Il voto anticipato: accelera ulteriormente la crisi del Partito Democratico…

L’analisi della crisi del Pd e del ruolo che il suo ex (ex ?) Segretario Matteo Renzi e i suoi sodali hanno avuto rispetto al tracollo elettorale, hanno visto come protagonisti,  più le grandi firme dei giornali e i conduttori dei talk show televisivi, che non gli stessi organismi dirigenti dei Democratici. La cronaca politica ha evidenziato lo stato di profondo ‘coma’ in cui versa il PD.  Renzi ha letteralmente bruciato quel 40% di voti avuti nelle elezioni europee e che è andato sbandierando nel corso degli ultimi anni… arrivando persino a sostenere che il 40% dei Si al referendum costituzionale, confermava quel risultato e rappresentava lo “zoccolo duro” del consenso degli italiani rispetto al suo PD. E’ stata chiaramente una lettura interessata con l’obiettivo di rimuovere, in un sol colpo, il peso di una sconfitta della riforma costituzionale, che aveva avuto ben il 60% di voti contrari. E dopo aver perso il referendum Renzi ha “incatenato” il destino del PD al suo destino di  restare in politica (rimangiandosi la promessa di ritirarsi). Errore su errore. Perdendo poi ogni successivo appuntamento elettorale Renzi ha spinto il Partito nel baratro. Portando il PD a subire la sconfitta  “storica”, con il peggior risultato elettorale di sempre, lo scorso 4 marzo. Renzi non ha più potuto nascondere l’ennesimo insuccesso e ha parlato di sconfitta chiara e netta del Pd. Ma ancora una volta ne ha dato la colpa ad altri. Le dimissioni (non dimissioni) date, ma “effettive solo da quando si sarà insediato il nuovo governo”. E’ stato l’ennesimo imbroglio. Intanto, il centrosinistra, è sparito dai radar del Paese e praticamente non esiste più. Annullato dai deleteri personalismi di Renzi e dalla sua bulimia di potere… Nei giorni precedenti la Direzione (3 maggio scorso), fino a qualche ora prima dell’inizio, si parlava di un Renzi ormai accerchiato. Si elencavano i nomi contro l’ex premier elevandoli a protagonisti in grado di sovvertire i rapporti di forza interni al Partito. Gran parte dei media facevano il tifo perché andasse a finire così. Era una rappresentazione plastica di un partito altro e …diverso dove i suoi principali esponenti: Franceschini, Orlando, Cuperlo, Emiliano, Fassino, Zingaretti ecc. ecc. erano ormai in grado di dettare una nuova linea. Nel caso specifico, di andare “dritti” verso una verifica della possibilità di un governo 5 Stelle-Pd. Quale possibile sorte di un progressivo disegno di governo e di una ritrovata egemonia culturale, che avrebbe spazzato via d’un sol colpo, l’impronta renziana costruita negli anni trascorsi e nutrita da un programma politico e dall’azione di governo durata nello scorso  quinquennio. E’ bastata invece, una intervista tv dell’ex Segretario, il senso della quale può riassumersi in un: “Questo matrimonio non s’ha da fare, né domani né mai”. Sapendo bene, che ai Promessi Sposi, per affinità, l’ex leader del Pd ha sempre preferito Il Principe di Macchiavelli. Ma sta di fatto, che è stato ancora lui a stoppare la verifica della possibilità di verificare e costruire un accordo tra il M5S e PD Accordo che sembrava ormai fatto (almeno nelle dichiarazioni d’apertura di Martina e Franceschini), in linea col solco politico indicato dal Quirinale. Il documento approvato all’unanimità dalla Direzione del Pd del 3 maggio è stata l’ulteriore conferma che quel che resta del PD è ancora a totale trazione renziana. È stata l’affermazione della linea dell’ex Segretario uscita il 5 marzo, dopo le elezioni.  Il punto controverso è che per molti nel Pd è stato solo un accordo di facciata… e non fanno mistero, che la resa dei conti in quel che resta del PD, è rinviata solo di poche settimane… Tutti, renziani e anti-renziani come si suol dire: “hanno però fatto i conti senza l’oste”.  Pensando di avere più tempo per sistemare i loro rapporti all’interno del partito in un Congresso seppur anticipato nei tempi. Mentre, davanti al precipitarsi, in queste ore della crisi istituzionale, i nodi interni ai Democratici devono necessariamente trovare soluzione in tempi brevissimi. E la lotta interna già si sposta su un nuovo fronte: quello di chi dovrà fare le nuove liste elettorali. Le elezioni anticipate, con la morte “in culla” di questa  legislatura, dopo l’ennesimo giro di consultazioni al Quirinale senza alcun esito, si sono avvicinate prepotentemente. E l’accelerazione di questa crisi istituzionale, non può non far sentire le proprie ripercussioni sul Partito Democratico così malconcio nel consenso elettorale e senza ancora aver trovato un nuovo assetto interno. La possibilità, sempre più concreta, di andare al voto in piena estate, quindi tra un paio di mesi o al massimo in autunno, costringe i Democratici ad una rincorsa per risolvere  problemi interni, trovando nuovi equilibri al vertice del Partito. A questo punto l’Assemblea Nazionale, che dovrebbe essere convocata entro la fine del mese di maggio (si parla del 19 maggio), dopo il nulla di fatto della Direzione di giovedì della scorsa settimana, diventa un vero e proprio ‘spartiacque’ rispetto al futuro del Pd, non solo per l’assetto dei suoi vertici, ma anche e