Guerra: Draghi a Biden stiamo con te, ma non scordiamoci del ‘cessate il fuoco’ e di un vero negoziato per la pace…

Il nostro premier vede il presidente Usa e porta un messaggio di unità ma anche una richiesta di diplomazia. La Casa Bianca apprezza ma ricorda: “Non è Kiev ma Putin a non volersi sedere al tavolo della pace”. “In Italia e in Europa le persone vogliono la fine di questi massacri, di questa violenza, di questa macelleria. Le persone pensano a cosa possiamo fare per portare la pace”. E ancora: “Dobbiamo utilizzare ogni canale per la pace, per un cessate il fuoco e l’avvio di negoziati credibili”. È questo il cuore del messaggio portato da Mario Draghi a Joe Biden durante la prima visita di un leader europeo alla Casa Bianca dall’inizio della guerra di Vladimir Putin in Ucraina. Un messaggio accompagnato da una premessa: “Siano uniti nel condannare l’invasione in Ucraina, uniti nelle sanzioni e nell’aiutare l’Ucraina come ci ha chiesto il presidente Zelensky”. Armi sì, dunque, ma lo sforzo negoziale non può essere messo da parte, anche se da Mosca non arrivano segnali rassicuranti.  Draghi: “Bisogna portare Russia e Ucraina a un tavolo. Tutti facciano uno sforzo di dialogo, anche gli Usa”. Questo ha detto il nostro premier nella conferenza stampa tenuta a Washington dopo l’incontro col presidente Usa. E ha continuato: “Questa guerra non è più Davide contro Golia: la Russia non è invincibile. Con Biden abbiamo parlato anche di tetto sul prezzo del gas, Usa lo preferiscono sul petrolio”. Gas e petrolio fanno aumentare le bollette dell’eletricità. … Ci vorrà del tempo per capire se il messaggio europeo di Draghi a Biden – fermo sostegno all’Ucraina aumentando però gli sforzi per un cessate il fuoco – farà breccia o meno nelle considerazioni americane. Quel che è sicuro è che il messaggio è stato recapitato, durante un colloquio durato circa un’ora e mezza, in un giorno in cui anche a Pechino sembrava muoversi qualcosa. Le conversazioni telefoniche avute negli ultimi due giorni dal presidente Xi Jinping prima col cancelliere tedesco Olaf Scholz, poi con il presidente francese Emmanuel Macron possono essere il segnale di una nuova postura verso il conflitto, la cui durata – ammettono gli stessi media ufficiali del Dragone – sta andando “oltre ogni previsione”. La prima risposta della Casa Bianca arriva dalla portavoce Jen Psaki: “Continuiamo a essere aperti a una soluzione diplomatica in Ucraina ma non vediamo nessun segnale da parte della Russia che voglia impegnarsi in questo percorso”, ha dichiarato, rispondendo a una domanda sugli sforzi di pace rilanciati dal premier italiano. Come dire: fate pure, non vi ostacoleremo, ma sappiate che avete di fronte un muro. Se la caratteristica principale della risposta Usa-Ue resta la compattezza nelle azioni – sia sul piano economico sia su quello militare – con il passare delle settimane sono emerse in modo sempre più chiaro delle sfumature, con i big europei impegnati a sostenere Kiev tenendo però aperta la speranza di giungere, prima o poi, a un qualche accordo negoziale, e dall’altra parte l’amministrazione Biden sempre più esplicita nell’indicare l’obiettivo di “indebolire” la Russia. Per questo la visita di Draghi a Washington, nella doppia veste di leader europeo ed economista di fama mondiale, è osservata con estremo interesse nelle altre capitali europee, a cominciare da Parigi e Berlino, desiderose almeno quanto Roma di trovare una quadra per affrontare al meglio le molteplici sfide che la guerra ha riversato sul Vecchio Continente. Il punto di partenza è la riaffermazione del pieno sostegno alla popolazione aggredita, continuando dunque a supportare la resistenza ucraina con il doppio strumento delle sanzioni economiche e degli aiuti militari. Data per assodata questa volontà comune, la visita di Draghi rappresenta un momento di confronto tra gli Stati Uniti e uno dei suoi principali alleati europei su almeno due grandi dossier particolarmente cari all’Unione: il primo economico, il secondo politico-diplomatico… Il dossier economico è chiaramente legato alla questione dell’indipendenza energetica dell’Italia e dell’Europa dal gas e dal petrolio russi. Va sottolineato che nei giorni in cui l’Europa stenta ad approvare il sesto pacchetto di sanzioni, è sotto gli occhi di tutti come le divisioni europee stiano inficiando quella che Draghi considera un’arma molto importante nel contrasto all’aggressione russa. Sicuramente una parte del suo discorso è orientata su come gli Stati Uniti possano fare una sorta di moral suasion sulle aziende americane per quanto riguarda la vendita di gas liquido all’Europa e all’Italia. È probabile