Life: Italia, la fotografia del paese ci dice che siamo un popolo d’“individualisti…”

La voglia di essere padroni della propria vita, lo slancio delle ambizioni personali, il bisogno di auto-affermarsi, di inventare il proprio destino e di soddisfare i propri desideri, sono stati i valori che hanno caratterizzato la nostra storia recente e su cui si è costruito lo sviluppo del Paese dagli anni `70 in poi… Va detto chiaramente, che la spinta individualista ha liberato enormi energie, ha sicuramente favorito la crescita di un sistema produttivo diffuso fatto di centinaia di migliaia di imprese e ha sostenuto la vitalità di un mercato capace di esprimere sempre nuove domande. Oggi, quello sviluppo, che nel tempo è andato progressivamente rallentando e ha visto la moltiplicazione dei soggetti ha altresì portato via via a uno sfarinamento delle capacità decisionali nelle questioni di interesse collettivo e l’autonomia dei comportamenti è sfociata alla fine sempre più in forme di disagio antropologico… come è stato mostrato inequivocabilmente dalla pandemia da Covid-19. Stiamo vivendo un periodo di grandi difficoltà nella nostra vita quotidiana, originate dalla pandemia che ovviamente sta condizionando le nostre attività lavorative, il nostro benessere sociale ed economico, rischiando di danneggiare per un lungo periodo anche i nostri rapporti sociali. Il coronavirus è giunto a peggiorare una situazione sociale ed economica già molto difficile con problematiche che quindi erano preesistenti all’epidemia che ci ha colpiti; di conseguenza ci aspettiamo che l’organizzazione statale risolva situazioni che tuttavia sono cronicizzate nella società italiana e che io stesso come tanti di voi constatiamo esistere fin da quando eravamo giovani. Personalmente ho maturato la convinzione che la causa principale che impedisce di darci un’organizzazione statale efficiente risieda nel nostro individualismo: siamo un popolo che tiene alla realizzazione personale e della propria famiglia, impegnandosi con grandi energie, ma quando si tratta di occuparsi della ‘cosa pubblica’, perdiamo di entusiasmo, come se ciò che è di tutti non sia di nessuno e non debba essere preservato. Naturalmente l’uomo è necessariamente rivolto verso se stesso e deve occuparsi in primo luogo della propria individualità e questo è diventata di questo tempo una necessità di sopravvivenza stessa, per cui possiamo certamente affermare che l’individualismo è indispensabile per la vita dell’umanità e sicuramente deve avere delle basi genetiche per potersi esprimere nel nostro cervello… Al contempo la mente dell’uomo è stata geneticamente determinata anche per poter sviluppare rapporti sociali con i propri simili, che pure sono indispensabili per la sopravvivenza del genere umano; risulta pertanto fondamentale il rapporto che nella storia dell’uomo si viene ad instaurare tra necessità sociali e bisogni individuali e probabilmente tale rapporto è notevolmente influenzato dagli sviluppi culturali di una determinata società. È possibile che su tale rapporto vi siano anche influenze genetiche, ma ritengo che una notevole influenza sia determinata dall’ambiente che è quello che si configura come cultura di una determinata società. Pertanto, alcuni popoli possono aver sviluppato per ragioni storiche una cultura più individualista e meno sociale ed altri un miglior equilibrio tra i due aspetti: potrebbe pertanto essere ragionevole comprendere come popolazioni anglosassoni e del nord Europa abbiano un maggiore senso della cosa pubblica e dello Stato rispetto a noi italiani. A tale proposito è utile analizzare la storia dei diversi stati per ipotizzare le cause di tali diversità: Inghilterra, Francia e Germania da molti secoli sono costituiti in stati unitari, forti, retti da un governo centrale spesso unico, l’Italia invece fino alla fine dell’ottocento era suddivisa in tanti staterelli, spesso con governi deboli che si modificavano negli anni per cui è comprensibile che oggi noi italiani non sentiamo rispetto verso lo Stato cui apparteniamo. Queste conseguenze si sono fatte sentire in modo particolare nel sud Italia, mentre le regioni del nord hanno ricevuto un parziale influsso dalla Mittle Europa, pertanto il senso dello Stato è particolarmente mancante nelle popolazioni meridionali, pur non essendo più ottimale anche in quelle settentrionali fin dall’apparire sulla scena politica della Lega nord nei primi anni 90 (esattamente dalla sua fondazione 8 gennaio 1991). Non possiamo escludere sicuramente che nella genesi di un nostro eccessivo individualismo vi sia anche una componente ereditaria, tuttavia penso che le ragioni storiche e culturali siano state nettamente determinanti. A dimostrazione dello scarso rispetto della cosa pubblica che caratterizzano gli italiani, riporto un esempio che potrebbe apparire irrilevante e banale, ma che ritengo abbia una capacità dimostrativa solida: sono stato possessore di un cane che spesso conducevo a passeggio nelle vie