PD: basta faide tra renziani e anti-renziani, la sinistra torni a occuparsi degli ultimi, o sparirà per sempre…

Tra di loro i renziani lo chiamano già “il golpe”. Anzi, con un pizzico di ironica speranza, ci aggiungono “tentato”, perché il loro obiettivo è sempre quello di controllare il partito e all’occasione di rovesciare il tavolo e le loro sorti dentro il partito… Si sta parlando della due-giorni del Partito democratico di Milano. Non è infatti sfuggito a nessuno dei sostenitori dell’ex segretario, e tanto meno a Renzi stesso, che il Forum del Pd sia stato tutto un susseguirsi di critiche rivolte alla precedente gestione. E anche Maurizio Martina segretario pro-tempore che l’altro ieri si è dimesso, di cui i renziani dopo averlo votato nell’Assemblea nazionale del 7 luglio u.s., si fidavano, tanto da pensare di poter rinviare il congresso (a dopo le europee se non addirittura alla scadenza naturale nel 2021) e lasciare in sella l’attuale segretario , non ha risparmiato critiche all’indirizzo del suo predecessore. E in più Martina accelerando i tempi del congresso ha chiesto d’indire l’assemblea nazionale proprio nel weekend in cui renziani, guidati da Luca Lotti, avrebbero dovuto tenere la loro assemblea di corrente a Salsomaggiore. Un altro segnale, che, secondo i sostenitori dell’ex segretario non faceva presagire nulla di buono. E non è finita qui. Sempre a Milano, Andrea Marcucci Capo gruppo dei Senatori PD, cioè uno degli interpreti più fedeli dell’ortodossia renziana, nel prospettare per l’appunto la possibilità di un ulteriore rinvio del congresso, è stato contestato fortemente mentre parlava dal palco del Forum del Partito Democratico. Come se non bastasse, i renziani sono sempre più convinti che Maurizio Martina, sia sempre più intenzionato a candidarsi alle primarie e possa così togliere voti a Marco Minniti, candidato sostenuto, sebbene non in modo esplicito, dall’ex segretario Renzi attraverso l’endorsement di 13 sindaci della sua area. Minniti ci sta pensando ancora su, se accettare o meno. Anche per questa ragione, oltre che per una certa diffidenza nei confronti dello stesso Minniti, una parte del mondo che fa capo all’ex segretario del Pd sta spingendolo a cambiare cavallo. Cioè a siglare lui, da subito, un eventuale accordo con Martina… confermandolo come segretario e scaricando così l’ex Ministro dell’Interno… o candidando al suo posto la Senatrice Bellanova nota pasdaran renziana. In buona sostanza ciò che appare sempre più chiaramente, è che anche l’area renziana va frazionandosi e dividendosi al proprio interno: una parte è per Minniti, un’altra è per Martina, si dice quest’ultimo abbia l’endorsement di Graziano Delrio, che di Minniti non ha mai apprezzato la politica sull’immigrazione… Ci sono infine anche renziani che non apprezzano nessuno dei due e pensano che dovrebbe ricandidarsi direttamente Renzi o come già detto un suo o meglio sua Avatar. Questo lo stato dei fatti, con in più notizia dell’ultim’ora che l’Assemblea nazionale è già stata spostata (grazie a Matteo Orfini Presidente PD) al 17 novembre, per permettere a Renzi di riunire la sua corrente (meglio sarebbe dire il suo partito) a Salsomaggiore il 9 e 10 novembre in tutta tranquillità e non con un solo giorno di anticipo rispetto alla data dell’11 novembre indicata in un primo tempo da Martina per la riunione dell’Assemblea nazionale… Che pensare se non che continua una guerra intestina tra due fazioni (articolate al proprio interno), destinata solo a distruggere ancor più, quel che rimane del PD. Il Senatore PD, Nannicini (relatore) dopo il Forum di Milano risponde, dopo aver sentito la domanda se lui e altri: “Siano renziani ingrati?” “No! Nessuna abiura… ma bisogna guardare avanti. Serve una legge sull’integrazione, serve un fisco che fa pagare le tasse alle multinazionali tecnologiche. Guardiamo alla manovra di Sanchez e Podemos in Spagna. Ci piace, redistribuisce ricchezza verso il basso della società, a coloro che ne hanno più