Guerra: chiesto da Biden il “cessate il fuoco”. Come cambia l’Europa e l’intero Mondo dopo la guerra in Ucraina…

Lloyd Austin, segretario alla Difesa degli Stati Uniti, ha avuto un colloquio telefonico con Sergey Shoigu, suo omologo russo, durante il quale ha chiesto un rapido cessate il fuoco in Ucraina e messo in evidenza l’importanza di preservare canali stabili di comunicazione. La telefonata di ieri tra i ministri della Difesa di Washington e di Mosca è sulla scia di quanto il Presidente del Consiglio italiano Mario Draghi ha suggerito a Joe Biden solo quattro giorni fa nell’incontro avvenuto tra i due alla Casa Bianca. Così lo scetticismo di alcuni nostri politici sull’idea di un possibile contatto fra Joe Biden e Vladimir Putin formulata da Mario Draghi a Washington come al solito era infondato, in quanto guardava come al solito più alle nostre elezioni, che alla realtà della situazione  determinatasi con la guerra russo-ucraina. Una cosa è certa: ormai bisogna che tutti si rendano conto (vale anche per il mondo dell’informazione) che quando Draghi dice una cosa non è mai a caso, non è mai una «voce dal sen fuggita che poi richiamar non vale», chi lo disse? Un certo Metastasio. Era chiaro che il rapporto diretto fra Stati Uniti e Russia non si sarebbe concretizzato con una telefonata diretta tra i due capi di Stato ma con un contatto a un livello appena inferiore, come infatti ieri è accaduto con la telefonata tra il sottosegretario alla Difesa americano Lloyd Austin e l’omologo russo, il ministro della Difesa Serghei Shoigu. È una svolta? Presto per dirlo ma certo è una novità di grande importanza anche se certo non ha portato, né poteva portare, a una svolta sostanziale, ma è già fondamentale che gli Stati Uniti abbiano fatto un passo per chiedere ai russi il cessate il fuoco, segno che le condizioni sul terreno sono molto cambiate. Anche questo aveva chiarito Draghi nella capitale americana distinguendo il prima, quando si fronteggiavano Davide e Golia, e l’adesso, quando Golia non c’è più, e anzi si sta ritirando da una postazione decisiva come Kharkiv. Alla luce di queste due importantissime notizie di ieri, la “lezione americana” del presidente del Consiglio italiano va riletta da cima a fondo, perché è ormai evidente che egli ha giocato un certo ruolo nell’opera di persuasione di un Biden ancora troppo dentro lo schema moralmente ineccepibile sin qui seguito: scontro frontale con il macellaio di Mosca e fortissimo sostegno al governo democratico di Kiev. Draghi ha contato moltissimo sulla sua esperienza in campo internazionale, essendo chiaro che ricoprire il ruolo della Banca centrale europea comporta un ruolo di assoluto rilievo nello scenario mondiale; e poi anche, come si è detto tante volte, ha pesato un suo personale ascendente umano e politico sul presidente americano, il quale molto probabilmente considera la forza di Draghi persino superiore a quella di tutti gli altri leader europei… Tenendo presente di tutto questo chi pensava che che Mario Draghi andasse a Washington a prendere ordini come ha detto qualche estremista della domenica e ha scritto, qualche screditato cronista molto provinciale pensando che Draghi si fosse esposto sulla ricerca di un possibile avvicinamento delle parti in causa per blandire i falsi “pacifisti nostrani” alla Giuseppe Conte e Matteo Salvini… in una prospettiva elettorale gioco forza anticipata, dalla loro necessità di continuare a fare i “Bastian contrario” di ogni Governo (eppure fan parte della maggioranza) che non sia quello capitanato da loro stessi. “Che Dio ci assista!” Sarebbe comunque un bene, che gli italiani almeno ci riflettano quando voteranno… Malgrado queste intemperanze gialloverdi e le inopinate per quanto autorevoli richieste – lo ha chiesto persino Carlo Cottarelli – di andare al voto a ottobre. La verità è che l’Italia di Draghi ha sicuramente voce in capitolo, eccome. E questo è un fatto e non solo “fortuna”. Cosa succederà lo vedremo vivendo, quel che è certo: il conflitto in corso ridisegna la geopolitica del Continente: niente più paesi