Italia: chi ci salva da Salvini?

Per una vicenda meno grave del Russiagate o se preferite di Moscopoli in Austria è caduto il governo. In Italia, i sondaggi dicono che la Lega sta crescendo ancora. L’unico partito che avrebbe i numeri in Parlamento per una maggioranza alternativa, il Pd, esclude persino l’ipotesi. Renzi & Soci sono troppo impegnati a combattere Zingaretti, e il Matteo di Rignano conta ancora più del Segretario nei gruppi parlamentari. Così resta una sola prospettiva: un governo ancora più di destra. La situazione politica italiana è grave ma non seria. Al governo ci sono due partiti che hanno impostazioni che non si possono definire opposte per una sola ragione, e cioè che quella dei 5Stelle è talmente nebulosa e confusa che  sfugge ad ogni categorizzazione. Di certo non marciano di conserva: ognuno dei due punta a realizzare il suo programma senza che vi sia un’elaborazione comune con il partner, e il confronto avviene solo quando si tratta di approvare il provvedimento e si deve raggiungere un compromesso sui punti che l’altro considera assolutamente necessari. Aggiungiamo che il “peso” effettivo dei due alleati è oggi inversamente proporzionale alla rappresentanza parlamentare e che la situazione è ulteriormente complicata dai vincoli europei, che i due tenderebbero ad ignorare ma a cui invece è molto attento il terzo “partito informale” che è al governo, quello che guarda al presidente Mattarella e che ha i suoi esponenti di punta nel ministro dell’Economia Giovanni Tria e nel presidente del Consiglio Giuseppe Conte, anche se quest’ultimo è costretto a muoversi tra mille equilibrismi per non scontentare troppo i suoi “azionisti di maggioranza”, ossia Di Maio e Salvini. Quest’ultimo appare, anche al di là dei dati oggettivi, il dominus della situazione. La sua grande abilità dialettica e la capacità comunicativa gli permettono di dare alla Lega, ormai partito di estrema destra, una immagine di partito popolare. La vecchia tecnica di costruire uno o più “nemici” (i migranti, il terrorismo islamico, i ladri, l’Europa, Macron) funziona sempre alla grande e fa scorrere via come l’acqua su un vetro, tutti quegli inciampi che da un punto di vista oggettivo dovrebbero alienargli il consenso. Il “Russiagate”, come già accennato: in Austria per molto meno è caduto il governo, qui da noi, dopo settimane che se ne parla, i sondaggi danno la Lega in ulteriore aumento, al 37-38%. E’ vero che molta parte dell’informazione è quantomeno fuorviante. Si tende a screditare i protagonisti noti della trattativa: “ti pare che un affare così importante potesse essere gestito da personaggi di terz’ordine?”, si pone come decisivo se il passaggio di soldi ci sia stato o no: ma certo che non c’è stato, sappiamo già benissimo che l’”affare” è andato a monte. Ma non è quello che conta: conta il fatto che una persona sicuramente legata in modo stretto a Salvini, Gianluca Savoini (pudicamente definito in uno dei primi telegiornali che si sono occupati della vicenda “di orientamento nazionalsocialista”) abbia tentato di combinare un cospicuo finanziamento illegale da destinare alla Lega. Se la cosa abbia risvolti penali, visto che poi è andato tutto a monte per il rifiuto dei russi, lo stabiliranno i magistrati; ma dal punto di vista politico una cosa del genere è di una gravità devastante. Invece, a vedere i sondaggi, non ha devastato nulla, anzi. Il Russiagate segue di poco il caso Siri: non si sa ancora se l’ex sottosegretario – e tuttora senatore della Lega – è un corrotto (anche questo lo diranno i magistrati), ma di sicuro è un bancarottiere, e questo era già noto da prima che entrasse nel governo. Eppure Salvini l’ha voluto accanto durante il suo incontro con i sindacati: d’altronde, è lui l’autore del progetto di flat tax che il vice presidente del Consiglio vuole a tutti i costi introdurre. Effetti sull’elettorato leghista? Zero. E’ appena uscito un libro di Claudio Gatti (I demoni di Salvini – i postnazisti e la Lega, ed. Chiarelettere), giornalista del Sole24Ore, cha ha ricostruito l’infiltrazione e l’influenza di fascisti e postnazisti nel partito. “Matteo Salvini oggi, come Umberto Bossi ieri, non ha sposato il pensiero postnazista. Ha fatto di peggio: l’ha cinicamente usato per emergere e rimanere al centro dell’attenzione nazionale”. Un’altra goccia che scorre a