Guerra: due settimane che sono decenni. “La Russia cambia il mondo” (ce ne accorgeremo presto) e tutto torna indietro a un tempo che pensavamo passato…

prima parte…

A leggere le cronache quotidiane e a vedere le immagini della guerra che Putin ha scatenato contro l’Ucraina, c’è solo da rabbrividire di fronte a tanta ferocia… Oltre alle questioni militari, umanitarie e diplomatiche, all’orizzonte (e si vedono sempre più chiaramente) ci sono conseguenze di carattere economico, sociale e geopolitico immense. Vale il commento del Generale Graziano: “Lancette della storia riportate indietro di 70 anni” al secondo conflitto mondiale. E la rivista Limes titola: “La Russia cambia il mondo”. E poi prevede che la Russia andrà ulteriormente in crisi e con ogni probabilità finirà in un abbraccio sempre più stretto con la Cina, mentre l’Europa dovrà fare i conti con l’inflazione e il problema delle risorse… nonché (politicamente parlando) con i suoi ritardi e le sue contraddizioni nelle politiche di consolidamento delle sue istituzioni continentali e del suo ruolo sulla scena internazionale. Lo stesso quadro dei partiti in Italia, poi, subirà cambiamenti drastici. L’invasione e la guerra ucraina aprono scenari di lunghissimo termine per la geopolitica e spazzano via un trentennio di assurde narrazioni in Occidente. Trent’anni segnati da movimenti politici improvvisati, privi di ogni aggancio storico e culturale e sostanzialmente incapaci non tanto di governare, che è un traguardo improponibile per Lega e 5Stelle, ma anche solo di partecipare in modo adeguato al semplice dibattito in corso. Alcuni rilevanti cambiamenti sono ormai già evidenti. È acclarato che la Russia, peraltro militarmente non troppo pericolosa, almeno così sembrerebbe alla luce di quanto si è potuto vedere fino ad ora, nelle prime settimane di guerra… ma Russia e Cina continuano a vedere l’Occidente come un nemico storico, da contrastare in ottica di rapporti di forza per ottenere l’egemonia economica e militare sul resto del mondo. E purtroppo a voler dire tutta la verità: la stessa idea è diffusa anche in Occidente rispetto a loro. Idea che permane forte soprattutto negli USA. Mentre è sempre più difficile intuire cosa significhi veramente egemonia nel XXI secolo. Come dimostrato acutamente numerosi saggi scritti all’indomani della caduta del muro di Berlino e la conseguente dissoluzione della cortina di ferro, oggi la conquista o l’egemonia su un territorio, quando il mondo è determinato da un’economia mobile e focalizzata sui servizi, significa veramente poco o nulla se non è condivisa dalla popolazione. Nulla però potrà cancellare agli occidentali la memoria di questa nuova barbarie, insieme con la presa di coscienza delle aspirazioni egemoniche di Russia e Cina, dopo che per anni i cantori dell’imperialismo americano e di altre facezie nostrane avevano distratto l’opinione pubblica dalle mosse dei sistemi geopolitici a noi comunque ostili. A chi va dicendo inopinatamente “né con la Nato né con Putin” si contrappone il buonsenso generale che vede nella Nato ancora l’unica, fondamentale, preziosa difesa da Putin (benché lontana dalla Cina). Ci sarà da ridere a vedere le contorsioni dei nostri partiti quando, nella prossima competizione elettorale, dovranno decidere le alleanze con altri partiti a sinistra come a destra. Verranno facilmente attaccati e spiazzati da chi farà notare che essere al governo con chi dice “né con la Nato né con Putin” o con chi dice che Putin è un “genio” o che c’è una nuova “via della seta” da percorrere, rappresenta una posizione che, nel nuovo mondo, è estremamente pericolosa: di fatto apre una falla in cui la Russia potrebbe tentare di inserirsi e la Cina aumentare ulteriormente la sua influenza a queste latitudini… È ormai evidente che la transizione ecologica vada affrontata con gradualismo e intelligenza. Per prima cosa bisogna uscire dalle importazioni di petrolio e gas dalla Russia, e serviranno realisticamente due o tre anni e molti, molti soldi. Spariscono spazzati via come la neve ad aprile i dibattiti su trivelle, gasdotti, tap e quant’altro, dimostrando anche qui plasticamente quanto fossero in passato ridicoli e infondati. A valle di questo obiettivo, ci si dovrà porre il tema dei costi e dei benefici della transizione ecologica. Improvvisamente i tempi diventeranno parte integrante