neutrali e la Nato ai confini della Russia. Ma come ormai dicono molti leader europei “umiliare Mosca può essere molto pericoloso e portare a conseguenze peggiori”. La guerra in Ucraina sta (forse lo ha già fatto) ridisegnando l’Europa. Non sappiamo quando né come finirà. Ma possiamo già constatare un rimescolamento delle carte nel teatro continentale. Considerando che il 24 febbraio segna una fase storica nuova, ma non è l’ora zero. Gran parte di quanto sta cambiando oggi affonda le radici nel periodo precedente, anche molto lontano. Perché una cosa questa tragedia ci ricorda sopra ogni altra: la storia non si abolisce; si vendica contro chi tenta di abolirla. Le più o meno nuove faglie che qui si mostrano hanno una gestazione spesso lunghissima alle spalle. L’aggressione russa all’Ucraina le ha come risvegliate da un sonno. O forse ce le ha solo rivelate, perché già esistevano e preferivamo non vederle. La faglia geopolitica e culturale principale che taglia il nostro continente è quella fra Est e Ovest. Finita la guerra fredda, ci eravamo illusi fosse stata colmata. Non è così. Le sue radici sono troppo profonde. Investono i valori, le storie condivise e i costumi di base di popolazioni che nei secoli hanno coltivato specifiche identità, modificabili fino a un certo punto. La linea di partizione passa grosso modo lungo l’ex cortina di ferro, quella che Churchill evocava fra Stettino e Trieste. Frontiera mobile, ma non troppo. Nella storia recente ha separato lo spazio dell’Europa a egemonia americana da quella sotto controllo russo-sovietico. Tale partizione riguarda oggi la stessa Nato, e con essa l’Unione Europea. La guerra in Ucraina ha squadernato le differenze fra lo schieramento nordico-orientale, che va dal Regno Unito al Baltico, dalla Polonia alla Romania, di tono fortemente antirusso, e quello occidentale, segnato da Germania (peraltro a sua volta differenziata fra ex Ddr, aperta alle ragioni russe, e regioni occidentali, molto più atlantiche) Francia, Italia e Spagna. La pietra di paragone di questa faglia è il rapporto con la Russia. Quindi con l’America. Paradosso: l’ex Patto di Varsavia è oggi in genere schierato con l’Ucraina e contro la Russia; l’ex Nato della guerra fredda lo è meno nettamente, soprattutto non intende recidere completamente i vincoli non solo energetici con Mosca, mentre concepisce un futuro equilibrio di pace che ricomprenda un rapporto pacifico con la Federazione Russa, ridotta nella potenza e nelle ambizioni. Evitando che finisca nelle braccia della Cina. C’erano una volta i paesi neutrali. Alcuni di lunga data, come la Svizzera, altri più recenti, quali l’Austria. Per tacere della Svezia e della Finlandia non allineate. Quest’ultima era diventata il modello di una categoria che Mosca avrebbe volentieri esteso a gran parte dell’Europa centrale e orientale. Nel gergo politologico si parla di “finlandizzazione” per descrivere uno Stato che non appartiene ad alcun blocco geopolitico, anche se si fonda su istituzioni e culture politiche di tipo occidentale. Sembrava il destino di Helsinki. E avrebbe dovuto essere, secondo l’intramontabile pensiero del quasi centenario (98 anni) Henry Kissinger (ma non solo lui), anche quello dell’Ucraina. Oggi la Finlandia, con la Svezia, bussa alle porte della Nato. E pare destinata ad entrarvi in un tempo ragionevolmente breve. Erdogan permettendo… Se accadrà, sarà mutamento geopolitico di prima grandezza. A vantaggio dell’Occidente e a danno di Mosca. Infatti, quando Putin con la Finlandia atlantica si affacciasse alla finestra della sua casa di famiglia a San Pietroburgo, vedrebbe davanti a sé un mare della Nato. Il Baltico atlantizzato. La peggiore delle sorprese che la sua avventura militare in Ucraina poteva produrre. Non solo: l’exclave russa di Kaliningrad – già Königsberg, patria di Kant, nell’ex Prussia orientale – sarebbe a quel punto circondata per terra (Lituania e Polonia) e per mare (Baltico atlantico, con Svezia e Finlandia avanguardie della Nato). Peggio ancora: la frontiera di circa 1.300 chilometri che separa la Finlandia dalla