bisogno. Non bisogna lasciare che il passato decida chi siamo, ma considerarlo come parte di ciò che diventeremo”. E’ sempre più difficile descrivere la guerra interna al Partito Democratico dopo la rovinosa sconfitta del 4 marzo, e indicarne una possibile via d’uscita. In questo momento c’è molto poco nel Pd, solo un consenso dell’elettorato alquanto ridotto all’osso di uno striminzito 17%, ancor di meno del risultato del voto di marzo. Così oltre allo spread che assimila l’Italia alla Grecia per il PD c’è solo il rischio della pasokizzazione del partito, in una discesa a perdifiato sempre più verso l’irrilevanza politica… Nannicini, ieri consigliere economico e poi sottosegretario di Renzi, oggi membro della segreteria PD guidata da Maurizio Martina, al passato non ci vuole pensare più, anche se si ritrova in un dibattito polarizzato solo ed esclusivamente sull’eredità renziana del passato. Mentre diversi renziani ortodossi hanno ribattezzato il Forum, la “Leopolda degli ingrati”, puntando il dito contro gli ex renziani, o gli ex alleati di Renzi (Gentiloni, Franceschini, Orlando, Minniti, Madia Polotti, Pinotti ecc.), che, a loro dire, hanno fatto abiura del loro recente quante volte è stato detto. Dopodiché, sarebbe opportuno smetterla con un dibattito che rischia di essere autodistruttivo. Se rivendichi solo quello che è stato fatto, se non sai guardare avanti… e parli solo di tradimenti e di “fuoco amico” che ti ha colpito alle spalle, se poi non cerchi nemmeno di aggiornare il lessico e le proposte, sei tu che finisci per chiamarti fuori. Così appare Renzi & i suoi sodali. È veramente assurdo… Oltre un’etica della vittoria ci vorrebbe anche un’etica della sconfitta. Orgoglio e autocritica d’altronde possono camminare insieme, altrimenti un eccesso di orgoglio non produce che un’arrogante conservazione del potere. E’ così che appare sempre di più l’atteggiamento di Matteo Renzi e dei suoi. Cos’è stato quindi questo Forum del PD? È stato il tentativo di capire cosa è andato storto allargando lo sguardo alle grandi tendenze in atto nel mondo, dal rapporto tra tecnologia e democrazia all’aumento delle diseguaglianze. Tutti possono leggersi le relazioni e farsi un’idea. Con la voglia di ripartire dalla profondità del pensiero e dell’analisi…  In quelle relazioni, per chi non ha voglia o tempo di leggerle, c’è tanta voglia di trovare strade nuove, di interpretare il cambiamento offrendo una prospettiva politica. E, non è un problema solo del PD, ma di tutti i partiti riformisti nel mondo. C’è stato un momento in cui gli eredi dei grandi riformatori del Novecento sono diventati i tecnocrati del secolo successivo. Perdere le parole vuol dire non saper aspettare che i risultati arrivino piano piano. Il cambiamento non è un tweet: il cambiamento è fatica. Significa lasciare le cose che ci hanno reso felici, ma che sono diventate una zavorra. Per questo serve la politica, l’azione collettiva. Perché senza quei punti di riferimento, la fatica e la rinuncia sembrano inutili.  Renzi rappresenta ancora il cambiamento? Sembrerebbe proprio di no! Anzi Renzi che inizialmente aveva interpretato molto bene quella sfida. Una sinistra che doveva cambiare e un Paese che doveva anch’esso cambiare… si è fermato in mezzo al guado, soffermandosi solo su se stesso e sul suo ruolo di potere… rispetto a tutto e tutti. E proprio lui, non sempre ha trovato le risposte giuste di fronte a cambiamenti così irruenti. Oggi non si risolverà questo problema se il PD continua a dividersi tra chi accusa Renzi e chi (lui soprattutto) accusa le minoranze di averlo ostacolato. Si dice sempre che i populisti sbagliano perché di fronte al problema cercano non la soluzione ma il colpevole. E nel PD si fa lo stesso errore… E la soluzione? Andare oltre. Facendo che il passato, sia esso quello remoto della socialdemocrazia o del cattolicesimo sociale novecenteschi come quello recente del governo Renzi, facciano parte del futuro del Partito Democratico… Ma andiamo alle cose