del dibattito, perché banalmente non avremo abbastanza soldi per gettare miliardi di euro in obiettivi sicuramente necessari, ma conseguibili soltanto grazie alle risorse generate dall’economia – la quale economia non può essere strozzata indefinitamente da costi energetici esorbitanti, pena il non raggiungimento degli obiettivi stessi di taglio alle emissioni per mancanza di risorse. Dovremo essere tutti per una volta acutamente consapevoli, che il welfare, la transizione ecologica, la sanità dipendono dallo sviluppo economico e non sono diritti acquisiti atavicamente dalle opulente società occidentali, come qualcuno ha voluto inopinatamente fare credere per mero populismo elettorale. Per una strana ma efficace eterogenesi dei fini, questa esplosione dei prezzi dell’energia rende palese quanto dobbiamo essere attenti al tema dei costi dell’energia stessa, e quanto sia assurdo perseguire obiettivi manichei in un contesto di guerra militare ed economica nel pianeta. È una grandissima sveglia collettiva, dopo che per anni si è discusso tanto di emissioni e mai dei costi di contenimento delle emissioni, come se la questione delle risorse da impiegare per raggiungere questi obiettivi, sacrosanti in sé ma per nulla ovvi sull’asse dei tempi, fosse scontato e indifferente. Da adesso in poi tempi e costi saranno “front and center” come dicono gli anglosassoni. In generale avremo un tasso di inflazione molto più alto di quello vissuto negli ultimi 30 anni e più a lungo, a causa di un generale aumento delle materie prime (in alcuni casi come l’energia o il nickel si tratta di un’esplosione più che un aumento) e per la necessità di assicurarsi fonti di approvvigionamento su tutte le commodity (e non solo) protette dalle azioni geopolitiche aggressive di Russia e Cina. Saremo disposti a pagare un prezzo più alto pur di non essere ricattabili, perché abbiamo ben capito che Russia e Cina sono pronte a sfruttare, in modo cinico e indiscriminato, qualsiasi possibilità di ricatto nei nostri confronti. È la fine definitiva del processo di capitalizzazione globale, iniziato con la caduta del muro di Berlino nel 1989 e con la rivoluzione del ruolo cinese nel mondo, postulata da Deng Xiao Ping più o meno negli stessi anni con il capitalismo di stato. Le implicazioni conseguenti, in casa nostra già sono e saranno per qualche tempo pesanti: calerà il potere di acquisto e, soprattutto, verrà intaccato ulteriormente il welfare così come lo conosciamo. Difficilmente le pensioni italiane, le più generose e meno sostenibili in Europa, verranno adeguate al 100% del tasso di inflazione, specie nelle fasce di prestazione più elevate. Si realizzerà in modo traumatico un aggiustamento necessario del massiccio trasferimento intergenerazionale in essere. Anche qui, una straordinaria eterogenesi dei fini: per difendere i giovani, che sono costantemente calpestati nei loro sacrosanti diritti da partiti politici, sindacati miopi o interessati, governi per lo più disorientati a sinistra e a destra, con discorsi sulle diseguaglianze che per decenni sono stati dei semplici “gargarismi” elettorali. Su tutto ciò interviene in via indiretta ma abbastanza evidente la guerra scatenata da Putin e la reazione della Cina, cioè l’opposto di quel neoliberismo che veniva accusato di strozzare il welfare con le regole di Maastricht. Una cosa straordinaria e assolutamente imprevedibile. La Russia risprofonda nella triste a impossibile autarchia dell’Unione Sovietica (ammesso che regga a lungo, e ci sono seri dubbi che possa succedere) mentre la Cina è a questo punto smascherata nel suo disegno di egemonia globale, anche presso coloro che credevano che ciò non fosse vero… Se la Russia per scelta o per obbligo (esito del conflitto con l’Ucraina) corre il rischio di diventare un vassallo, nemmeno troppo ascoltato della Cina, a cui sarà costretta di portare in dote materie prime e testate nucleari per poi finire, abbandonata alla triste sorte dell’attuale Bielorussia, con un tenore di vita da terzo mondo – ormai impedita e praticare una inversione storica verso il campo occidentale – la Cina invece avrà tempo, risorse economiche, potenza militare e soprattutto popolazione per ampliare il suo disegno nei prossimi decenni. La Russia ha un Pil ante crollo di circa 1,6 trilioni di dollari contro i circa 50 trilioni dell’occidente