Italia: il ruolo del Regionalismo volutamente frainteso. Venti regioni, venti soluzioni diverse tra loro. Incredibile, in tempo di pandemia i Governatori vestono gli abiti dei viceré e ognuno fa a modo suo…

Nei mesi precedenti lo scoppio della pandemia  si era ulteriormente sviluppato (in occasione del voto in numerose e importanti Regioni) un acceso dibattito sul regionalismo differenziato, cioè in merito all’attuazione dell’articolo 116, III comma della Costituzione, il quale prevede che le Regioni possano ottenere “forme e condizioni particolari di autonomia” in una serie di materie, tra cui quelle che rappresentano il cuore dello Stato sociale, come sanità e istruzione. Si tratta di una disposizione che non era contenuta nel testo originario della Costituzione del 1948 ma che è stata inserita in Costituzione nel 2001, senza neppure un adeguato dibattito, nell’ambito della maldestra riscrittura del Titolo V. Il Regionalismo differenziato, è diventato negli anni dal 2001 a oggi un vero e proprio paradosso istituzionale che tradisce la nostra Costituzione, e che ci ha consegnato un assetto dei poteri locali che è diventato un vero e proprio “caos”, cui solo una saggia e opportuna giurisprudenza della Corte costituzionale sta mettendo, in qualche modo, argine. Oggi, appare sempre più chiaro agli italiani, che il Regionalismo e stata una battaglia politica sicuramente importante nel passato, fatta in nome del voler  avvicinare il “potere politico” ai cittadini” sui territori, ovvero là dove il popolo vive e lavora, ma nel trascorrere del tempo è diventato nella sua versione volutamente fraintesa  soprattutto dalla Lega propensa a un Regionalismo differenziato tout court, la scusa o meglio la ragione stessa della sempre maggiore disgregazione sociale dell’Italia medesima… Ancor più oggi in tempo di pandemia da Covid-19, la questione ha rivelato la sua negatività. La gestione della pandemia, cambia da un territorio all’altro, mentre le scuole aprono e chiudono a piacere di questo o quel Presidente di Regione. Si va in ordine sparso, tanto che prima di anziani e fragili in alcune zone del Bel Paese sono state vaccinate le categorie più diverse. Il governo Conte, dopo un tentativo iniziale, aveva rinunciato a stoppare l’eccesso di autonomia regionale, invocata all’unisono (destra e sinistra) dai Governatori (figura istituzionale inesistente nel nostro ordinamento). Ora, finalmente è intervenuta la Corte Costituzionale. E, ora, il Governo Draghi corre altresì ai ripari. E nonostante quella che sembrerebbe un presa di coscienza generale da parte della pubblica opinione… nelle Regioni si vaccinano categorie a piacere, si chiudono le scuole anche se non è necessario, si prenotano dosi di Sputnik V senza che sia stato autorizzato dall’Ema. Anche durante la pandemia le Regioni pretendono di continuare a dettare legge. Come al solito, senza rendere conto a nessuno… In tempi di Covid i governatori si sentono e comportano come fossero dei Viceré, nonostante il presidente dell’Emilia-Romagna Stefano Bonaccini (non senza un palese ritardo politico) provi a rinfrescare la memoria ai colleghi: «Siamo una nazione, non venti piccole patrie». Da Nord a Sud le differenze nella gestione del virus si sono rivelate clamorose. «Alcuni presidenti stanno dando un importante contributo all’affossamento di un istituto fondamentale della nostra Costituzione che è proprio la Regione. Dimostrano di non conoscere le leggi e il buon senso», racconta il giudice emerito della Corte Costituzionale Sabino Cassese. E, spiega: «Il diritto alla salute dei lombardi non è diverso da quello dei calabresi, è una questione elementare». Il premier Mario Draghi dicono parla poco (l’importante è che lo faccia per l’appunto a ragione e non a sproposito) e ha sentito il bisogno di intervenire per ‘bacchettare’ i territori regionali che si muovono «in ordine sparso». E «questo non va bene». Sulla campagna vaccinale è stato ancora più chiaro: «Alcune Regioni trascurano i loro anziani in favore di gruppi che vantano priorità probabilmente in base a qualche loro forza contrattuale». Puntualissime le reazioni dei governatori: «Ingeneroso», «non ce l’aveva con noi», «È scaricabarile», «non siamo capri espiatori». Peccato che da Nord a Sud, mentre i fragili aspettavano il loro turno, si “stappavano” fiale come fossero spumante… per dipendenti amministrativi, avvocati, giornalisti, studenti universitari, panchinari e amici di amici. «I ventenni vaccinati in Lombardia sono il doppio dei settantenni», denuncia il sindaco di Bergamo Giorgio Gori. Mentre il Governatore Attilio Fontana, difende tutto in nome di una “eccellenza sanitaria” lombarda, finita con una condanna in via definitiva a 5 anni e 10 mesi per corruzione inflitta dalla Cassazione a Roberto Formigoni, che la Regione aveva governato per 18 anni consecutivi in precedenza. Senza scordarsi di Roberto Maroni Presidente della Regione prima di Attilio Fontana, che aveva lasciato a metà mandato, anch’esso poi condannato dalla Magistratura, il quale non aveva fatto mancare il suo impegno, per ridimensionare il peso dei medici di famiglia nella sanità lombarda. E in perfetta continuità d’intenti è di ieri la notizia che per l’attuale Governatore Lombardo,  ci sono nuovi guai giudiziari: nuove accuse per il presidente della Regione Fontana che si aggiungono a quella di frode nelle pubbliche forniture per il caso dei 75 mila camici commissionati alla società di abbigliamento del cognato. I magistrati milanesi inviano una rogatoria internazionale alla Svizzera: vogliono capire da dove arrivano quei 5,3 milioni di euro riportati in Italia con la voluntary disclosure. Intanto la vaccinazione degli  over 80 è in gran ritardo, immunizzato appena il 19,1% della platea.  