va. L’autonomia regionale differenziata, ossia, come l’ha definita il professor Gianfranco Viesti, “la secessione dei ricchi”, dovrebbe spaventare almeno tutti gli elettori del Mezzogiorno: macché. Scandali, personaggi loschi, politiche anti-popolari come la flat tax e la secessione del Nord: nulla sembra poter intaccare la marcia trionfale del “Capitano”. Meno che meno le vacanze balneari con il figlio a Milano Marittima che per “errore” di tanto padre ha passato un paio d’ore di svago su una moto d’acqua della polizia… Salvini ammette l’errore da papà, dopo di che ignorando ancora una volta ruolo e responsabilità istituzionali che riveste, oltre che quella di capo partito, attacca la libertà di stampa perché la notizia rivelatrice dell’abuso rappresenterebbe una strumentalizzazione politica di un bambino (sedicenne) a fini politici… Benissimo. Abbiamo visto di tutto. E la conferenza stampa al Viminale Beach è solo l’ultimo episodio di una lunga catena di bassezze nefande che hanno costellato il salvinismo con tutti i suoi mille rivoli di bile, di gradasseria, di prepotenza, di ignoranza, di bugie, di cattivismo malcelato e di rimandi al fascismo. Benissimo, siamo schifati, sì, e siamo fieri di essere schifati, il partito degli schifati si è sedimentato sul fondo di questo governo breve e lungamente incompetente, ma Salvini intanto cresce nei sondaggi e si accorda in perfetta armonia con le viscere di un Paese che non vedeva l’ora di poter essere finalmente pessimo senza sentirsi giudicato, anzi addirittura premiato per la propria empietà. E allora forse sarebbe il caso di capire come scostarsi da Salvini e dal suo verbo grondante per non rimanere incagliati nell’opposizione fatta sempre di condanna breve, cento volte al giorno, delle sue intemerate. Forse sarebbe il caso di mettersi d’accordo che il salvinismo non si sconfigge abbattendo Salvini: lui è solo la ghiandola esatta per veicolare la bile, forse non andrebbe preso troppo sul personale per non dargli spessore che non ha. Uno pensa: qui c’è da aver paura. E immagina che lo pensi anche l’opposizione, e che si batta con tutte le sue energie per cambiare questa situazione. Lasciamo stare la finta opposizione di Berlusconi, il cui sogno è solo quello di far entrare quel che resta di Forza Italia in una coalizione di governo di destra, cioè diventare un gregario di Salvini. Ma il Pd? Cosa fa il Pd? Il Pd, per bocca del suo segretario Nicola Zingaretti, ripete ossessivamente sempre le stesse due cose ogni volta che gli mettono davanti un microfono. La prima: “Via il governo ed elezioni subito”; la seconda “Il Pd non farà mai un accordo con i 5Stelle”. Ottima strategia. Elezioni subito? I sondaggi, che quando sono concordi come ora possono sbagliare un po’ sui numeri, ma l’orientamento l’azzeccano, dicono che dalle elezioni uscirebbe una maggioranza di destra-destra, che cioè forse sarebbe addirittura sufficiente una coalizione Lega-Fratelli d’Italia senza neanche bisogno di Berlusconi (che comunque – figurarsi – ci starebbe). Il Pd – forse – potrebbe ripetere quel 22% delle europee, che non è neanche scontato. Ma anche se arrivasse a un insperato 25% (il livello della “non-vittoria” di Bersani nel 2013), che potrebbe mai farci? Beh, il governo ovviamente no, né subito né per un numero imprecisato di anni a venire. Ma sarebbe la maggioranza di Zingaretti a fare le liste, e questo gli permetterebbe di rovesciare l’attuale strapotere renziano sui gruppi parlamentari. Perché, come si ricorderà, alle ultime elezioni politiche era Renzi il segretario, e ha fatto eleggere in stragrande maggioranza i suoi fedeli. “Mai coi 5Stelle”. E come potrebbe, anche se volesse? Più di chiunque altro nel Pd, ad essere ferocemente contrario ad ogni ipotesi di un’alleanza del genere è proprio Matteo Renzi. E visto che controlla molti parlamentari, se pure Zingaretti arrivasse a un improbabile accordo ci metterebbe un attimo ad impallinare il governo alla prima occasione. Tant’è che Il Pd riesce a litigare anche sulle petizioni anti-Salvini. In altre parole… Renzi torna sempre a Renzi,  incapace com’è di prescindere da se stesso. Non tutti nel partito la pensano come Matteo. Una cauta apertura l’ha fatta per esempio Dario Franceschini, e qualche giorno dopo gli ha fatto eco Beppe Sala: una volta che sarà cambiate la leadership dei 5Stelle, ha detto, si