allargato. Non può competere, anche tenendo conto che rapidamente le materie prime, unica fonte di sostentamento di un’economia che (dopo 70 anni di cura comunista) risulta ancora estremamente arretrata a livello industriale, avranno un unico acquirente, cioè la Cina. La quale in breve lo farà pesare. Per i sostenitori di Vladimir Putin è un triste destino: cercano il loro spazio nella storia e nell’egemonia del mondo e si troveranno a essere non solo vassalli, ma anche vessati mercantilmente de chi oggi li incoraggia a suicidarsi… La Cina ha un Pil di circa 15 trilioni di dollari, è in rapido sviluppo, si trova nella zona più popolata e dinamica del pianeta e riesce a coniugare crescita economica e dittatura politica in modo unico. Sarà un avversario temibile e difficile da gestire. In entrambi i casi (Cina e Russia), la dittatura consente asimmetria informativa e scarso scrutinio delle decisioni del governo da parte della popolazione, che non ha voce democratica. Questo è un vantaggio non indifferente rispetto al mondo occidentale, dove ogni decisione politica è soggetta a scrutinio, critica e ovviamente al vaglio della popolazione. Un vantaggio che nel tempo però diventerà sempre più difficile da difendere, in un mondo in cui Putin è costretto a chiudere tutto per evitare che il suo popolo sappia anche solo cosa sta facendo e a raccontare pietose menzogne per coprire i suoi crimini di guerra. Il costo della disinformazione cresce e la possibilità di riuscita della propaganda si abbassa nel tempo, così come il valore del nazionalismo. Il punto di partenza però non è incoraggiante, visto che in Cina il nazionalismo è molto acuto e la prospettiva di una svolta democratica lontanissima. La Russia è ipernazionalista, ma il suo destino è segnato senza appello. In tre-cinque anni conterà pochissimo nello scacchiere globale. Last but not least (Ultimo, ma non per importanza), si assisterà a una dislocazione di capitale, ricchezza e potere senza precedenti. È prevedibile, o meglio evidente, che i detentori di bond vengano ancora di più tassati dall’inflazione a vantaggio dei detentori di attività reali come azioni e immobili, a maggior ragione in un contesto di recessione e inflazione, che forzerà i governi e le banche centrali (i cui responsabili vengono nominati dai governi) a essere molto espansivi e con tassi di interesse molto bassi. La cosiddetta “repressione finanziaria”, cioè tassi reali negativi, resterà con noi non solo nel periodo post-Covid, ma ancora a lungo nel tempo a venire, mentre il controllo dell’inflazione derivante dalle materie prime e dalla fine della globalizzazione sarà per tutti un obiettivo meno stringente rispetto allo sviluppo economico e al controllo della disoccupazione. La mancanza di lavoro qualificato e necessario, insieme alla drammatica e decennale sottovalutazione delle competenze richieste rispetto a quelle ridondanti, fa sì che le professioni più richieste (data scientist, data analyst, in generale gestione di processi complessi, ma anche badanti e personale medico/infermieristico) saranno remunerate molto bene e protette dall’inflazione, a danno di altre professioni, meno necessarie e purtroppo in Italia diffuse solo per la protezione corporativa operata dai sindacati di ruoli obsoleti e senza alcun valore… Per fortuna il lavoro qualificato avrà finalmente forte premio sui fruitori di rendita che non lavorano e spesso sono troppo pigri o incapaci di “conoscere”; questi ultimi vedranno il proprio patrimonio erodersi inesorabilmente, forse anche rapidamente senza potersi molto difendere. Il XXI secolo si farà beffe di chi non ha capito che il mondo va velocissimo e con questa rivoluzione geopolitica trascina nell’oblio i miti populistici di chi non voleva vedere il cambiamento, e ha dispensato false sicurezze scambiando voti con promesse da mercante. È come mettere un dito sulla diga che si è rotta. L’ha rotta Putin con le sue bombe, ma adesso non si ripara più e inizia l’inondazione. Serve creare ricchezza prima di redistribuirla, l’indebitamento dello Stato deve avere un limite e la spesa pubblica improduttiva e clientelare (di cui abbiamo recentemente creato i campioni dell’assurdo con cashback, reddito di cittadinanza e bonus 110%, vanno criticamente, velocemente e fortemente rivisti…

(continua)

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