Così Palazzo Chigi ha varato un nuovo piano per i vaccini: finalmente si procederà per età e patologie. Il problema resta la quantità di dosi disponibili. Anche sull’approvvigionamento, alcuni governatori hanno provato a fare scorte senza aspettare Roma. Il pioniere è stato Luca Zaia. A inizio febbraio annunciava che il Veneto si sarebbe mosso per comprare i vaccini tramite broker e intermediari. Il Doge aveva parlato di 27 milioni di dosi complessive di Pfizer pronte ad atterrare in Laguna. L’iniziativa di Zaia ha scatenato la curiosità dei colleghi di Friuli, Piemonte e Marche, che meditavano di fare la stessa cosa. Poi sono arrivate le inchieste della magistratura. E gli emissari che promettevano le valigette di fiale sono scomparsi. «I vaccini sono diversi dalla grappa barricata, quella puoi comprarla con gli intermediari». Così Vincenzo De Luca apostrofava il collega veneto. Infatti, il presidente della Campania si è servito direttamente alla casa madre: pochi giorni fa ha prenotato Sputnik V, che però non è ancora stato approvato dall’Ema. Il via libera del preparato russo non arriverà prima di tre o quattro mesi, secondo il Premier Draghi. «Si sbrighino con le verifiche», attacca il governatore del Lazio Nicola Zingaretti. Chissà che ad Amsterdam, sede dell’Agenzia europea del farmaco, non lo ascoltino. Anche sulle scuole la pandemia ha moltiplicato le piccole patrie. A Milano gli studenti sono andati in classe 112 giorni contro i 48 di Bari. Alcune Regioni hanno chiuso gli istituti più del dovuto, anche contro il volere del Governo. Ora, forse, il cambio di marcia. Draghi ha annunciato l’intenzione di riaprire le scuole dopo Pasqua fino alla prima media, anche in zona rossa: «Le scelte dei governatori dovranno essere riconsiderate». Nello stesso giorno in cui il premier parlava, il presidente della Puglia Michele Emiliano si faceva aggiungere nei gruppi Whatsapp dei genitori per chiedere cosa ne pensassero dell’eventuale ritorno in classe. Lui che in questi mesi ha sfornato ordinanze e duellato col Tar per scoraggiare la didattica in presenza. Anche in Calabria il facente funzioni Nino Spirlì ha chiuso le aule per poi essere smentito dal Tribunale amministrativo regionale. Cosa accadrà dopo la Resurrezione di Gesù? Non è dato saperlo. Intanto Abruzzo, Molise e Basilicata continuano a tenere gli studenti a casa, nonostante siano in zona arancione. Tra vaccini e protocolli, resta il caos. «L’errore del governo Conte è stato quello di non chiarire subito che un problema globale come la pandemia non poteva essere gestito a livello regionale», spiega Francesco Clementi, costituzionalista e professore di Diritto Pubblico Comparato all’Università di Perugia. «Dentro l’ambiguità di poteri e competenze c’era un vantaggio politico innegabile. Usare la responsabilità condivisa ha fatto comodo a tutti in un anno elettorale in cui la gestione della pandemia per molti governatori era una leva formidabile da usare in vista del voto. Il tiro alla fune tra Stato e Regioni ha rappresentato una strategia con cui dire che “oggi è colpa mia” e “domani è colpa tua”». Il gioco delle parti ha creato squilibri sempre più evidenti. Giuseppe Conte non ha avuto la forza politica di dire no ad un eccesso d’autonomia regionale volutamente fraintesa. A un anno dall’inizio della pandemia, è dovuta intervenire la Corte costituzionale per mettere un punto ai rimpalli. La sentenza numero 37 del 17 marzo ha disposto che sulla gestione del virus non c’è più competenza concorrente tra Stato e Regioni, la titolarità spetta in via esclusiva al Governo. La campagna vaccinale e tutti gli interventi di cura e profilassi fanno parte della sfera statale. Le Regioni non hanno più discrezionalità, ma devono eseguire le decisioni dell’Esecutivo… «Questa sentenza rappresenta uno spartiacque decisivo per togliere alibi e confusione. Nei mesi scorsi abbiamo assistito a equivoci e demagogia. Le Regioni erano legittimate a prendere decisioni proprie, oggi non più. Adesso il punto è gestire il passaggio tra quel periodo e la “nuova” competenza esclusiva dello Stato stabilita dalla Consulta. Il premier Draghi sta cucendo il passato col futuro a partire da questa consapevolezza». Conclude Francesco Clementi. Il governo deve far rispettare in fretta la decisione dei giudici costituzionali, ripete Cassese. «Oggi questa situazione è un’eredità di Conte. Ricordo che il Presidente degli Stati Uniti, nel 1957, mandò l’esercito per far eseguire una sentenza della Corte suprema». Il premier Draghi ha scelto la strada del dialogo con le Regioni. Le ha incontrate lunedì per definire la nuova strategia e cominciare a programmare le riaperture. Da mesi osservatori e politici evocavano una clausola di supremazia a favore dello Stato, ormai superata dalla sentenza della Consulta. Resta il nodo irrisolto del rapporto tra Stato e autonomie. Per molti, mettere mano al Titolo Quinto non è solo un auspicio, ma è ormai una necessità improcrastinabile. «Una volta risolta l’emergenza sanitaria – spiega di nuovo Clementi – bisognerà trovare rapidamente come farlo tenendo presente ciò che a riguardo delle autonomie dice la nostra Costituzione…

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