Italiani: sempre più arrabbiati, insicuri e delusi dalla politica…

L’ottimismo è ormai un lontano ricordo, la ripartenza economica non c’è stata anzi gli ultimi dati parlano ancora di una possibile ulteriore recessione e così il rancore dilaga. Questa in una battuta, la situazione sociale dell’Italia e conseguentemente noi italiani siamo diventati: “intolleranti fino alla cattiveria” .Nel 2018/2019 la tanto attesa ripresa economica non è arrivata, mantenendo il popolo italiano in un limbo a metà tra la crisi e una ripartenza che stentava a mettersi in moto… e in quest’inizio d’anno il dato dell’avvenuto ulteriore ridimensionamento della nostra produzione industriale nel 2019 – giù dell’1,3% – tornata così a scendere dopo cinque anni, ci ripropone una recessione del settore… e comunque più in generale una diminuzione delle stime previste per nostro Pil nel prossimo periodo. Di male in peggio! Una situazione che nel corso del tempo ha trasformato l’italiano in quello che vediamo al giorno d’oggi: “un’arrabbiato senza fiducia nella politica, diffidente verso ciò che non conosce, deluso dalla condizione economica in cui vive, che spesso lo porta a dover rinunciare anche a fattori importanti come la cura della salute”. Una fotografia che ci segnala come nelle dinamiche collettive si vede ormai ad occhio nudo come i processi in atto confermano un’antica verità ovvero che sono solo le risoluzioni delle crisi che inducono una ripresa dello sviluppo… e l’Italia a riguardo sta a zero! Una situazione che vede un rabbuiarsi dell’orizzonte di ottimismo e nella quale si accentuano lo squilibrio dei processi d’inclusione dovuto alla contraddittoria gestione dei flussi d’immigrazione. L’insicurezza sembrerebbe la parola chiave che descrive la nostra società, dove l’assistenza viene interamente scaricata sulle famiglie e sul volontariato, dove le istituzioni formative sono alle prese con un vistoso calo di reputazione, dove si accentua il cedimento rovinoso della macchina burocratica pubblica e della digitalizzazione dell’azione amministrativa. In questo scenario viene da pensare che tutto arretra con gli italiani “incapsulati” in un Paese pieno di rancore e incerto nel programmare il futuro. Grande è la delusione. Si guarda alla politica dell’annuncio anche quando a quest’ultimo manca la dimensione tecnico-economica necessaria a dare seguito al proprio progetto. Ma se ignorare il cambiamento sociale è stato l’errore più grave della nostra classe dirigente del trascorso decennio, l’errore attuale rischia di essere quello di dimenticare che lo sviluppo italiano continua ad essere diffuso ma diseguale. Di qui, scaturisce la necessità di “un dibattito serio sull’orientamento del nostro sviluppo e sulla capacità politica di definirne i nuovi traguardi”. Perché all’Italia di oggi: “basterebbe una responsabilità politica che non abbia paura della complessità, ma si misuri con la sfida complessa di governare un complesso ecosistema di attori e processi” (Censis – 2019). Soltanto un italiano su cinque ha un atteggiamento positivo sul momento che vive; per il resto, prevalgono rabbia, disorientamento, pessimismo. E’ questo lo stato d’animo degli italiani fotografato dall’ultimo rapporto del Censis: “su 100 italiani, 30 si dicono “arrabbiati” perché troppe cose non vanno bene e nessuno fa niente per cambiarle; 28 “disorientati” in quanto ammettono di non capire cosa stia accadendo; 21 vedono tutto in “negativo” e pensano che le cose andranno sempre peggio; e soltanto altri 21 guardano invece alla realtà con uno stato d’animo “positivo”, in quanto viviamo un’epoca di grandi cambiamenti e riferiscono di avere fiducia nel futuro”. Una conferma arriva da altre ricerche sociali oltre che dal rapporto Censis: due italiani su tre sono convinti che “non ci sia nessuno a difendere interessi e identità” e dunque sono costretti a farlo “da soli”. Se il 64% la pensa così, la percentuale si impenna a quota 72 fra coloro che hanno un basso titolo di studio, a 71 per chi ha redditi bassi, a 67 fra i residenti al Sud e nelle due Isole, a 65 fra le donne (ist. Cattaneo). Riassumendo: “non c’è fiducia nella politica!” Già qual è il rapporto degli italiani con la politica? Per metà degli italiani, i