JOBS ACT: continua la “Babele” dei dati sull’occupazione italiana…

Tasso di disoccupazione e numero di Neet in riduzione, aumento del numero degli occupati: nel secondo trimestre di quest’anno l’Istat registra un ulteriore miglioramento del mercato del lavoro. istat

Rispetto allo stesso trimestre dell’anno scorso il numero di occupati segna un’accelerazione del 2,0%, corrispondente a 439 mila unità in più. Il tasso di occupazione delle persone di 15-64 anni sale al 57,7% (+1,4 punti).

L’aumento, spiega l’istituto di statistica, riguarda i dipendenti, sia a tempo indeterminato sia a termine, e gli autonomi senza dipendenti, mentre continuano a diminuire i collaboratori. Un contributo decisivo alla crescita è dato dai 15-34enni (+223 mila su basa annua), assieme al perdurante incremento degli over 50.
Anche nel confronto congiunturale nel secondo trimestre del 2016 l’occupazione complessiva cresce rispetto al trimestre precedente (+0,8%, 189 mila), “con una dinamica positiva che, con diversa intensità, riguarda tutte le tipologie”, spiega l’Istat segnalando per i dipendenti a tempo indeterminato più 0,3%, per quelli a termine più 3,2% e per gli indipendenti più 1,2%.
Giustamente soddisfatto il presidente del Consiglio Matteo Renzi, che esulta via Twitter: Dati ufficiali ISTAT di oggi. Nel II trimestre 2016 più 189mila posti di lavoro.

