valutazioni razionali e non di convenienze politiche spinge Draghi di volta in volta ad “appoggiarsi” ad una delle due metà politiche della grande coalizione che regge il suo governo. Alla fine, il gioco è semplice: stare al merito. Una volta perde uno, una volta l’altro. Stavolta “ha perso” Matteo Salvini…

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