politici sono tutti uguali; e per oltre la metà, in Italia niente cambia. A esprimere quella che un tempo si sarebbe definita come una considerazione ‘qualunquista’ – ovvero che “i politici sono tutti uguali” – è il 49,5% degli italiani e la percentuale supera la metà di loro nel caso di persone con reddito basso (54,8%), donne (52,9%), giovani tra i 18 e i 34 anni (52,5%), chi ha un basso titolo di studio (52,2%) e i meridionali (50,6%). Quanto ai pessimisti per i quali “le cose in Italia non stanno cambiando”, in media il 56,3% degli italiani, in testa risultano essere di gran lunga gli studenti (73,1%) seguiti a distanza dagli anziani ultra 65enni (62,2%), dai residenti nel Nord-Ovest (60,7%), dalle donne (60,2%), dai laureati (60,2%) e da coloro che percepiscono redditi medio-bassi (58,1%). Confrontando questi dati (Ist. Cattaneo) di questi studi paralleli sulla situazione sociale italiana si potrebbe definire che questa fase della “missione della politica” va dall’assalto al cielo alla difesa delle trincee” in quanto “l’evoluzione della partecipazione e del consenso elettorale racconta da un lato il disimpegno degli elettori come esito del distacco dalla politica e dall’altro la frammentazione del consenso conferito ai principali partiti in campo, che significa in sintesi il consolidamento di un gap tra politica e società oramai fisiologico” (ancora il Censis – 2019)). Quindi sono definitivamente passati i tempi in cui la politica non rifletteva umori ed emozioni come un semplice specchio, ma riusciva a discernere, selezionare, combinare; in una parola: a mediare. Mentre oggi sembra finito quel gioco combinatorio di identità e interessi che si proiettava nella domanda politica, anche perché sono sempre più sfumati i profili identitari dei diversi gruppi sociali e le relative ‘costituency’ degli interessi. Ciò aiuta a comprendere perché oggi, probabilmente per sfuggire al rischio dell’indistinzione, i nostri politici rinunciano a ogni pratica mediatoria, radicalizzando almeno verbalmente quel che può distinguerli o renderli visibili e più duraturi nel ruminare impietoso del circo mediatico. Così, la politica rilancia ogni umore ed emozione estremi che circolano in modo più o meno sommerso nella società o fragorosamente visibili sui social network. E questo è divenuto il meccanismo perverso della politica italiana (ma non solo) che riflette la società e ne rilancia le voci più assordanti e virulente. Dopo il rancore, la cattiveria! Così sembrano confermare le ricerche del Censis e Istituti analoghi… tutti sottolineano che gli italiani sono diventati nel quotidiano “intolleranti fino alla cattiveria” e quindi la politica e le sue retoriche rincorrono, riflettono o semplicemente provano a compiacere una sorta di “sovranismo psitico” che si è installato ormai oltre che nella “pancia” anche nella testa e nei comportamenti degli italiani, che dimostrerebbero così una “consapevolezza lucida e disincantata” che le cose non vanno e più ancora che non cambieranno affatto in meglio. Ecco che per uscire da questa situazione: “gli italiani sono ormai pronti a un funambolico camminare sul ciglio di un fossato che mai prima d’ora si era visto e mostrano una “disponibilità pressoché incondizionata e non importa se il salto è molto rischioso e dall’esito incerto, non importa se l’altrove è un territorio indefinito e inesplorato, non importa se per arrivarci si rende necessario forzare, fino a romperli, gli schemi canonici politico-istituzionali e di gestione delle finanze pubbliche. Si tratta di una reazione pre-politica, molto più lucida di quanto in genere si sia pronti a riconoscere, perché viene da lontano e ha profonde radici sociali che hanno finito per alimentare una sorta di sovranismo psichico prima ancora che politico. Alimentato da alcune “disillusioni”: una ripresa rimasta inchiodata, un Pil che ristagna, i consumi che non ripartono, la produzione industriale che flette, le retribuzioni che restano basse. Così, l’Europa non è più un ponte verso il mondo né la zattera della salvezza e il Mediterraneo non è più la culla della civiltà ma ritorna a essere confine, un fossato invalicabile”. (Rapporto Censis- 2019).

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