Mondo: L’economia mondiale esce dal Covid ed entra in guerra… dopo la pandemia (e con una guerra in corso), tra Ordine e Disordine.

seconda parte…

Dal canto suo, l’Unione Europea ha reagito con l’European Chips Act. Se ne varrà per fronteggiare la carenza di semiconduttori. Destinerà, fino al 2030, oltre 43 miliardi di euro a investimenti pubblici e privati per quadruplicarne la produzione. Andiamo quindi verso una «sglobalizzazione»? Negli ultimi tempi il termine è diventato di moda. Sglobalizzazione, i lavori sono in corso | stiamo si un piano Inclinato. Forse è esagerato supporre che questo processo porti l’economia mondiale a una involuzione radicale. Ma sul versante produttivo qualcosa sta cambiando riguardo ai criteri con cui si compongono le catene del valore. Fino a non molto tempo fa, il discrimine dominante, pressoché unico, era quello dell’efficienza: si delocalizzava, si trasferiva parte dei processi produttivi in altri Paesi, al fine di ridurre i costi, specialmente quelli del lavoro. Questo modello ultraliberale, che ha dato forma alla nostra realtà economica e che ha fatto della Cina il laboratorio del mondo, sembra essersi esaurito. La pandemia gli ha inferto un colpo decisivo, come abbiamo detto, evidenziandone la debolezza intrinseca; e a questo fatto si unisce la traiettoria geopolitica iniziata con la scelta cinese di rendere la propria produzione indipendente dall’Occidente e, soprattutto, di sganciarsi dall’economia statunitense. Ciò vuol dire che la globalizzazione si ridisegna e sceglie un modello in cui l’obiettivo dell’efficienza si accompagna alla considerazione di altri elementi: resilienza, sicurezza nel controllo di settori vitali di un’economia e aspetti etici. I possibili conflitti geo­politici (la guerra commerciale Cina-Stati Uniti, l’Iran, l’attuale guerra in Ucraina ecc.) e le catastrofi naturali sono altri elementi che spingono alla ricerca di una maggiore sicurezza negli approvvigionamenti… Il Covid-19 ha evidenziato reciproche dipendenze economiche. L’Europa oggi ha un bisogno sostanziale delle importazioni cinesi per i settori farmaceutico, chimico ed elettronico, soprattutto di componenti prodotti in aree della catena del valore meno sofisticate sotto il profilo tecnologico. Oggi la Ue, di fatto, soffre di una dipendenza strategica critica dalle importazioni cinesi riguardo a 103 categorie di prodotti in campo elettronico, chimico, minerali-metalli e prodotti farmaceutici-medici. Il cambiamento che si profila è il risultato di un’evoluzione insita nella globalizzazione? Oppure va attribuito al fatto che finalmente i poteri pubblici iniziano a governarla? Crediamo che entrambi i fattori vi contribuiscano, perché la globalizzazione ultraliberale non era e non è sostenibile. Non soddisfaceva standard etici elementari. La Germania ha varato una nuova legge che obbliga le imprese a stabilire codici di dovuta diligenza (due diligence) per le proprie catene distributive. Le grandi imprese devono conoscere e controllare tali catene, per evitare che si verifichino situazioni di lavoro minorile, violazione dei diritti umani, condizioni lavorative abusive. L’Unione Europea sta elaborando per il proprio bacino un analogo sistema complessivo di due diligence, avallando un processo che nei Paesi democratici appare inarrestabile. Gli Stati Uniti hanno approvato l’Uyghur Forced Labor Prevenction Act, che proibisce l’importazione di prodotti da Xinjiang, in quanto è accertato che in tale regione viene utilizzato lavoro forzato. Giovanni Paolo II e Benedetto XVI ci avevano già fatto notare che la globalizzazione sarà ciò che noi stessi ne faremo, esprimendo un appello urgente a governarla. Siamo davanti a una modifica obbligata delle catene del valore. Non sembra che si vada verso una loro eliminazione, ossia a un ritorno delle attività produttive nei loro Paesi di origine, ma piuttosto verso lo sforzo di accorciarle, optando per la produzione in prossimità o per la sua regionalizzazione. La ricerca di una maggiore resilienza sembra condurre a un grado più ampio di diversificazione nelle forniture e a maggiori livelli di immagazzinamento. Nella politica delle scorte da parte delle imprese, le strategie del just in time stanno lasciando il passo a nuove formule. Tutto ciò comporterà costi accresciuti, e questo probabilmente ridurrà i vantaggi del commercio internazionale. In sintesi, ci avviamo verso una globalizzazione più equilibrata, nella quale, nelle catene di approvvigionamento dei beni e dei servizi (fra i quali il gas e il petrolio) di cui le imprese hanno bisogno per la loro attività produttiva, accanto alla considerazione dei benefici dell’efficienza, acquistano peso altri fattori: geostrategici e di sicurezza, etici e di resilienza. Nello scorso novembre si è tenuta a Glasgow la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Cop26). Sebbene nel periodo precedente alla riunione molti Paesi avessero annunciato ambiziosi programmi di riduzione delle emissioni, per lo più questi vengono collocati in un futuro di là da venire, attorno al 2050 o perfino al 2060. Frattanto i governi in Europa e altrove devono far fronte a una crisi energetica causata dall’aumento dei prezzi del gas e del petrolio. Anni di prezzi bassi, combinati alla pressione regolatoria sulle industrie contaminanti, hanno depresso naturalmente l’investimento nei combustibili fossili. Una ripresa più rapida del previsto dalla recessione indotta dal Covid-19 e un clima più freddo del