Da inizio nostro governo: più 585mila. Il #JobsAct funziona – Matteo Renzi (@matteorenzi) 10:19 – 12 Set 2016. giovani-e-mondo-del-lavoro-progetto-professionalitaProsegue inoltre per il quarto trimestre consecutivo il calo dei disoccupati, la cui stima scende a 2 milioni 993 mila unità (-109 mila su base annua), risultato della riduzione per gli uomini (-132 mila) e della lieve crescita per le donne (+23 mila). Anche il tasso di disoccupazione maschile diminuisce su base annua (dal 12,1% del secondo trimestre 2015 all’attuale 11,5%) mentre quello femminile è stabile. La contrazione è più accentuata nel Mezzogiorno e tra i giovani. Nel secondo trimestre 2016 si stima a 1 milione 758 mila il numero di persone in cerca di occupazione da almeno 12 mesi (-87 mila nel raffronto tendenziale), la cui incidenza sul totale disoccupati scende al 58,7% (-0,7 punti in un anno).
I giovani che non studiano e non lavorano (Neet, not in education, employment or training) si riducono su base annua di 252.000 unità. Prosegue a ritmi più sostenuti il calo, sia congiunturale sia tendenziale, degli inattivi (in termini assoluti e di incidenza), soprattutto per la componente degli scoraggiati. Il tasso di disoccupazione, dopo la stabilità congiunturale dei due trimestri precedenti, diminuisce in lieve misura (-0,1 punti) rispetto al trimestre precedente e di 0,6 punti rispetto allo stesso trimestre del 2015 con un calo tendenziale di 109 mila disoccupati.
Il buon andamento dei dati sull’occupazione prosegue anche a luglio nel confronto europeo: l’Ocse rileva infatti come Italia e Spagna siano i Paesi dell’Eurozona in cui il tasso di disoccupazione è calato maggiormente a luglio. Infatti, spiega l’Ocse, in Italia il tasso è sceso di 0,2 punti percentuali all’11,4% e in Spagna di 0,3 punti percentuali al 19,6%.
Al contrario, aggiunge l’organizzazione parigina, la disoccupazione è aumentata in Francia di 0,2 punti percentuali al 10,3%. Nel complesso la disoccupazione nell’area euro è rimasta stabile a luglio al 10,1%.
Tuttavia, se nel confronto europeo i dati di luglio continuano ad essere positivi, non lo sono invece rispetto all’andamento degli altri mesi: anzi segnano una battuta d’arresto.
Lo sottolinea il presidente della Commissione Lavoro del Senato Maurizio Sacconi: “Il rapporto Istat sul mercato del lavoro nel secondo trimestre riassume i dati positivi di aprile, maggio e giugno. Purtroppo a questo periodo è seguita la battuta d’arresto di luglio che ha fatto registrare una riduzione di 63 mila posti. jo-condorE, come sappiamo essa si è combinata con altri elementi negativi in atto, dalla crescita zero alla deflazione, alla stagnazione dei consumi e degli investimenti, al regresso della produzione manifatturiera”.
Infatti un’ammissione involontaria di come il Jobs Act non abbia funzionato più di tanto proviene dallo stesso Ministero che lo ha varato.
Con la dimostrazione, cifre alla mano, di come l’ultima riforma del lavoro abbia incoraggiato le aziende ad espellere i lavoratori e, contemporaneamente, abbia spinto questi ultimi ad incollarsi al posto, magari rifiutando nuove opportunità.
In sintesi, di come la legge fiore all’occhiello dell’esecutivo Renzi abbia irrigidito il mercato del lavoro, esattamente il contrario di quello che servirebbe al Paese…
Quindi come stanno le cose? Siamo di fronte ad grande flop del Jobs Act? Con alla fine più licenziati che assunti? lavoroIl dicastero del Lavoro ha diffuso proprio la scorsa settimana i dati del «Sistema delle comunicazioni obbligatorie».
Un aggiornamento periodico dal quale è emerso, tra le altre cose, un aumento dei licenziamenti del 7,4%. In generale sono diminuite le cessazioni di lavoro, ma solo perché sono diminuite drasticamente le dimissioni dei lavoratori (meno 23,9 per cento). Tradotto: chi può, tra gli imprenditori, licenzia. Chi invece tra i dipendenti se lo può permettere, si tiene stretto il vecchio posto di lavoro.
«Aumentano i licenziamenti, Jobs Act dei miei stivali», ha commentato il capogruppo di Forza Italia alla Camera Renato Brunetta. «Chi cambia perde», ha twittato il giuslavorista Michele Tiraboschi.
In sostanza, i lavoratori non cambiano perché dovrebbero ripartire da zero con una nuovo contratto che non prevede le tutele dell’articolo 18, modificato dalla riforma del lavoro del governo Renzi. Seguendo lo stesso filo del ragionamento, si può dire che il Jobs Act abbia eliminato una tutela (il reintegro dei lavoratori licenziati ingiustamente), mancando l’obiettivo di rendere il mercato più flessibile.
I dati diffusi confermano inoltre una tendenza che smonta un altro obiettivo del governo, quello di favorire l’occupazione stabile. Sempre nel secondo trimestre 2016, i contratti avviati a tempo indeterminato sono calati di circa 163 mila unità, il 29,4% in meno rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. È finito definitivamente l’effetto delle riduzioni dei contributi per chi assume in modo stabile.
Misura che non sarà rinnovata dalla prossima legge di Stabilità. Diminuiscono anche i contratti di collaborazione (-25,4%) e le assunzioni a tempo determinato (-8,7%), in misura maggiore per la componente femminile (-15,2%).
Unico dato positivo, l’aumento dei contratti di apprendistato, pari al 26,2%, che erano stati penalizzati dalla precedente riforma del lavoro del governo Monti.
Alla fine le due riforme, quella firmata dal ministro Elsa Fornero e quella di Renzi hanno in comune il fatto di avere mancato l’obiettivo per il quale erano nate.
Quella del 2012, partita come una liberalizzazione (c’era una diminuzione delle tutele), finì, anche grazie a una efficace pressione da parte dei sindacati, per imbrigliare i contratti, scoraggiando l’adozione di quelli a termine. La Fornero si difese sostenendo che l’obiettivo non era quello di fare crescere l’occupazione, ma di scoraggiare l’abuso di forme flessibili. Quella di Renzi è nata sotto auspici migliori, ma ha avuto effetti simili… polettiCome si vede continua la “babele” dei dati occupazionali italiani… ma qual è la verità su questi dati? Com’è possibile che Ministero del Lavoro e Istat abbiano letture così contrastanti e finiscano per smentirsi vicendevolmente?

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