di Milano, la mia città… per cui ho spesso guardato a terra notando come spesso nonostante i dettami di legge restino sulla strada gli escrementi dei nostri amici animali. Se tutti considerassimo la città un qualcosa che appartiene a noi, che merita pertanto lo stesso rispetto che rivolgiamo alla nostra abitazione, eviteremmo di non raccogliere quello che invece dovremmo, magari gettando in più qualche ulteriore rifiuto in terra (cicche di sigaretta o pezzi di carta o plastica) e forse non vi sarebbe nemmeno bisogno che a ciò provvedessero i netturbini, mettendo riparo alla nostra individualistica maleducazione civica, Quando ho avuto l’occasione di visitare altre città europee ed in particolare del nord Europa, ho notato come le condizioni di ordine e pulizia negli spazi pubblici fossero molto meglio rispettate. Questo è una dimostrazione che alcuni popoli posseggono un minor individualismo ed un maggiore coinvolgimento sociale. Mi sento di affermare che noi italiani abbiamo invece una elevata dose di individualismo e una dose inferiore di socialità e di senso della cosa pubblica e che ciò sia la causa di tante difficoltà che incontriamo nella organizzazione della vita sociale ed anche politica nel nostro Paese. Per le disfunzioni dello stato quindi non dobbiamo pertanto sempre incolpare i governanti in quanto in realtà essi sono l’espressione delle caratteristiche del popolo italiano e del resto ogni popolo esprime i governanti che lo caratterizzano. In primo luogo, guardiamo l’esempio di tre categorie di professionisti la cui attività è essenziale per lo svolgimento di una vita in condizioni di sicurezza, di capacità e di sviluppo: la magistratura, la classe medica ed il corpo docente di ogni ordine e grado. Spesso queste categorie professionali si sono organizzate in classi o caste chiuse con lo scopo di difendere in primo luogo i propri interessi, dimenticando di doversi occupare dei propri “clienti” che dovrebbero essere i principali beneficiari della loro attività. I magistrati spesso difendono i propri privilegi, fra cui quelli economici e paiono occuparsi poco della lentezza dei processi; accusano sempre la classe politica di non saper riorganizzare l’ufficio della magistratura con le opportune leggi, ma forse dovrebbero lavorare nel silenzio e saper anche proporre soluzioni alle problematiche organizzative e politiche che impediscono il buon funzionamento dell’istituto della magistratura. Naturalmente esistono anche magistrati che operano silenziosamente producendo molto lavoro, ma temo che non siano la maggioranza. Nel settore dell’istruzione, negli ultimi decenni si sono sempre difesi i diritti degli operatori scolastici, dal primo docente universitario fino all’ultimo bidello, anche grazie ad una notevole presenza dei sindacati. Tuttavia, non sono stati rispettati gli interessi dei discenti che avrebbero richiesto una selezione della classe insegnante tramite concorsi che non sono mai stati fatti, al fine di selezionare il miglior corpo docente; come conseguenza di ciò il livello dell’istruzione nel nostro paese è tra i più bassi tra i paesi europei. La sanità forse rappresenta un’eccezione in Italia per quanto riguarda i servizi pubblici: a livello internazionale il nostro servizio sanitario è considerato un fiore all’occhiello ed infatti anche durante la crisi causata dal coronavirus ha dimostrato nonostante molte falle del SSN un buon livello di efficienza… Anche per quanto riguarda gli operatori sanitari a tutti i livelli, spesso si sono fatte scelte dettate da clientele e non da competenze, tuttavia il settore della salute presenta alcune differenze rispetto ad altri servizi pubblici che sono state in grado di preservarne l’efficienza. E nell’ambito sanitario sono prevalenti gli operatori che operano ad alto livello nell’interesse dei pazienti, altrimenti la nostra sanità non sarebbe così apprezzata in tutto il mondo. Credo che questo risultato che appare diverso rispetto ad altre categorie con una bilancia meno spostata verso l’individualismo, ma più diretta al sociale, non sia la conseguenza di un merito particolare degli uomini che operano nella sanità, quanto invece, l’influsso di fattori esterni. Due sono le condizioni che costringono i professionisti della sanità ad operare nell’interesse del cliente paziente: le richieste non dilazionabili del malato sofferente che abbisogna di risposte chiare e la necessità dell’operatore di soddisfare tali esigenze per lavorare a buon livello e migliorare o conservare il proprio livello professionale con i conseguenti benefici economici. Se ben ci pensiamo tale situazione di controllo e di stimolo non è presente in altri settori del servizio pubblico quali ad esempio la scuola: un insegnante potrebbe disinteressarsi degli allievi senza particolari conseguenze sulla carriera, un magistrato risulta spesso insindacabile, qualunque risultato ottenga nella professione, basta che non incorra in reati penali, come a volte vediamo sta accadendo. Spesso