Life: il vecchio e il nuovo. La speranza oltre il giovanilismo rampante…

Scriveva qualche tempo fa Massimo Ammaniti  – psicoanalista, docente onorario di psicopatologia dello  sviluppo a La Sapienza di Roma – “Il nostro mondo è malato di giovanilismo, il termine rottamazione è insopportabile”.  Sono un padre, che spesso si scontra con una figlia, che mal sopporta ogni considerazione o meglio osservazione che io possa fare su qualunque cosa la riguardi forte dell’esperienza dell’aver vissuto. A nulla serve poi spiegarle che: “L’amore può essere anche il dono di un semplice rimprovero.” La mia esperienza di 40 e più anni di lavoro, corroborata anche dall’esperienza che da coach conduco da qualche anno, mi porta spesso per l’appunto partendo da mia figlia a  connotare come: “i giovani abbiano perso il coraggio di rischiare e smarrito la speranza. Li vedo ripiegati su sé stessi in maniera narcisistica. Cercano continue e gratuite conferme, anziché trovare in sé stessi la forza di affermarsi.” Ascoltano, le rituali parole di compassione per la loro generazione precaria, senza lavoro, incerta, sfortunata, priva d’opportunità. E le trasformano in un travestimento da reclusi in una prigione opprimente. Guardando al mio passato: noi figli  spesso ci contrapponevamo ai nostri padri, lottavamo contro le loro norme, mettevamo in discussione le loro ideologie, trasgredivamo i loro divieti. E scontrandoci, incontravano noi stessi e ciò che desideravamo. Oggi, invece, noi padri tendiamo ad assecondare i figli, forse perché ci sentiamo colpevoli di non poter dar loro quello che vorrebbero. Ma così, ne “ammazziamo” la crescita e anziché permettergli di crescere, li ingabbiano in quella che chiamiamo ormai abitualmente ”l’eterna adolescenza” che con i suoi perché o meglio con le sue ragioni riempie ormai decine di saggi sull’argomento.” Sperando oltre ogni speranza, noi che le nostre battaglie le abbiamo combattute da tempo… presi da sconforto, proviamo a ragionare su ciò che accade e accadrà ancora con questa generazione di  ‘rottamatori…’ si, della generazione del giovanilismo rampante che è al potere oggi. I 30/40 enni che ci sono figli. Bisogna prender atto che il giovanilismo è il nuovo paradigma politico. Nei paesi dove i partiti hanno perso importanza e la politica è diventata un prodotto commerciale che si affida al marketing che ha imposto come parola d’ordine il “cambiamento”…senza tuttavia precisare verso dove e per far cosa, anzi ciò non sembra avere più  alcuna importanza.  E l’unica “competenza” richiesta è che il leader sia giovane …deve essere giovane. Anche se non si governano con la sola età, i processi complessi della società contemporanea. Scriveva Stefan Zweig (scrittore, drammaturgo, giornalista, biografo e poeta austriaco): “Mentre nei nostri tempi così radicalmente mutati rispetto al passato ogni quarantenne fa di tutto per apparire un trentenne e un sessantenne per apparire un quarantenne, mentre oggi la gioventù, l’energia, il dinamismo e la fiducia in se stessi sono valori di primo piano e che raccolgono vasto consenso, nella passata “Età della Sicurezza” bisognava che chiunque desiderasse progredire cercasse in ogni modo, con qualunque mascheramento, di apparire più vecchio. Con suggerimenti quali l’accelerare la crescita della barba così che: giovani medici di ventiquattro, venticinque anni, che avevano pur superato gli esami professionali di abilitazione, portando folte barbe e indossando, anche se non ne avevano bisogno, occhiali d’oro, trasmettessero ai loro pazienti quantomeno l’impressione di “essere esperti”. Allora si indossavano abiti scuri e si incedeva in modo lento e misurato e, quando era possibile, ci si faceva crescere pure una discreta pancetta, per incarnare meglio questa ambita posatezza. Chi voleva farsi strada, faceva ogni sforzo per contrastare, quantomeno nell’aspetto esteriore, quella fragilità che si riteneva intrinseca all’essere giovani.” È dunque esistito un tempo in cui “essere giovani” non solo