che Draghi abbia chiesto anche un sostegno da parte americana su una battaglia che l’Italia sta portando avanti da settimane, ovvero la questione del price cap sul gas: Draghi sa perfettamente che se quella sul petrolio è una partita difficile, quella sul gas lo sarà ancora di più. Per questo, nelle prossime settimane, premerà per ridurre le entrate nelle casse di Mosca quanto meno mettendo un tetto al prezzo del gas. L’altro elemento riguarda il negoziato. Uno dei punti che differenziano la posizione europea e italiana da quella americana (ma non solo) è la volontà di far convivere, in qualche modo, il sostegno alla resistenza ucraina con gli sforzi negoziali. La posizione del triangolo europeo Parigi-Roma-Berlino si riassume così: sì al sostegno alla resistenza ucraina per fare in modo che Kiev non perda questa guerra, ma con la stessa convinzione con la quale dovrebbe essere portato avanti un negoziato per aprire a una soluzione diplomatica e politica che in queste settimane è totalmente uscita dai radar. Fermo restando che – come sottolineato da Emmanuel Macron – “spetta alla sola Ucraina definire le condizioni per i negoziati con la Russia”, i leader europei sono preoccupati dalla prospettiva di un conflitto che possa durare mesi o addirittura anni, generando una condizione di instabilità permanente ai confini dell’Ue. Infine, c’è un altro aspetto su cui Draghi continua a puntare l’attenzione, convinto che vada messo al centro e non ai margini dell’agenda internazionale, ed è quello della sicurezza alimentare: nei Paesi più poveri, e in particolare quelli che si affacciano sul Mediterraneo, il conflitto rischia di innescare una vera e propria crisi alimentare, visto che da Russia e Ucraina dipendono gran parte dei rifornimenti di grano e mais. La grande domanda dell’appuntamento a Washington con Biden è se Draghi possa essere un pontiere tra l’Europa, nella sua volontà di maggiori sforzi negoziali (sempre che Putin, contrariamente a quanto fatto finora, li voglia cogliere), e la posizione più dura che fa capo agli Stati Uniti e al Regno Unito. L’opinione pubblica italiana ed europea sembrerebbe moderatamente fiduciosa. D’altronde il parere su Draghi è unanime nel riconoscergli lo status politico per ricoprire questo ruolo: è molto apprezzato anche oltreoceano e compendia in sé le due caratteristiche di leader europeo ed economista. Ha un rapporto privilegiato con le istituzioni americane; insieme a Janet Yellen ha messo in piedi la risposta che finora si è rivelata più efficace, ovvero il blocco dei fondi esteri della Banca centrale di Mosca. Sono qualità che Biden non ha problemi a riconoscere al premier italiano, assieme al fatto di essere riuscito a far andare all’unisono la Nato e l’Ue, un risultato che non era per nulla scontato. È sicuramente significativo che Draghi si trovi oggi a dialogare con Washington, nel senso che la percezione che abbiamo noi di questa guerra, da questo lato dell’oceano, non è quella che ne hanno gli americani, In queste ultime settimane l’opinione pubblica italiana (e non solo) è stata scioccata dalle immagini che sono arrivare dall’Ucraina. Quella che molti americani in questi anni chiamavano la ‘vacanza’ dell’Europa riguardo alla sua sicurezza e alla sua difesa (non solo del continente ma anche delle sue immediate vicinanze: Mediterraneo e Medio Oriente si è bruscamente interrotta: c’è stato un risveglio brutale. Parliamo di strategie militari, di Nato, di riarmo con una continuità quotidiana, quando fino a pochi mesi fa erano temi che avevamo quasi dimenticato. La diversità nella percezione che americani ed europei hanno della guerra in Ucraina è un dato di fatto che ha dimensione geografiche, storiche e culturali. La dimensione geografica è la più immediata da capire, senza necessariamente pensare alle mappe con le traiettorie dei missili nucleari capaci di colpire Berlino o Parigi in tot secondi. L’Europa sta già facendo i conti con il dramma di milioni di rifugiati ucraini costretti a scappare a causa della guerra, mentre matura la consapevolezza che la gestione delle armi e dei combattenti stranieri sarà un problema destinato a farsi sentire in futuro. Dal punto di vista storico-culturale, malgrado i diversi conflitti scoppiati sul suolo europeo nel secondo dopoguerra, la stragrande maggioranza degli europei ha conosciuto un lungo periodo di pace. Pur avendo partecipato a numerose missioni internazionali, i Paesi europei non si sono sentiti in guerra. Il disastroso ritiro dall’Afghanistan, per gli americani, ha rappresentato l’uscita da un pantano durato vent’anni: rispetto a quell’esperienza, la guerra in Ucraina – con la promessa “no