Italia: sempre più disunita. La situazione internazionale è grave, ma gli ex gialloverdi pensano solo a indebolire il governo…

Quando si dice che non ci facciamo mancare niente, noi italiani, sempre pronti a distinguerci e a far mancare una vera unità politica nei momenti topici per le sorti (e non è purtroppo un’esagerazione) dell’Italia, dell’Europa e finanche dell’Occidente libero. Nel giorno in cui premier Mario Draghi sale sull’aereo per recarsi a Bruxelles e partecipare a tre vertici storici dove c’è anche il presidente americano Joe Biden, Giuseppe Conte rilascia alla Stampa un’intervista in cui mette nero su bianco che i Cinquestelle non voteranno l’aumento delle spese militari. Adducendo il “nobile” motivo che i soldi vanno spesi per contrastare il caro bollette, per scudare le famiglie e le imprese dal rischio recessione. Va bene però aiutare gli ucraini, inviando aiuti militari per «esercitare la legittima difesa», è il ragionamento dell’ex presidente del Consiglio che si era distinto per avere spianato in Italia la Via della seta di Xi Jinping, concordato con Vladimir Putin l’arrivo dei militari russi anti-Covid, avere organizzato due incontri tra il ministro americano Barr e i vertici dei servizi segreti nostrani per recuperare informazioni sul Russiagate a uso e consumo elettorale di Donald Trump. Ma quelli erano gli anni “eroici”, si fa per dire, del governo gialloverde, dell’alleanza con Matteo Salvini. Il nazional populismo al potere con addentellati leghisti sulla Piazza Rossa, con tanto di maglietta e faccia di Putin stampata, chiacchiere interessate al bar dell’hotel Metropol e poi quelle filosofiche sull’Anticristo con il politologo Dugin, che parla di “guerra santa” in Ucraina. Roba del passato, oggi Luigi Di Maio definisce lo Zar un «animale» e Salvini si fa pio e francescano dopo avere detto che gli unici Papi che riconosce sono Wojtyla e Benedetto XVI. «Fatico ad applaudire quando sento parlare di armi, non ne sono felice. Io voto per la pace», sono le sue parole scolpite nella pietra come quelle in contraddizioni che giustificavano l’uso delle armi, sempre e comunque, se un ladro entra in casa. Vedremo come voteranno in Parlamento Lega e Cinquestelle sull’aumento fino al 2 percento delle spese militari. Rimane che lo smarcamento gialloverde arriva proprio nel momento in cui Draghi partecipa al vertice straordinario della Nato, alla riunione dei leader del G7 e al Consiglio europeo. Dovrebbe avere alle sue spalle tutta la politica italiana e invece fioriscono distinguo, scricchiolii elettorali, aggrappandosi (Salvini) alle parole del Papa Francesco, che parla di pace e di «pazzia» delle armi come si conviene a un Pontefice. I leader politici invece dovrebbero avere un’altra lingua. Tra loro sempre non pervenuto Silvio Berlusconi, che non sfiora l’amico Putin, ma non si discosta dalla linea atlantista che reagisce all’aggressione armata dell’Ucraina e del suo popolo. Il tartufismo berlusconiano sarà ricordato a lungo nella parabola del capo di Forza Italia. A rompere le righe della destra ci pensa Giorgia Meloni, che ha indossato l’elemento in piena sintonia con i polacchi che comandano nel gruppo europarlamentare dei Conservatori, al quale sono iscritti gli eletti di Fratelli d’Italia. Loro vorrebbero dare al presidente ucraino Zelensky qualsiasi tipo di armi. Meloni, che è presidente di ECR Party, il Partito dei Conservatori europei, tende a sfumare le simpatie avute per Donald Trump, aggiusta il tiro e diventa paradossalmente la migliore alleata di Draghi in questa curva drammatica della storia politica e militare. Il premier alla Camera le ha dato pubblicamente atto di non aver tentennato ma lei, in un’intervista al Messaggero, precisa che questo non vuol dire entrare nell’area di governo. «La nostra opposizione è totale, netta, convinta. Noi l’opposizione la facciamo al governo non all’Italia. Io, che mi sento una patriota, distinguo sempre la politica interna da quella internazionale». I Cinquestelle e i leghisti dicono che questa è coerenza patriottica à la carte. Conte questo patriottismo non lo avvertiva quando c’era lui a Palazzo Chigi. E Salvini nota le affinità elettive tra la sua (ex) alleata ed Enrico Letta nell’illusione che lei e lui si contenderanno la premiership alle elezioni del 2023. Ma qui siamo già su un altro piano del discorso, molto lontano dalla vera guerra in Ucraina. Qui siamo alla battaglia dentro una coalizione che è esplosa senza esclusioni di colpi e che vede nelle candidature in Sicilia e in Veneto per le amministrative il suo epicentro…

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