non era un valore assoluto, ma addirittura un “difetto” da mascherare. Zweig, coglie nel suo scrivere il momento di passaggio dal mondo della sicurezza a quello della nostra inquieta modernità. Tra le caratteristiche fondamentali di questa modernità c’è proprio il mito del giovanilismo, nato già con il Futurismo negli anni ’10 del secolo scorso e poi annesso ideologicamente dai regimi autoritari e totalitari (il fascismo, il nazismo e lo stalinismo sovietico). Il giovanilismo diventò altresì ben presto un elemento determinate nella nascente nuova logica dei consumi. Con la creazione della categoria dei “clienti giovani” cui destinare prodotti specifici, si sono sviluppati settori commerciali in continua espansione. Una volta creato il tabù della vecchiaia, a coloro i quali non accettano il loro status anagrafico e desiderano restare, anche se solo all’apparenza, giovani a tutti i costi, si offre un’enorme gamma di possibilità, che investe pressoché tutti gli ambiti merceologici. Le cifre d’affari della chirurgia estetica, in crescita esponenziale, basterebbero ad indicare quanto sia robusta e inarrestabile questa tendenza… Da ultimo abbiamo assistito a un ulteriore allargamento del giovanilismo alla politica “democratica”. Non si tratta più della “maschia gioventù littoria” (non si intitola forse “Giovinezza“ l’inno del Fascismo italiano?), bensì, in un mondo in cui trionfano l’individualismo e l’atomizzazione, di un potente surrogato ideologico. Come è importante che un’attività commerciale innovi continuamente prodotti e vetrine, “per non restare indietro rispetto alla concorrenza”, così, per una politica che ha perso la sua bussola originaria, l’affermazione del valore assoluto del cambiamento può essere un buon veicolo per la conquista del potere. Ecco perché oggi, per un politico di successo, l’importante è essere giovani, l’importante è “rottamare”, mettersi on the road. Verso dove e per far cosa non sembra avere soverchia importanza… Ora, se è vero che in taluni ambiti dell’attività umana essere giovani è decisivo (penso a talune attività sportive, ma anche a determinati ambiti scientifici, come, ad esempio, quello matematico e della fisica, dove di solito si dà il meglio di sé sotto i quarant’anni), non vi è chi non veda che l’agire politico è attività più assimilabile alla pratica medica, dove l’esperienza e la solidità dovrebbero contare di più. La politica, diventando invece sempre più una questione di marketing e quindi venendo considerata alla stregua di un qualsiasi prodotto commerciale da piazzare sul mercato, non può non subire il fascino del giovanilismo. Ricordiamo qui da noi Renzi. Ma l’elezione di Emmanuel Macron in Francia mi pare sia esemplare in questo senso. Macron è stato eletto senza avere alle spalle un partito (che è – o dovrebbe essere – il deposito dell’esperienza di anni di azione e di presenza sul territorio; nel caso dello sventurato PS, tale deposito è addirittura secolare). Macron è stato eletto, per sua stessa ammissione, senza avere un programma di governo precostituito. Come farebbe qualsiasi buon direttore commerciale incaricato di espandersi sul mercato, prima si ascoltano e si recepiscono le “esigenze” dei potenziali clienti e poi si riempiono gli scaffali con la merce più adatta a soddisfare quelle esigenze. Macron è stato eletto, last but not least, perché è giovane, “belloccio” e perché incarna proprio quel dinamismo, quella voglia di “essere altrove” che, assieme al mito del viaggio, caratterizzano tanta parte dell’odierno Mainstream. I rischi di una politica “nuova”, che si fondi solo sull’avvento al potere di “facce diverse e giovani” pare siano evidenti… nelle vicende politiche recenti e in corso della politica italiana (ma non solo). E sicuramente sono l’indizio chiaro di una generale debolezza della politica stessa, incapace di rappresentare il corpo sociale nell’insieme delle sue istanze… Un corpo sociale che in Europa è peraltro composto in prevalenza da anziani. Non è un caso che ad