a qualunque livello, sia politico che del singolo cittadino, ci si lamenta dell’inefficienza del nostro sistema burocratico amministrativo: la nostra Nazione riceve da diversi anni fondi europei per la realizzazione di progetti pubblici, ma riusciamo a spendere solo una parte del danaro che viene proposto, in particolare nelle regioni del sud Italia pare si utilizzi non più del 20% delle risorse messe a disposizione dall’Europa. In questo periodo il governo europeo ha deciso di porre a disposizione dell’Italia parecchi miliardi di euro per favorirne la ripresa dell’economia dopo i disastri prodotti dalla pandemia del coronavirus, ma il grande timore è che non abbiamo la capacità di utilizzare questi fondi proprio per la grande inefficienza della macchina amministrativa. Se mancassimo l’occasione offertaci dal Recovery Fund, sarebbe un fallimento irrimediabile. È probabile che tutto questo sia il risultato della presenza nell’amministrazione di professionisti che piuttosto di operare proficuamente con competenza per migliorare il sistema pubblico, cosa che tuttavia costa fatica e necessita di applicazione, preferiscano mantenere tranquille le proprie posizioni, senza troppi sforzi ed senza correre i rischi anche legali che il produrre opere pubbliche può comportare. Ritorniamo sempre a considerare a questo proposito le mie precedenti affermazioni in cui sostengo che l’homo italicus per sua natura è più un essere individualista che sociale e pertanto poco propenso ad operare per la cosa pubblica. Quindi se ciò che è pubblico in Italia, forse a parte la sanità, non funziona, non lamentiamoci sempre con il governo, con il parlamento, con i politici, in verità costoro rappresentano il popolo italiano con le sue caratteristiche, per cui dovremmo in realtà lamentarci di come siamo noi anche nelle piccole cose e come sia possibile modificare questo stato di cose. Credo che un cambiamento richieda appunto un cambio di mentalità molto difficile, con una rinuncia ad un poco di individualismo ed un lento recupero per l’interesse del bene comune, ma questi cambiamenti richiedono parecchi anni ed un probabile cambio di alcune generazioni per cui ritengo che ancora per parecchio tempo ci troveremo ad affrontare queste difficoltà senza ottenere un’immediata soluzione. Inoltre negli ultimi decenni, non solo nella nostra nazione, ma in tutti i paesi occidentali, vi è stata una modifica generazionale del senso civico e questo perché in passato esistevano i cosiddetti valori che a volte erano espressione di ipocrisia, ma che comunque costringevano gli individui a considerare la necessità di rispettare i doveri nei confronti della società; questi valori tra l’altro erano molto radicati nelle famiglie di qualunque censo dalle più umili a quelle più abbienti, anche fra quelle che avevano un elevato livello culturale. Non voglio analizzare le cause della scomparsa di questi valori e se tale mutamento debba per forza essere negativo oppure possa essere il risultato di una società più razionale, libera e laica. Certamente, anche per questo fatto, per divenire un popolo meno individualista e con maggiore rispetto per la collettività il nostro paese avrà un percorso ancora più impervio ed un poco contro natura per cui i tempi si allungheranno se mai riusciremo veramente a cambiare ed in questo caso mi sentirei di dire sicuramente in meglio. Per capire quando ciò avverrà invito i miei futuri concittadini a monitorare lo stato di pulizia ed ordine delle nostre strade, che ritengo possa essere usato come una cartina di tornasole, che è in grado di determinare il ph di una soluzione: quando si comincerà a notare che le strade sono più pulite, significherà che negli italiani sta crescendo il senso di rispetto per il bene pubblico. I valori che faranno l’Italia e gli italiani dovranno poggiare sempre meno sulla rivendicazione dell`autonomia personale e sempre più sulla riscoperta dell`Altro, sulla relazione e la responsabilità. Sono valori che in questa fase fanno emergere scintille di speranza che vanno però alimentate e potenziate, affinché possano diventare un nuovo motore di crescita socio-economica e civile del Paese. Altra forza che genera coesione è l’orgoglio, di appartenere al Paese del buon vivere. Il 56% dei cittadini, secondo una ricerca del Censis, è convinto che l’Italia sia il Paese al mondo dove si vive complessivamente meglio. Molto staccati gli altri Paesi europei, gli Stati Uniti e l’Australia. Italiani non più esterofili? quindi, orgogliosi di essere l’eccellenza del buon vivere? Anche se in futuro avessero la possibilità di andarsene dall’Italia, due terzi dei cittadini (66%) non lo farebbero in nessun caso. Il 70% degli italiani è convinto che vivere in un posto bello aiuta a diventare persone migliori… forse c’è ancore qualche possibilità di essere meno individualisti e più attenti al bene comune? Come si suole dire: “la speranza è l’ultima a morire”…

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