del Forum. Si è parlato anche di sindacato!? C’è chi, ascoltando la relazione di Nannicini, l’ha accusato di revisionismo… “Io ritengo necessario rinvigorire i corpi intermedi, e lo rivendico. Oggi viviamo un’epoca in cui la partecipazione è incendiaria, ma è minima nell’incidere sulle scelte di chi governa. Serve pensiero collettivo e azione collettiva. Noi per primi, come Partito Democratico, siamo rimasti nel Novecento. Non abbiamo saputo adeguare i nostri strumenti organizzativi e non abbiamo avuto la forza di cambiare”. Si torna alla vecchia e cara concertazione? “No, assolutamente. Abbiamo fatto bene a rottamare la liturgia della concertazione, l’ho detto nella relazione. Non interessa il sindacato che si sostituisce alla politica. Ma dobbiamo trovare un dialogo sociale nuovo e fino ad oggi, ci siamo riusciti solo in parte.  E abbiamo fatto male a fare tagli lineari ai patronati solo per dire che i sindacati erano vecchi. Dovevamo distinguere, aiutandoli a costruire forme nuove per fare il loro mestiere”. Parliamo di presente: le piace la manovra del governo Sanchez? Qualcuno l’ha definita la legge di bilancio più a sinistra di sempre… “Sì mi piace. È una manovra che ha un intento redistributivo, che cerca di recuperare potere d’acquisto per gli ultimi, che riduce la distanza tra uomini e donne. E poi c’è il salario minimo, che era parte integrante del nostro programma. Però…” Però? “È una manovra di breve periodo, tattica. Intendiamoci: nella Spagna che si sta risollevando, dopo anni durissimi, è un segnale utile. Poi serve altro per una crescita inclusiva e sostenibile. Per me il dibatto novecentesco tra stato o mercato, su chi si deve farsi carico delle disuguaglianze è obsoleto. Mi interessa come dare queste risposte, qui e ora, indipendentemente dagli strumenti. Ad esempio, mi interessa il diritto soggettivo alla formazione dalla culla alla tomba. Mi interessa come si dà sicurezza alle periferie, ai territori”. Sono cose che avete provato a fare, al governo… “Sì certo, ma su alcune potevamo fare di più”. Come mai? “Troppi trasferimenti ad esempio, e troppo poco lavoro sulla macchina pubblica, sui servizi da erogare. Abbiamo disegnato bene tante cose, ma nessuno le ha viste. Le politiche attive del lavoro, ad esempio. E poi su altri temi, altrettanto fondamentali, siamo stati troppo timidi, troppo poco radicali”. A proposito di radicalità. Lei e il segretario Martina, in una recente lettera a “La Repubblica” avete parlato di Quinto Stato. Qualcuno avrà tirato fuori la bandiera rossa, per l’occasione… quando parlo di Quinto Stato non parlo certo di lotta di classe, ma della trasformazione di uno ‘sciame’ in massa. Uno sciame? C’è una moltitudine di soggetti priva di cittadinanza, di riconoscimento sociale, che si sente straniera a casa propria e non ha un progetto politico in cui riconoscersi… Questo bisogno di riconoscimento sociale oggi trova sbocchi che sono solo distruttivi. La mia (nostra) ossessione è fare qualcosa “per tutti”, soprattutto per gli ultimi. Altrimenti non ha senso nulla”. Così il Forum, quindi per il congresso tutto a posto? No! niente affatto… Dopo il 4 marzo che ha registrato il peggior risultato elettorale di sempre da parte del PD, si è sviluppato nel partito un dibattito dai contorni alquanto indefiniti, alcune riflessioni sulla natura e il merito sia delle ragioni delle sconfitte elettorali (referendum, amministrative e politiche) e che di contro il Congresso di per se stesso permettesse un possibile e necessario riscatto per il futuro del partito democratico… Il congresso che sta (forse) per aprirsi ufficialmente – non c’è ancora la data definitiva – ma solo quella indicativa delle primarie da tenersi entro le due prime settimane di febbraio… può invece ancora essere per il PD e la Sinistra e purtroppo anche per l’Italia molto, molto dannoso… Cosa si vuol dire?  