Russia, finora cuscinetto fra Europa americana e Russia, diventerebbe una nuova cortina di ferro. Minaccerebbe, con la Norvegia già iper-atlantica, il controllo russo dello sbocco europeo della rotta dell’Artico. Questa sarebbe la rotta dell’avvenire per i commerci globali, se davvero i ghiacci fondessero nei prossimi anni a un grado tale da liberare ai traffici oceanici il percorso più breve fra Estremo Oriente (Cina, Giappone, Corea del Sud) e America. Oggi quella rotta domani strategica parrebbe sotto controllo russo. Dopodomani forse non più. Rivoluzione nei traffici mondiali, che volgerebbe a favore dell’America, contro la Russia (e la Cina?). Nella dottrina difensiva della Russia, da quando esiste e fino a quando esisterà, vige una legge non scritta ma effettiva: Mosca vuole avere il più ampio cuscinetto di terre intermedie, non schierate con l’una o con l’altra parte, fra sé e il ‘nemico’. E il nemico è sempre venuto da occidente, dall’Europa, fosse polacco o svedese, francese o tedesco (e italiano). Quello spazio è già di fatto cancellato in conseguenza dell’invasione russa dell’Ucraina, che ha spaventato e allarmato i potenziali cuscinetti, a cominciare dal finlandese. Si può concepire per Mosca disastro peggiore? Qualcuno chiamerà in Patria Putin a risponderne? Molto cambierà anche nella nostra Europa, quella mediterranea. Si consideri solo che dopo la sconfitta subìta nel 2014 con la perdita di Kiev – conseguente alla ingloriosa fuga del suo riferimento locale, il presidente Janukovič – la Russia si era segnalata per la penetrazione nel Levante (Siria), in Nordafrica (Cirenaica), perfino nel Sahel e nell’Africa profonda (Mali e Centrafrica). Difficile possa conservare quegli avamposti, di fatto affidati ai miliziani della Wagner, affiliati a Mosca. Questo dovrebbe migliorare la nostra sicurezza sul fronte meridionale, minacciata dalla presenza russa sulla Quarta Sponda. In attesa di capire quale sarà la postura dei turchi, ormai dominanti a Tripoli. Questa proiezione nord-orientale della Nato in funzione antirussa implica per l’Italia un ruolo attivo nel Mediterraneo. Possibilmente coordinandoci con la Francia e, in qualche misura, con la stessa Turchia. Ne va della sicurezza delle nostre frontiere marittime, dall’Adriatico via Ionio allo Stretto di Sicilia. Sarà bene quindi che la coscienza marittima di questo nostro paese, circondato da sempre dal mare ma ad esso apparentemente indifferente, batta un colpo. Prima di ritrovarci, se non minacciati, certo emarginati in uno spazio che dovrebbe invece esserci familiare. Sotto questo profilo, le recenti iniziative italiane che mirano a un coordinamento con i paesi del Sud Europa, dalla Spagna alla Grecia via Cipro, appaiono promettenti. Purché non sia il solito fuoco di paglia. E la Russia? Pare certo che Mosca non possa vincere questa guerra. Putin ha involontariamente accelerato il declino dell’ex grande potenza bicontinentale, ingaggiando uno scontro che sta indebolendo il suo paese. Sarebbe però fatale se qualcuno in Occidente puntasse all’umiliazione, anzi alla distruzione dello Stato russo. Ipotesi non espressa ma cara a una parte delle élite americane e a gran parte di quelle polacche e baltiche. Chi mai potrebbe gestire la decomposizione di uno Stato dislocato lungo undici fusi orari, con seimila testate atomiche e ricchissime risorse naturali, soprattutto energetiche? L’avventurismo americano-baltico sarebbe fatale non solo alla Russia ma all’Europa e forse al resto del mondo. La sconsiderata aggressione di Putin almeno una lezione dovrebbe averci insegnato: la prudenza è virtù massima dello statista. Chi rischia troppo, minaccia anzitutto sé stesso. Perché immagina di costruire un mondo che non potrà esistere a partire dal suo mondo immaginario. Il ritorno al principio di realtà è la premessa indispensabile della Pace…

E’ sempre tempo di Coaching! 

Se hai domande o riflessioni da fare ti invito a lasciare un commento a questo post: sarò felice di risponderti oppure prendi appuntamento per una  sessione di coaching gratuito

0

Aggiungi un commento