Il lavoro: una sofferenza quando manca ma a volte anche quando c’è…

In questo periodo di crisi, un Coach che lavora principalmente in una grande città come Milano, e viene da esperienze significative del mondo del lavoro com’è stato per il sottoscritto… si trova spesso per non dire continuamente coinvolto a parlare di lavoro, soprattutto nei termini della sua mancanza… Più d’uno dei coachee che incontro  …sono giovani alla ricerca di un lavoro degno di questo nome o persone che dopo anni di attività lavorativa, si sono trovati all’improvviso disoccupati e che non riescono più a trovare un’attività conforme alle loro esperienze precedenti e/o competenze acquisite in una attività che oggi non c’è più …praticamente scomparsa dall’attuale mercato del lavoro… Dal punto di vista psicologico è intuitivo come la condizione della perdita di un’attività che  impiegava tante ore e la difficoltà nel ritrovarne una, abbia su chi si trova in questa condizione  un impatto molto forte…  Non solo si trovano a confronto con un vuoto che prima non conoscevano, ma sono anche colti dall’angoscia di non riuscire a far fronte alle loro responsabilità personali o familiari. L’angoscia alla lunga può trasformarsi in una depressione o sfociare in crisi di panico. Se accade questo significa che molta parte della loro autostima era basata inconsapevolmente sul loro ruolo professionale. E’ come se nel momento delicato della perdita riaffiorassero antichi vissuti di impotenza e insufficienza, che credevano di essersi lasciati definitivamente alle spalle tramite il successo o il semplice impegno professionale… Ora, chi mantiene alta la fiducia in se stesso anche in un momento di oggettiva difficoltà come la perdita di un lavoro riesce nel tempo a trovare una soluzione. Sicuramente i legami affettivi, quando sono solidi, aiutano, danno un’iniezione di forza e il giusto senso della prospettiva. Ma in primis, chi si trova nella situazione in questione è lui stesso ad essere messo in gioco, con le sue debolezze che improvvisamente tornano a galla e fanno perdere la lucidità e il coraggio per affrontare la situazione. Un supporto attraverso un intervento di Mental Coaching può costituire a questo livello un valido aiuto per capire cosa sta accadendo e perché. Può permettere di reagire, interrompendo il circolo vizioso distruttivo che da un certo punto della vicenda in poi è stato iniziato proprio dal protagonista della vicenda e che continua ad alimentare… Ma un Choac a Milano non sente parlare solo della sofferenza per il lavoro che non c’è più. Anzi, assai più spesso è confrontato con il lamento per l’insoddisfazione arrecata proprio dal lavoro che si ha. In tanti, tantissimi, nonostante la facciata di contentezza esibita a colleghi ed amici, nutrono nel profondo un dubbio rispetto a come conducono le loro giornate. Il lavoro infatti assorbe, assorbe tempo, tanto tempo. E la sensazione che si stia buttando via il proprio svolgendo un’attività magari ben retribuita ma sterile e ripetitiva assale moltissime persone. Anche le più insospettabili. Le più arrivate, quelle magari invidiate per i traguardi raggiunti. Perché questo paradosso? Perché anche in momenti di crisi capita che chi abbia un buon lavoro nel suo profondo lo viva come una condanna? Che origine ha questa insoddisfazione? Certo, può trattarsi del capriccio isolato di qualcuno, magari cronicamente insoddisfatto. Tuttavia il fenomeno appare tutt’altro che isolato. Qui c’è in gioco una caratteristica profondamente umana, che lo psicologo Jacques Lacan chiamerebbe il “divario” tra domanda e desiderio. La soddisfazione umana non è riducibile semplicemente a quella della domanda. A quella cioè dei bisogni materiali. Non risponde semplicisticamente ad un criterio utilitaristico e pragmatico. Posseggo questo e quello, ho raggiunto questo e quest’altro traguardo dunque sono felice. Non funziona proprio così! L’uomo è intrinsecamente fatto di desiderio, è mosso, animato da una forza vitale che lo spinge a farsi delle domande, al di là di quelle che sono le aspettative sociali di cui si è nutrito. Per questo l’assunzione del proprio desiderio è così scomoda. Porta scompiglio nelle vite. Allora appare più facile ignorare il suo richiamo ed andare avanti con la consolazione offerta dal lamento…

E’ sempre tempo di Coaching!”

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