Lavoro, c’è forse qualche novità? Come leggere gli ultimi dati Istat…

Si sentono stime positive sul numero totale degli occupati. Ma guardando meglio e più in dettaglio i dati ci si accorge che calano gli autonomi e i giovani con un impiego. Il Jobs Act, quest’anno cambia…
Alle spalle oramai il bilancio del mercato del lavoro nel 2015, tutti puntano gli occhi sui primi dati del 2016: da questi si potranno capire alcuni aspetti fondamentali per la ripresa dell’occupazione nel nostro Paese.
Ecco cosa cambia nel 2016. Con il primo gennaio scorso, l’esonero contributivo per le assunzioni a tempo indeterminato scende dal 100 al 40% di quanto dovuto dal datore di lavoro. Da 8.060 euro per ogni neoassunto a poco più di 3 mila euro. Inoltre, per gli occupati 2015 il bonus è di tre anni, fino al 2017, per quelli 2016 è di due anni.
La differenza è notevole. Quali effetti avrà? E quali riflessioni si possono trarre dagli ultimi dati di dicembre?
Guardiamo …dentro e dietro i numeri, innanzitutto.
In dodici mesi il numero degli occupati è cresciuto complessivamente di 109 mila unità. Dietro questa cifra, però, c’è una realtà fatta di un enorme calo dei lavoratori autonomi, che in un anno bruciano 138mila posti, a fronte di un incremento di lavoratori dipendenti (più 247.000 unità). L’incremento dell’occupazione, però, riguarda soprattutto i lavoratori più anziani: più 189mila occupati nella fascia 50-64 anni. Nello stesso periodo si registrano meno 40mila occupati nella fascia 25-34 e meno 81mila nella fascia 35-49 anni. Anzi, si nota un preoccupante aumento di 89mila inattivi nella fascia 25-34 anni, quella che dovrebbe rinvigorire il mercato del lavoro.
Tirando le somme, il nostro mercato del lavoro rimane instabile, con un tasso di occupazione inchiodato al 56,4%, rimanendo così al fondo classifica in Europa.
Inoltre, questa “ripresina” dell’occupazione pare restituire al lavoro italiano il suo carattere duale tra uomini e donne: a beneficiarne sono infatti solo gli uomini (+132 mila) contro una riduzione del numero di lavoratrici di -23 mila unità. I dati dell’Istituto di Statistica, inoltre evidenziano che la coorte, tra i 25 e i 49 anni, che dovrebbe essere protagonista del mercato del lavoro continua a rimanere esclusa: la perdita di occupati per questa classe di età è pari a 121,000 unità, accompagnata da un aumento netto degli inattivi (+71 mila). Sono invece 189.000 gli occupati in più over 50 e 40 mila quelli under 25».
Guardando tutto ciò in una prospettiva di più lungo termine, è possibile riscontrare che l’incremento dell’occupazione 2015 su 2014 è sensibilmente inferiore a quello che si registra confrontando il dato di dicembre 2014 con quello di dicembre 2013. Mentre nel 2014, anche in assenza delle costose misure sulla decontribuzione, gli occupati erano cresciuti di 168mila unità. Si tratta, comunque, di variazioni positive meno marcate di quelle registrate negli anni pre-crisi.

Nel 2006 e nel 2007, infatti, l’aumento degli occupati era stato rispettivamente di 249mila e 268mila unità. Poi, dopo l’andamento negativo dal 2008 al 2013 (con la sola, parziale, eccezione del 2010), l’occupazione è tornata a crescere nel 2014. Ma lo scorso anno, appunto, il ritmo di questa crescita è tornato a calare sensibilmente». Il prezzo della stabilità.
Se si considera la tipologia di contratto, si scopre come nel 2015 vi siano stati 135 mila nuovi contratti a tempo indeterminato e 113 mila a tempo determinato. In termini percentuali, però, si verifica che i rapporti a termine crescono del 4,9% a fronte di un più 0,9% per quelli stabili. Ma non basta. Infatti, guardando la dinamica a partire da marzo 2015 con l’entrata in vigore del Jobs Act, l’aumento dei nuovi occupati a termine supera quello relativo ai “furono” lavoratori a tempo indeterminato (+139 vs +102 mila)».
Quindi, quanto sono costate alle casse pubbliche le 135 mila assunzioni stabili in più?
Le stime oscillano tra gli 11,7 e i 18 miliardi di euro nel triennio: occorrerà, infatti, analizzare le cosiddette trasformazioni contrattuali per stabilire il prezzo dell’operazione. Certo è che, tenendo conto dei risultati ottenuti fino a oggi …le perplessità non mancano.
Anzi. Diciamolo chiaramente: A conti fatti i dati di dicembre sono deludenti.
E’ probabile, insomma, che il grosso delle assunzioni incentivate, prima della fine del bonus pieno, sia stato realizzato dalle imprese a novembre. Ma è ugualmente possibile che, senza lo sconto, a dicembre ci sarebbe stato un bagno di sangue. Basterà aspettare i numeri di gennaio e si potrà già capire quanto abbiano inciso gli sgravi negli ultimi mesi 2015.
Di sicuro, possiamo già dire che l’esonero ha avvantaggiato la popolazione considerata più produttiva. Le fasce deboli del mercato, donne e giovani, non hanno tratto particolari vantaggi. Ma c’è anche un altro risvolto. Una volta chiara la dinamica prevedibilmente insoddisfacente, nel metodo e nel merito dell’operazione riformatrice ci si potrebbe spingere a ipotesi ancor più maliziose: quante imprese hanno nel corso dell’anno trasformato i propri dipendenti a tempo indeterminato in tempo determinato per almeno sei mesi, così da poterli riassumere con contratti a tutele crescenti entro dicembre, beneficiando degli ingenti sgravi contributivi? In quali settori operano?».
La scommessa del futuro. Tutta la partita si gioca quest’anno.
L’esonero contributivo ha drogato molto le assunzioni nel 2015.
Forse era necessario per contenere le perdite ulteriori e dare impulso alla ripresa, ma solo se ora il mercato sarà in grado di camminare da solo lo sforzo avrà avuto un senso.
Altrimenti, ancora una volta, si sarà trattato di aiuti di Stato con il denaro di tutti, dato alle Aziende e …buttati al vento.

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