boots on the ground” – ha un impatto molto minore, una causa giusta da mantenere alla giusta distanza. Per gli europei, invece, è una questione estremamente urgente, da affrontare con una pluralità di strumenti. Non è un caso che si sia tornato a parlare, proprio in questi giorni, di revisione dei Trattati con una convinzione, malgrado gli ostacoli, che non si vedeva da tempo. È logico, dunque, come il viaggio di Draghi a Washington non possa che avere una dimensione europea, in un momento in cui Roma è in una posizione privilegiata per interloquire con Washington: meno politica rispetto a quella francese, con Macron calato nel difficile ruolo di trasformatore dell’Ue; più forte rispetto a quella tedesca, con la leadership di Scholz che appare ancora incerta e compromessa da una maggiore dipendenza energetica da Mosca. Il messaggio che Draghi porta oggi alla Casa Bianca non appartiene solo a Roma: è il messaggio di un attore di primo piano di una leadership europea che sta cercando di affermare una sua anima politica in modo più forte rispetto a quanto abbiamo visto in passato. Commentano così, più di un analista e molti articolisti dei nostri media. Draghi fa un l’appello per la pace: “Ora Usa e Russia si parlino. Il panorama si è capovolto, Mosca non è più Golia”. E  suggerisce anche lo sblocco del grano dai porti ucraini come “prova di dialogo”. Durante la sua visita al Congresso, ricevuto da Nancy Pelosi. Negli ultimi giorni abbiamo ascoltato nei messaggi dei leader europei molti riferimenti comuni. Soprattutto con la Francia c’è un grande lavoro di coordinazione: nel suo discorso a Strasburgo Macron ha ripetuto, anche nei toni, cose che Draghi aveva detto pochi giorni prima. C’è un allineamento che non si vedeva da tempo: siamo abituati a parlare sempre dell’Ue per le sue divisioni, questa volta i grandi attori mostrano intendimenti profondi. E come accennato prima, l’iniziativa europea è vista di buon occhio anche da Pechino.  Due gli spunti di riflessione, sistemati alla fine dei due comunicati diffusi dai media cinesi dopo i colloqui con Macron e Scholz: le sollecitazioni di Xi per una “autonoma strategia” dell’Unione europea e per una sicurezza dell’Ue che sia “in mano agli europei”. Con Scholz, il presidente cinese ha ricordato l’importanza di “fare del nostro meglio per evitare che il conflitto si intensifichi e si espanda, portando a una situazione ingestibile”. Mentre con Macron ha convenuto che “tutte le parti interessate dovrebbero sostenere la Russia e l’Ucraina per ripristinare la pace attraverso i negoziati”, riconoscendo – secondo l’Eliseo – “il rispetto dell’integrità territoriale e della sovranità” di Kiev. Quanto gli americani siano disposti ad ascoltare le preoccupazioni europee è una domanda aperta, anche perché su tutto regna l’incognita più grande: se è vero che il V-Day ha mostrato un Putin sottotono e in evidente difficoltà, non c’è alcun indizio che voglia cessare le ostilità, né tanto meno ritirarsi dai territori occupati. E gli Stati Uniti dovrebbero prendere coscienza del fatto che, per quanto si voglia sostenere l’Ucraina, dire che gli ucraini stanno vincendo la guerra è un altro discorso, perché più questa guerra durerà più sarà difficile continuare a puntellare e a sostenere la resistenza ucraina… Quello può spaventarci è che gli americani, come già capitato in passato, si facciano prendere dalla loro narrativa ideologica, presentando questa guerra come del bene contro il male, della luce contro le tenebre. Il discorso di Macron è stato molto chiaro su questo: non bisogna cedere al desiderio, una volta messa all’angolo Mosca, di umiliarla, perché noi europei, alla fine, avremo bisogno di trovare un qualche accordo di sicurezza. La sostanza del messaggio non cambia: ‘whatever it takes’, l’Europa ha bisogno di rimettere in campo qualche speranza negoziale. Anche perché la fornitura di armi all’Ucraina, in Italia e non solo, è già diventata una questione politica: tra propaganda russa e timori di escalation, con una crisi dei prezzi che rischia di essere solo all’inizio, c’è un problema di opinione pubblica che le democrazie europee non possono permettersi di ignorare. Quello che sta succedendo in Ucraina ha portato un drastico cambiamento nell’Unione europea, ha detto Draghi a Biden: “eravamo vicini e ora siamo ancora più vicini e so che possiamo contare sul tuo sostegno come un sincero amico dell’Ue e dell’Italia”. “Un’Unione europea forte è nell’interesse degli Usa”, ha risposto Biden. Un segnale che le preoccupazioni dell’Ue potrebbero non rimanere inascoltate? O almeno questa è la speranza…

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