essere – almeno finora – immuni dal giovanilismo in politica siano proprio le comunità nazionali più solide e, soprattutto, quelle in cui i partiti politici non hanno ancora perduto il loro significato e la loro importanza. Leader “giovani” sono infatti presenti in paesi fragili e in difficoltà, come la Grecia, la Spagna, l’Italia e ora la Francia, ma certo non in Germania e non nel Regno Unito. Per non parlare (pur nelle grandi contraddizioni della politica americana di questo periodo) degli Usa con Donald Trump (70 anni). Non vuole questo scritto un “cartello contro la gioventù.” Vuole essere un appello ad una riflessione sul fatto che pur nel necessario cambiamento che la politica deve fare su se stessa, per essere più attuale nella rappresentanza sociale e nel dare soluzione ai bisogni degli elettori (il popolo sovrano) occorre un passo di continuità con attenzione alla non rottura, tra le generazioni, bisogna puntare ad avere, un processo di cambiamento in cui giovani e vecchi sappiano ritrovare ciascuno il proprio ruolo, all’interno di soggetti politici collettivi (partito-movimento) da fondare e/o da rivitalizzare. Perché senza un soggetto politico collettivo, le grandi riforme sistemiche di cui tutti “urliamo” di avere urgente bisogno non potranno essere certo surrogate dall’uomo-immagine, solo al comando, per quanto giovane e forte possa essere… Occorrono giovani diversi da quelli di questo giovanilismo rampante al potere oggi. Nuove generazioni che sappiano spendersi in proprio e cercare chi li possa aiutare, senza il pregiudizio dell’età o della provenienza. Sembra questa un’ invocazione… uno sforzo di ottimismo a prima vista così inattuale oggi… eppure vuole cogliere una tendenza che sembra cresce, disseminata nel paese, nelle grandi città ma anche periferie e in una provincia più vitale dell’immaginato, una voglia irresistibile, pare, di riprendere a progettare, innovare e produrre… Sono soprattutto le generazioni giovani che non si arrendono al degrado progressivo del Paese, ma occorre che vi mettano  una peculiare attenzione e una educazione diversa da ciò che mostra questo  giovanilismo rampante e distruttivo di cui stiamo parlando… lavorando in campi certamente meno empatici anche se dotati di potere… Sono i giovani curiosi non solo delle tecnologie e del mondo che fluisce ormai senza frontiere ma, anche, dalla storia di quanti questo Paese lo avevano fatto grande e rispettabile col lavoro, l’impegno, e la genialità legata a un ‘cuore’ che sapeva rischiare. Si aggreghino, si cerchino, condividano, sappiano apprezzare le diversità creatrici di sviluppo e di relazioni professionali e di competenza. Sappiano spendersi in proprio.  Sappiano dare forma a una rete di luoghi e di saperi che diventi progressivamente cultura e infetti positivamente un tessuto sociale stanco e, spesso, deluso; in ritirata da sogni e spirito di avventura. Sono questi, probabilmente, nuclei e ancoraggi di speranza attorno ai quali bisognerebbe creare un terreno fiduciario e strutture di allevamento integrate, fatte di maestri, di servizi meno burocratici, di generose aperture da parti di quanti hanno ancora il gusto di immaginare un futuro dignitoso. Lavorare coi giovani aiuta a non sentirsi inutili in un mondo che ha perso molti valori motivanti e, al contempo, a superare la logica improduttiva di contrapposizioni prive di senso. ‘Contra spem in spem credidit’: mai come in questi momenti sembra indispensabile questo sforzo di ottimismo a prima vista così inattuale. Chi, in mille iniziative disperse e intriganti, si aspetta oggi un riconoscimento, merita che le forze sociali più sane e lungimiranti sappiano ritrovare l’entusiasmo della collaborazione e del sostegno. Non è un problema di riuscita personale; è molto più un dovere civile da tributare agli interessi comuni, per una volta collettivi, per l’uscita da una palude della crisi che nessuno ma soprattutto le nuove generazioni non meritano…

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