Il presente e il futuro…

Ha un che di patologico la recente attenzione generale per la pensione e per le misure che il Governo intende inserire nella legge di Bilancio per favorire il pensionamento dei lavoratori prossimi all’età.
Non c’è televisione, quotidiano o sito web che non abbia approfondito l’anticipo pensionistico. Se ne parla dalla scorsa primavera e si deciderà a ridosso di Natale con l’approvazione della manovra 2017.
È ovviamente naturale occuparsi di un traguardo fondamentale per il proprio destino. Ma questo insistente interesse appare come un “abbandonate la nave”, il sintomo di un disinteresse nei confronti dell’attività lavorativa, ossia per la parte centrale – e non solo temporalmente – della propria esistenza. Colpisce che molta meno eco ottengano le notizie sugli investimenti anch’essi annunciati dal Governo nelle ultime settimane: l’iperammortamento al 250%, ad esempio, per chi investe in innovazione e sviluppo; merce rara in un paese in cui il 69% delle imprese opera in un territorio privo di adsl o banda larga, ma con il doppino offerto da un unico operatore telefonico. Altro che connessione globale e ecommerce (nonostante le potenzialità del territorio italiano).
Il punto è che chi oggi pensa più alla pensione futura che al lavoro presente, rimarrà molto probabilmente deluso dall’anticipo pensionistico: secondo le elaborazioni degli esperti pubblicate sul Sole 24 Ore, l’Ape farà sì che la rendita pensionistica anticipata sarà superiore a quella percepita in un secondo momento e solo 20 anni dopo l’età del pensionamento, terminato di pagare l’anticipo, la rendita tornerà piena. cambiare

E tutte saranno inferiori a quella di chi è oggi in pensione, vista la progressiva riduzione dei tassi di sostituzione. Insomma si sceglie guardando al passato, per incapacità di pianificare il futuro.
D’altronde, è evidente quale sia il “cassetto mentale” più importante per gli italiani: l’analisi di come è ripartita la torta di Tfr dice che: dei 25 miliardi in uscita dalle buste paga dei dipendenti, 13,7 restano in azienda, 5,6 miliardi vanno al Fondo di Tesoreria per le spese correnti dello Stato (dai dipendenti di aziende con più di 50 dipendenti non aderenti alla previdenza complementare), mentre una quota inferiore, 5,5 miliardi vanno ai fondi pensione, ossia al futuro.

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