consueto nell’emisfero nord sono bastati a spingere i prezzi al livello più alto del decennio… Conseguenze dell’invasione russa dell’Ucraina. Prima dell’inizio della guerra in Ucraina, la domanda fondamentale era se l’Occidente fosse in grado di affrontare, nel contesto che abbiamo descritto, le sfide concrete della transizione verde. Adesso la situazione si è aggravata drammaticamente. La Ue ha risposto alla guerra, alla sua frontiera orientale, con un accordo, una determinazione e una rapidità eccezionali. L’invasione dell’Ucraina è un punto di svolta. Quale che sia la durata della guerra, essa lascerà un’eredità durevole. Darà forma alle opzioni politiche dell’Europa per i prossimi anni e decenni. Innanzitutto, vanno riconosciute le sue importanti conseguenze economiche per la Ue in relazione all’aumento dei prezzi del petrolio e del gas; all’esclusione della Russia come fornitore di questi due beni, a cui oggi essa provvede rispettivamente per il 40% e per un terzo del fabbisogno europeo; alle costose misure di indipendenza energetica; all’interruzione delle forniture di cereali dal granaio del mondo, che innalza i prezzi del frumento, del mais e della soia, e anche di metalli come alluminio e nichel. Un altro effetto immediato è il brusco crollo del turismo di origine russa. A tutto questo va aggiunto il costo dell’afflusso dei rifugiati e l’innalzamento delle spese per la difesa. Le implicazioni dirette sul bilancio nel 2022 potranno toccare l’11,4% del Pil. I Paesi poveri subiscono già l’innalzamento dei prezzi dei generi alimentari fino a livelli per loro proibitivi. Ma c’è il timore che se le terre che alimentano i granai ucraini non potranno essere coltivate, ci troveremo presto davanti a crisi umanitarie. Il funzionario dell’Onu Gabriel Ferrero de Loma-Osorio rileva che la guerra in Ucraina, grande produttrice di granaglie e fertilizzanti, ha aggravato la fame nel mondo, già in crescita in seguito alla pandemia. L’entità e la gravità della frenata economica dipenderanno dalla durata della guerra, ma non soltanto da questo. Se le sanzioni occidentali permarranno alla fine del conflitto, come non è da escludere, l’economia russa ne sarà sconvolta. E con ciò cambierà radicalmente il panorama mondiale, dato che la Russia rimarrà nell’orbita economica e geopolitica della Cina, in un mondo sempre più pericolosamente bipolare. È possibile fermare questa contesa insensata e pericolosissima per tutti? La Cina potrebbe fungere da mediatore? Detta mediazione l’ha chiesta anche  Zelensky non più tardi di un paio di giorni fa. Lo sperano anche i leader occidentali, ansiosi di porre fine allo spargimento di sangue in Ucraina. Xi Jinping ha affermato che il suo Paese è dispiaciuto nel vedere che le fiamme della guerra si riaccendono in Europa. I tentativi europei di convincere la Cina a esercitare una mediazione riflettono l’assenza di altre opzioni, ma anche la convinzione che questa sia una possibilità reale, data la vicinanza della Cina alla Russia, la sua politica di non ingerenza, il suo rispetto della sovranità nazionale e la sua necessità di minimizzare le conseguenze che la investiranno in seguito alle sanzioni inflitte a Mosca. Peraltro, la guerra sconvolge i piani di Pechino: ne va di mezzo la scommessa milionaria di Xi Jinping in Ucraina. La Cina, infatti, è il principale partner commerciale dell’Ucraina, che è, insieme alla Polonia, la porta d’accesso all’Europa della «Nuova via della seta» e, in quanto tale, è stata destinataria di forti investimenti nelle infrastrutture, che nel 2018 hanno toccato i 7.000 milioni di dollari nei porti sul Mar Nero. Nel 2013 la Cina ha acquistato il 9% del terreno coltivabile del Paese, più di 29.000 chilometri quadrati nella regione di Dnipropetrovsk. Si tratta dell’identica formula di cui la Cina si era valsa nei confronti di vari Paesi africani per assicurarsi la fornitura di grano e di altri generi alimentari, a motivo della sua enorme popolazione. Questo accordo è, per il momento, il più grande progetto agricolo fuori dalle sue frontiere. Avremo un nuovo ordine globale? Attualmente stanno accadendo contemporaneamente questi eventi: la crisi del modello ultraliberale delle catene di approvvigionamento; la crisi energetica, precedente all’invasione russa dell’Ucraina e da essa aggravata; le sanzioni occidentali al governo di Putin, tese a isolarne l’economia, ma foriere di un’evidente ricaduta negativa sull’Europa, e che propizieranno una crescente dipendenza di Mosca da Pechino; e la stessa dinamica cinese, che con la strategia della circolazione duale cerca in realtà di rafforzare la propria autosufficienza in un contesto esterno più ostile; il che provocherà una tendenziale contrazione delle sue importazioni. Ovviamente l’ordine mondiale precedente sta saltando per aria. L’Africa vede aggravarsi i propri problemi; la Cina è in una situazione imbarazzante; e l’India, una volta perduto l’appoggio di Mosca, si vede indebolita nei confronti dei suoi vicini ostili, il Pakistan e la Cina. La Ue sta ricercando il proprio ruolo nel mondo. Gli Stati Uniti vanno verso il distacco dalla Cina e puntano a raggiungere l’autosufficienza e la sicurezza. L’America Latina patisce gli effetti dannosi della depressione mondiale. Giungono tempi duri, con un’innegabile crisi economica che favorirà una nuova versione della globalizzazione. Speriamo che le armi tacciano presto e che il futuro ci porti pace e bene…

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