La Tecnologia e la Sfida dell’Occupazione…

Come vanno veramente le cose? Sicuramente le nuove tecnologie di vario genere, insieme alla globalizzazione, hanno influenzato in questi ultimi venti anni, decisamente le diverse opportunità lavorative delle persone sia nei paesi avanzati come, allo stesso modo, le persone che vivono in paesi in via di sviluppo. Le innovazioni tecnologiche determinano una riduzione del numero di posti di lavoro di routine (i c.d. lavori a procedura costante), ma causano anche molti cambiamenti nelle catene di lavoro e nelle reti di approvvigionamento delle merci globali e di quelle produttive specifiche per ogni campo. Tutto ciò, comporta processi importanti di rilocalizzazione dei posti di lavoro di routine e, sempre più, anche dei posti di lavoro di non routine, ai vari livelli di specializzazione nei settori produttivi industriali come dei beni di consumo, della loro commercializzazione, della loro logistica distributiva e di quello dei vari servizi di cui necessitano. Ecco, in breve, i motivi che fanno del lavoro e dell’occupazione oggi, uno dei principali problemi per tutte le economie per via dei risvolti sociali che comportano. Quindi per la Politica in generale questa rappresenta una nuova sfida in questo secolo ad alta tecnologia. In che modo, allora, la politica dovrebbe affrontare le nuove e difficili sfide occupazionali e quelli che ne derivano, per la distribuzione del reddito e della ricchezza, soprattutto nelle economie sviluppate? Negli ultimi venti anni, abbiamo dovuto imparare una serie di cose interessanti sulle modalità in cui l’evoluzione della struttura economica colpisce l’occupazione. Ad esempio, è ormai risaputo, che i settori commerciali delle economie avanzate non generano aumenti reali netti dell’occupazione. I posti di lavoro che si sono creati sono concentrati nelle fasce di reddito elevato e di istruzione superiore, con calo dell’occupazione nella fascia media e bassa di reddito ed istruzione. La crescita dell’occupazione in servizi destinati alla fascia alta dei consumatori è compensata dalla contrazione dei settori produttivi ad elevata intensità di occupazione delle catene di fornitura. Fino alla crisi del 2008, la crescita dei posti di lavoro nella fascia dei redditi medio-bassi si è verificata interamente nel settore dell’economia dei beni non-commerciabili, che rappresenta circa i due terzi della produzione e dell’occupazione dei paesi avanzati. In quest’area, i redditi ed il valore aggiunto per addetto sono rimasti in gran parte fermi. I posti di lavoro avrebbero potuto essere sostituiti dalla tecnologia, ma non eliminati dalla competizione globale; e, la crescita insostenibile della domanda interna, sostenuta da un aumento del debito, ha contribuito a ritardare gli attuali disavanzi occupazionali. Come risultato, le economie avanzate hanno perso posti di lavoro di routine a ritmo intenso, mentre hanno aumentato le occupazioni non di routine (ad esempio, quelle che non possono ancora essere sostituite o ridotte da macchine e da computer in rete). Ciò ha alimentato una formidabile crescita del rendimento di livelli di istruzione e di competenze elevati, insieme al fatto che, nei paesi avanzati, da più di due decenni, è in aumento la quota di reddito totale percepito dai proprietari di capitale e dagli impiegati di fascia alta. Quindi qual è l’impatto reale che ha la tecnologia sull’occupazione? L’impatto tecnologico sul mercato del lavoro potrebbe essere positivo, al netto di qualsiasi previsione catastrofica al riguardo. Di recente diversi studi hanno messo in luce gli aspetti controversi legati all’automazione dei processi produttivi che, in alcuni casi, possono valere la perdita di posti di lavoro (soprattutto quelli che prevedono mansioni routinarie e un basso livello di competenze). Ma è davvero così? Secondo una rilevazione di Confartigianato, la rivoluzione digitale che stiamo vivendo in fase ormai avanzata, attraversando contribuisce a movimentare il nostro mercato del lavoro. Le opportunità, insomma, non mancherebbero. Il problema, piuttosto, riguarda la difficoltà degli imprenditori a reperire le persone giuste per mancanza di competenze. Molte delle analisi sul tema concordano per l’appunto sul fatto che lo sviluppo di competenze sia alla base di un’occupazione in crescita nonostante l’automazione e l’impiego delle intelligenze artificiali nelle fabbriche o negli uffici. Tanto negli Stati Uniti quanto in Europa si rileva  un incremento occupazionale. E in Italia? A dare una certa misura del fenomeno è stato l’Istat, nell’ambito di una recente audizione alla commissione Lavoro del Senato. Nel nostro Paese gli occupati nel segmento di riferimento risulterebbero essere – nel 2016, ultimo anno di cui si hanno i dati – 750 mila, in aumento del 4,9% nell’ultimo anno (+1,3% l’aumento dell’occupazione totale) e del 12% rispetto al 2011. L’incidenza sull’occupazione totale è stimata al 3,3%, una quota lievemente inferiore a quella di Francia e Germania (rispettivamente del 3,6 e del 3,7% nel 2015). Per quanto riguarda i settori, i più dinamici sembrano essere quelli che operano nella produzione degli autoveicoli, l’elettronica, la farmaceutica e la metallurgia. Ma come è cambiata l’occupazione in questo ultimo periodo tra il 2011 e oggi? Stando alle rilevazioni Istat, l’occupazione è cresciuta nelle professioni qualificate nelle attività commerciali e nei servizi (+403mila), nelle professioni intellettuali, scientifiche e di elevata specializzazione (+330mila) e al tempo stesso nelle professioni non qualificate (+268mila). Variazioni negative si sono invece osservate nel gruppo degli artigiani, operai specializzati e agricoltori (-579mila) e in quello delle professioni esecutive nel lavoro d’ufficio (-106mila). All’interno delle professioni ICT, nello stesso arco di tempo, è cresciuta la rilevanza di quelle dirigenziali e tecniche ad elevata qualificazione (ingegneri elettronici e delle telecomunicazioni, analisti e amministratori di sistema, specialisti di Rete e della sicurezza informatica), con un “peso” sul totale dell’occupazione in professioni ICT salito dal 23% al al 30,9%.

Nel magazzino di questo supermercato lavorano 1000 #robot. L’intervento dell’uomo è relegato alla sola fase finale del processo di assemblaggio degli ordini. Per tutto il resto c’è la #tecnologia.
Secondo recenti studi, l’automazione potrebbe causare la perdita di circa 800 milioni di posti di lavoro nel mondo. Un numero impressionante.
È possibile un mondo del lavoro senza l’uomo? Voi che ne pensate?

E’ sempre tempo di Coaching!”

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