Non è un’eventualità inesorabile ma molto, troppo probabile. E non si sentono ragionamenti che smentiscano ciò; se si faranno nel prossimo breve lasso di tempo restante, ci sarà da esserne molto contenti. Perché? Le regole di svolgimento della vita democratica del PD che si sono dati 11 anni fa sono, in questa fase e per loro natura, alquanto divisive, inattuali e a tratti addirittura idiote. Nel 2007 c’era o no un contesto un po’ diverso da quello odierno? In Occidente e in Europa non c’era ancora questa ondata nera e i rigurgiti nazionalistici che oggi predominano; la Lega aveva l’8 % e il Movimento 5 Stelle, in un quadro politico che era bipolare, non aveva  nemmeno un seggio in Parlamento e non ci sarebbe entrato ancora per un certo tempo. Non c’era nemmeno il premierato né c’era il semi-presidenzialismo, c’era  certamente una legge elettorale maggioritaria con un premio veramente enorme. E il PD e FI i due principali partiti consideravano una vittoria avere più della metà dei voti degli italiani (almeno il 51%) e una sconfitta averne solo un terzo. Soprattutto, a breve ci sarebbero state le elezioni politiche e le primarie erano pensate come un bagno di folla per un leader già ampiamente condiviso e unitario. Bastano queste piccole differenze o ne servono altre? Bene, nonostante tutto questo il PD inviterà ancora una volta indistintamente tutti gli italiani ai suoi gazebo a scegliere il loro candidato Segretario e altresì (così prevede lo statuto) contemporaneamente alla Presidenza del Consiglio. C’è da chiedersi: per a chi, senza maggioritario, col 18% dei voti e soprattutto senza uno straccio di elezione politica all’orizzonte? Certo, una ragione, c’è il bisogno del PD di avere una leadership riconosciuta unitariamente da tutti che rilanci l’azione dei Democratici, che li faccia uscire dall’incubo del vittimismo di chi rivendica solo acriticamente il passato per costruire finalmente un’alternativa nuova, un’opposizione vera alla maggioranza gialloverde del Governo Conte. C’è bisogno altresì di rispondere all’esigenza di una guida autorevole per mettere insieme una coalizione larga e capace di vincere le elezioni amministrative che verranno a primavera… come lo è stata nel recente passato solo quella di Nicola Zingaretti nel Lazio… e guardando così avanti per contrastare nell’elezioni europee di Giugno 2019 l’onda sovranista-populista. Perché se anche il PD è fornito delle risposte giuste… queste sono tali solo se anche le domande sono giuste. Mentre le domande formulate con le regole del Congresso PD rischiano invece di essere sbagliate. E’ chiaro ormai che il congresso sarà ancora una volta una conta fino all’ultimo voto, con ogni mezzo possibile. Se non per volontà dei candidati (almeno non di tutti). Di certo invece per volontà di  coloro che hanno partecipato al Forum per l’Italia tenutosi lo scorso Week End a Milano, ignorando volutamente che quell’appuntamento fosse la conclusione di un percorso che ha avuto tappe significative come la manifestazione di Piazza del Popolo e i Forum tematici di Palermo, Torino, Roma e Napoli. Che sono state tutte occasioni straordinarie che hanno fatto capire, tra le altre cose, alcune cose sbagliate del passato, come aver smesso all’interno del PD e per alcuni anni, di fare quel necessario lavoro di confronto, coinvolgimento e studio… mentre si è invece proceduto in una sorte di vuoto pneumatico… del quale Renzi è stato la misura di tutte le cose… così come per molti altri (in forte crescita all’interno del PD) è stato la dannazione di tutta la esperienza di Governo dell’ultimo quinquennio e di chi l’ha comunque guidata. E il dramma è stato quello della personalizzazione estrema e della rissa costante quali uniche modalità di confronto! Sarà ancora così nel correre per le primarie, per conquistare un voto in più per il proprio candidato? Sicuramente sì, se si continua ancora col  racconto che le primarie così democratiche sono un’elegante partita di tennis… quando nella realtà le regole delle primarie sono quelle di un incontro di lotta libera. La verità è che quello che il PD dovrebbe fare è molto molto di