potrebbe parlarne. Non stiamo parlando di estremisti di sinistra, come si vede. E dunque, in quei tre o quattro partiti che è oggi  il Pd a porsi l’obiettivo del governo non ci pensano proprio: troppo occupati a combattersi tra loro, le strategie sono finalizzate a quello, il paese può attendere. E allora, chi ci salva da Salvini? Se non fa errori tali da suicidarsi politicamente, la risposta purtroppo è una sola: nessuno… Ma come si combatte Salvini senza fare un favore a Salvini? Occorrerebbe innanzi tutto: primo: dettare un’altra agenda. Decidere una volta per tutte che l’agenda politica non possa essere dettata da un bullo nei posti di comando, con i suoi stiletti che frugano tra la cronaca nera di provincia in cerca di un nero da chiamare negro o di una zingara da rivendere come zingaraccia. L’Italia è quel Paese pieno di calli che lavora fino a sera inoltrata, rientra a casa zeppa di preoccupazione e trova comunque l’energia di essere genitore (e chi se ne fotte di che sesso e con che sesso per compagno) e si arrampica su un mutuo che diventa sempre più difficile, intrisa di tristezze per un regalo che non ci si può permettere o una vacanza che non si riesce a regalare. Il lavoro, solo per fare un’esempio, è una prateria che Salvini non sa abitare per mancanza di strumenti politici ma anche l’economia e la politica internazionale sono campi in cui il salvinismo fallisce goffamente. Secondo: non cadere nella tentazione di usare il suo vocabolario. All’odio non si risponde con l’odio. Meglio: non si usa il vocabolario del proprio avversario se è un accumulo tossico di veleno sparso in giro. Non siamo un Paese che vive solo sul desiderio di schiacciamento ma siamo un Paese che anela a un’alternativa e la comunicazione è politica come la masticazione è la prima fase della digestione. Trovare parole nuove rifuggendo dalla banalità dei segni lasciati in giro dal Capitano leghista è il primo passo per un’ecologia lessicale, intellettuale e quindi anche politica. Non si tratta di essere buoni, si tratta di essere altro rispetto a un codice verbale che sembra l’unico possibile. Terzo: concentrarsi sulle soluzioni. Ribadire quanto siano sbagliate le azioni di Salvini è certo un dovere costituzionale (spesso) ma il cittadino oltre alla condanna vorrebbe sapere quale sarebbe un’altra soluzione. Se il problema è creato ad arte ci si impegna per smentirlo con i numeri e con i fatti, smettendola di lamentarsi della mancata credibilità ,a impegnandosi a costruirsela e se il problema è reale si propone una reale soluzione che sia comprensibile, possibile e ben descritta. Scriviamolo chiaro: chi è spaventato dall’immigrazione in tutti questi anni non ha ancora capito come risolverebbe il problema la sinistra. E forse è un problema della sinistra, a meno che non si voglia insistere nel dare degli ignoranti a tutti quelli che non capiscono, politicamente un suicidio. Quarto: fare opposizione. Ma fare opposizione opponendosi non su Facebook o con qualche tweet sdegnato. C’è gente profumatamente pagata per concentrarsi su tutti i metodi di opposizione possibile che pensano di potersi limitare allo sdegno: no, non è così. Opporsi significa mettere in campo tutti gli strumenti, fino a tirare la giacchetta al Capo dello Stato Sergio Mattarella, per sottolineare le incongruenze e le bugie. Non abbiamo bisogno di politici che ci dicano che la situazione è grave, ce ne siamo accorti, grazie mille. Quinto: fare memoria. Che forse sarebbe meglio scrivere fare cultura ma ogni volta che si pronuncia la parola cultura qui si spaventa qualcuno. Comunque questo è un Paese che ha bisogno di Storia con la esse maiuscola, di studiare e di comprendere e condividere, di prendere coscienza del fatto che si stanno ripetendo errori già fatti che abbiamo pagati carissimi. Essere semplici non significa essere banali: si può essere comprensibile senza rinunciare a essere profondi e se non ci riuscite non siete una buona classe dirigente. Per favore, diamoci una mossa. Sono solo cinque idee di decine che ne potrebbero uscire ma decidere fin da domani di mettere in pratica un altro comportamento potrebbe essere utile per segnare un cambio di passo. Anche per smettere di essere il controcanto di Salvini e provare a proporre una melodia nuova… così, per dire…

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