Italia: di nuovo elezioni questa volta per stabilire a che punto è la notte della politica…

Si elezioni per stabilire a che punto è la notte della politica italiana. L’ennesimo test per misurare la disaffezione degli elettori per la politica dopo anni di kamasutra parlamentare e sullo stato di salute di due coalizioni entrambe piuttosto disastrate. Con un occhio a due dati: il sorpasso di Meloni su Salvini e l’emorragia di Conte… Non sarà uno di quei turni elettorali da “fine del mondo” quello di domenica 12 giugno – tranquilli, comunque vada, il Governo non cade – ma ogni voto, come si diceva una volta, è “politico”. Soprattutto poi se, come in questo caso, si tratta dell’ultima tornata nazionale (a ottobre ci saranno solo le elezioni siciliane) prima delle elezioni politiche del prossimo anno. Questo combinato disposto di amministrative e referendum servirà proprio a misurare a che punto è la notte. Notte intesa innanzitutto come complessivo stato di salute della democrazia italiana: quanto cioè, dopo anni di governi “non eletti” e di “kamasutra” politico in cui sono state sperimentate tutte le posizioni (attuale legislatura: da vietare ai minori), dopo la disaffezione da Covid e in piena guerra, i cittadini si sentano ancora protagonisti e vadano al seggio o preferiscano andare al mare. In questo senso, le amministrative aiutano perché c’è l’elezione diretta (che impedisce il kamasutra) e, non essendoci “nominati”, c’è anche un rapporto eletto-elettore. Il referendum è invece un’altra storia. C’è poco da fare: vuoi perché i più popolari non sono stati ammessi (perché scritti male), vuoi perché dell’istituto si è abusato da anni, si rischia che questa volta si rompa del tutto il rapporto tra il popolo e l’istituto referendario se non raggiungerà il quorum. C’era un tempo in cui i referendum aprivano una nuova stagione, stavolta è probabile che riflettano la crisi del sistema politico. Che, nello specifico, non solo non è riuscito ad approvare la riforma Cartabia prima del voto, come più volte annunciato (purtroppo c’è l’Ucraina e la discussione pubbliche è avvolta da amnesie). Poi non ha neanche mobilitato più di tanto sul referendum. Risultato: siamo (ancora) senza riforma e (probabilmente) senza quorum. Fotografia perfetta di un’impotenza o incapacità, scegliete voi, che fa il paio con le liste degli “impresentabili” (18) consegnate dall’Antimafia l’ultimo giorno utile, e solo dopo un arresto di un candidato a Palermo, pur avendo avuto un mese di tempo. E che cozza con la determinata solerzia con cui si è posta in essere una nuova spartizione della Rai in materia di nomine o con i ricorsi annunciati, anche qui con solerzia, sulla vicenda delle mascherine al seggio, altra vicenda grottescamente italiana: da obbligatoria la mascherina è diventata facoltativa non per evidenze scientifiche, ma per la protesta di alcuni (Salvini). Insomma, il sistema politico in crisi non conclude nulla sulla Cartabia e sull’Antimafia, questioni che riguardano gli italiani, ma ha una forza dirompente nella difesa del proprio particolare sia esso una nomina gradita sia il voto dei no-mask. Si arriva al voto così, in questo contesto. E le urne serviranno, oltre che a decidere i sindaci di 22 capoluoghi di provincia e 4 di regione (Genova, Palermo, l’Aquila e Catanzaro), a valutare la notte delle coalizioni: lo stato di salute dei due campi, entrambi abbastanza disastrati. La volta scorsa, nell’anno nero del post referendum in pieno declino renziano, finì 19 a 6 per il centrodestra, più Pizzarotti. E quel turno infatti anticipò il tracollo del Pd alle successive politiche. Peggio di allora è impossibile andare. Anche se non tutte le città sono uguali. E le due sfide chiave sono Genova e Palermo. Ma è dal voto di lista che arriveranno le indicazioni più rilevanti per comprendere la crisi di un campo comunque esistente (il centrodestra) e di uno potenziale (Pd-5 stelle). Per la prima volta le spaccature e la disarticolazione del centrodestra a livello nazionale si riverberano nelle città dove non ci sono ovunque candidati comuni: da Parma a Verona, da Messina a Catanzaro. E, in questo quadro, il dato vero da analizzare è se a Giorgia Meloni riuscirà il sorpasso della Lega in alcune città del Nord. A Verona e Como, ad esempio, dove si presentano candidati sindaci di Fdi, con un potenziale effetto traino sulle liste. Ma anche ad Alessandria, dove il candidato sindaco è leghista ma in questi mesi c’è stata un serio afflusso nel partito di Meloni di pezzi importanti di Forza Italia o a Cuneo, città di Guido Crosetto. In sintesi: Belluno, Verona e Padova contendibili; il brivido del voto di lista con la competizione Salvini-Meloni. Il centrodestra è la coalizione, se ancora si può definire tale, che ha più da perdere. Da dopo il Papeete sostanzialmente ha mancato tutti gli appuntamenti importanti, dal sogno di spallata in Emilia e Toscana, alla debacle nelle principali città italiane (Torino, Milano, Roma, Napoli). È chiaro che una crepa del Nord fa avvitare le crisi, proprio lì dove vige la regola che il partito che arriva prima esprime il candidato premier. Diciamo le cose come stanno: c’è già un pezzo della Lega che aspetta il minuto dopo lo spoglio per chiedere una “riflessione” a Salvini. Da tempo è diventato un Re Mida al rovescio e non ragiona: passi la carnevalata russa, mal tollerata proprio perché si vota, passi la carnevalata no vax arginata dai governatori, ma nel momento in cui si perdono i gioielli di famiglia, a quel punto sul Nord deve rendere conto. Dall’altro lato il Pd, dicevamo, non può andare peggio della volta scorsa. Ma in questo campo conta la misurazione della crisi dei Cinque stelle e in particolare il dato in Sicilia. Si sa, nel resto d’Italia sta messo maluccio. Ma se nell’Isola, che anticipò la valanga nazionale, perde il primato di primo partito allora significa che su scala nazionale il Movimento è precipitato sotto il dieci. E il primum vivere che già si è visto sulla vicenda delle armi in Ucraina, può diventare ancora più scomposto. Non fino al punto da indurre Conte a chiedere le elezioni anticipate, ma porterà ad esasperare i tratti identitari, non a smussare. E questo difficilmente si concilia con la costruzione di un’alleanza credibile, che ha come presupposto una recita comune e non a soggetto. Con ogni evidenza le crisi dei due campi ha nature diverse. Di comune c’è che chi prende la botta e tocca con mano che il suo rapporto col paese è logoro tenderà a logorare il Governo Draghi per recuperare consenso. Che è né più né meno quello che è successo finora, ma l’intensità è destinata ad aumentare. Con la differenza che Salvini e Conte potrebbero avere qualche guaio in più in casa… La conferma c’è già! Nessus quorum per i referendum… e meno del 40% degli aventi diritto al voto per i Sindaci. E’ buio pesto!!!

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