soprattutto per la gestione del potere in vista delle prossime elezioni. Infatti, ora la partita  come già accennato, si sposta sulla composizione delle liste. A chi spetterà questo potere non trascurabile? Con gli attuali gruppi parlamentari composti in gran parte da fedelissimi di Matteo Renzi, gli avversari dell’ex segretario puntano a impedirgli di poter fare altrettanto in questa nuova legislatura. È chiaro che a questo punto, fondamentali sono i tempi con cui si potrebbe tornare alle urne. Se si votasse veramente in piena estate, come vogliono Matteo Salvini e Luigi Di Maio, chiaramente sarebbe impossibile per il PD dare vita a un congresso vero e proprio. Visto che l’iter prevede addirittura il doppio voto, prima quello degli iscritti e poi quello degli elettori alle Primarie. Se si votasse veramente a luglio è obbligatorio eleggere il nuovo segretario, nella stessa Assemblea Nazionale e conseguentemente – visto l’attuale  statuto – il Segretario eletto sarebbe anche il candidato Premier del PD. I “sospetti” sul candidato ideale da proporre agli italiani in tempi così brevi si stanno già concentrando tutti su Paolo Gentiloni, l’attuale Presidente del consiglio uscente. Tra qualche giorno  lascerà palazzo Chigi.  Gentiloni resta sicuramente l’esponente dei Democratici più apprezzato dai cittadini secondo tutti i sondaggi. In caso di voto estivo o autunnale, qualora il “governo di servizio” auspicato da Mattarella non riuscisse ad insediarsi con un voto di fiducia di entrambi i rami del Parlamento (al momento sembra molto probabile che sia così, viste le primissime dichiarazioni dei leder di M5S e Lega) il candidato probabile è proprio Gentiloni. Così sembra pensarla anche Renzi (???) Se invece ci fosse più tempo per un congresso il nuovo Segretario verrà eletto con le primarie in quell’occasione. Un congresso  dovrà necessariamente svolgersi in autunno comunque prima delle nuove elezioni nazionali, che a quel punto potrebbero avvenire contemporaneamente a quelle europee la prossima primavera…  Se così fosse  è probabile che i due schieramenti renziani e anti-renziani, si presentino con i loro candidati concorrenti ai gazebo. Obbligata una considerazione… tutta politica che per il PD vale in entrambe le due occasioni (Assemblea o Congresso) è che il Partito cominci a parlare di idee e non più solo di nomi e organigrammi, nonché, della composizione delle  liste elettorali. Al Pd serve “come il pane” per chi ha fame… un nucleo di proposte ristretto (altro che programmi di 100 punti): misure chiare su lavoro welfare, fisco ed Europa per un Paese più equo. Il Pd, si è presentato compatto nel sostegno al governo “neutrale e di servizio” ipotizzato dal Quirinale, e che oggi dovrebbe nascere, riuscendo almeno in questa occasione a confermare il suo ruolo di partito “responsabile”, incarnato in più di un’occasione nel passato. Il paradosso odierno è che mentre nel passato il ruolo di “forza responsabile” ha avuto un costo per i Democratici, come quando decise di sostenere il governo Monti. Questa volta, se il PD saprà muoversi adeguatamente senza ulteriormente dividersi, può invece risultare  premiante. Davanti all’irresponsabilità dimostrata dai partiti usciti semi-vincitori dal voto del 4 marzo. Il sistema Paese sta vivendo un vero e proprio disfacimento in molti dei suoi ruoli apicali. L”emblema di questo disfacimento è proprio rappresentato  dall’asse composto da Luigi Di Maio e Matteo Salvini. Un’alleanza alquanto distruttiva questa. Di Maio e Salvini, ostaggi della loro demagogia, rincorrono già le urne di domani non sapendo come affrontare la realtà di oggi. Il problema dei problemi è la crisi della intera classe politica italiana. La crisi tocca chiaramente tutti e pesantemente anche il PD. Paralizzato dai veti del suo ex Segretario che si dimentica di aver rassegnato le dimissioni.  Ma anche dalla totale assenza di coraggio dei suoi competitori interni. Il risultato è esattamente quello cui stiamo assistendo. La crisi della classe politica si sta rispecchiando nella crisi delle Istituzioni. M5s e Lega sperano di approfittarne e giocano proprio con la “fragilità” del sistema. L’effetto finale, però, potrebbe non essere solo la loro potenziale vittoria ma una preterintenzionale destabilizzazione del Paese. Mentre il ruolo del PD di forza affidabile, in qualche modo incarnata anche fisicamente da Paolo Gentiloni, può essere un tratto apprezzato da molti elettori. Ovviamente a patto che agli elettori si proponga proprio lo stesso Presidente del Consiglio uscente come possibile candidato Premier… E sempre che Renzi, che ha sbagliato tutto veramente tutto, non abbia l’ulteriore presunzione di candidarlo strumentalmente per eterodirigerlo. Si faccia veramente da parte e la smetta di pensare che il PD è una sua proprietà. Rinunci all’ennesimo errore indotto dal suo congenito strabismo politico. Quello d’essere il novello Macron italiano. Capendo, una volta per tutte, che: “non si possono offrire riforme istituzionali a chi chiede reddito e sicurezza”. Altrimenti condannerà il PD a un’ulteriore perdita del consenso degli elettori… segnandone  irrimediabile la fine!

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