più che un congresso ordinario con delle ordinarie regole. La straordinarietà di questa assise non è nel tempo stretto intercorso tra questa e l’ultimo congresso svoltosi. Ma nello riscrivere completamente le sue carte fondative e, il suo impianto ideale nonché, il suo sistema organizzativo. E ancor di più, il PD dovrebbe battersi per una riforma ampia della democrazia italiana, con leggi su partiti, sindacati, fondazioni, lobby. Nel passato sono state fatte conosciute commissioni statuto per cambiare le cose dell’organizzazione partito (basta ricordare quella dell’ex Ministro Barca… il cui lavoro è finito ovviamente nel cassetto. Ma se la necessità del PD è quella di dover riscrivere di fatto la sua “Costituzione” non lo puoi fare affidandoti a qualche volenteroso esperto, lo fai coinvolgendo tutti e facendo di ciò la priorità assoluta per tutto il partito. D’altra parte se le migliaia di persone di “Piazza Grande e della Leopolda” si fossero riversate tutte assieme nel Forum Programmatico di Milano, il PD avrebbe avuto bisogno di uno ‘stadio’. O, per dire meglio, di un partito che discute insieme in modo sistematico e non episodico del suo destino… C’è chi continua a non volere che ciò accada… Si riscontra praticamente con quasi tutti gli interlocutori il fatto che nessuno, sì, nemmeno uno di loro si dice tranquillo dell’infondatezza delle preoccupazioni che le sconfitte subite dal PD ne possano travolgere l’esistenza stessa e quello del futuro politico italiano ed europeo. Però molti, per non dire tutti hanno anche paura che, nell’esprimere ciò, si possa apparire deboli e timorosi della competizione politica in corso nel Paese e più in generale sul piano globale… Quasi che l’idea di un PD in cui si possa raccogliere la maggioranza dei consensi per essere una maggioranza compatta dopo anni di divisioni in un partito privo di rispetto nei confronti delle sue minoranze e sostanzialmente poco autocratico e autoreferente… possa apparire in un certo senso ridicolo nella voglia di vincere a tutti i costi… E sono proprio coloro che governandolo verticisticamente hanno finito solo per stringere un pugno di mosche. Sì, proprio Renzi e i suoi… che ancora pensano che mantenendo l’attuale statuto e il rito delle primarie potranno continuare ad essere maggioranza nel partito rilegandolo ad essere perennemente minoranza nel Paese… Cosa occorre quindi perché il PD possa fare un Congresso vero? Che le 10 personalità di maggior rilievo del partito (evitando pranzi e cene) si siedano attorno a un tavolo e decidano che il congresso o sarà  capace di schivare i pericoli, aggirare le insensatezze e ridurre al minimo inevitabile il conflitto tra di loro… Che le tossine introdotte nella comunità  dei Democratici dalla competizione per la leadership nel PD con le primarie dovranno essere riassorbite in tempo utile per le elezioni più delicate della storia dell’Unione Europea e che saranno ininfluenti per le quattro elezioni regionali e le quattromila elezioni comunali che si faranno durante o subito dopo il congresso. Che alla fine solo così il partito sarà comunque più forte. No, non si tratta di un ‘caminetto’, non è un nemmeno un patto di sindacato auto-conservativo. In una situazione come questa delineata nessuno, tranne i ‘facinorosi’ se ne potranno lamentare. Certo che sarebbe una notizia. Perché il fatto che i dirigenti di uno stesso partito si incontrino e si confrontino è considerata ormai un’eccezione unica, mentre le primarie a colpi di clava sono diventata la regola… Mentre riunirsi e pensare insieme la strada più utile e più giusta non serva… Poi  Deciderà comunque l’ Assemblea del 17 p.v. Ma se potete evitate che il PD (e incidentalmente l’Italia) continuino ad essere vittime sacrificali delle macchinazioni di potere… per un potere sempre più fine a se stesso. Un appello: PD: basta faide tra renziani e anti-renziani, la sinistra torni a occuparsi degli ultimi, o sparirà per sempre…

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