Pd: ha l’occasione di mollare i grillini e costruire una nuova identità riformista sulla quale rifondarsi…

Il logoramento dei rapporti con i 5 stelle toglie al Nazareno quello che è stato praticamente il suo unico interlocutore nell’ultimo anno e mezzo. C’è qualcosa di nuovo, forse, che dovrebbe interrogare il Partito democratico: si tratta dell’evidente logoramento dell’afflato con il Movimento 5 stelle, peraltro ricambiato. Sarà perché il vecchio Movimento è morto e il nuovo stenta a nascere, o sarà perché Giuseppe Conte ha in realtà il dente avvelenato con Mario Draghi. Fatto sta che il Partito democratico sta progressivamente perdendo l’unico interlocutore che aveva, il che non è necessariamente – anzi – un male: ma a patto che la cosa venga razionalizzata e diventi l’occasione per un ripensamento generale della strategia politica del Nazzareno… Letta l’ha scritto nel suo ultimo libro: “Anima e cacciavite”. Scrive il neo segretario Pd:  “I partiti progressisti hanno disprezzato il disagio e vissuto le disuguaglianze come il prezzo da pagare per la globalizzazione. Negli ultimi anni ho pensato, e scritto, che una delle cause più profonde della crisi delle élite in Europa, in particolare dei partiti progressisti, sia stata la tendenza diffusa a disprezzare il disagio, derubricare il conflitto sociale a orpello novecentesco, vivere le disuguaglianze come il prezzo da pagare, apparentemente minimo, di fronte alle opportunità, apparentemente infinite, della globalizzazione e dell’apertura. È stato il nostro abbaglio storico, su cui tutti dobbiamo fare autocritica. Primo, perché abbiamo permesso che la risposta ai bisogni legittimi di protezione fosse appannaggio esclusivo della destra populista. Secondo, perché, quasi vergognandoci di pronunciare l’espressione “giustizia sociale”, abbiamo smarrito l’aspirazione stessa al progresso, non vedendo che intorno a noi si consumava invece un regresso. Meno lavoro, meno opportunità di crescita, meno speranza, meno figli, meno empatia verso le difficoltà, meno solidarietà verso gli ultimi e i disperati”. Quindi i tempi dell’alleanza strategica con i grillini sembra sempre più nella realtà morta e sepolta (lo si sta vedendo chiaramente  nelle città dove si voterà a ottobre). È naufragata infatti anche l’ipotesi, non si sa quanto meditata, di una specie di “desistenza” alle suppletive di Siena e Roma ove pareva si candidassero rispettivamente Enrico Letta e Giuseppe Conte appoggiati il primo dal Movimento e il secondo dal Partito democratico. Ma l’ex presidente del Consiglio ha escluso di voler correre a Roma, nel popolare mega-collegio di Primavalle-Aurelio, con una motivazione sinceramente incomprensibile: «Devo dedicarmi a tempo pieno alla ripartenza del Movimento. Un seggio in Parlamento è un onore ma sarebbe un disonore lasciarlo sistematicamente vuoto». Bah: da sempre i leader siedono in Parlamento. Più probabilmente, Conte ha messo in conto di poter perdere, forse anche considerando che non tutti gli elettori dem di quel collegio lo avrebbero votato. Ma a parte questo piccolo “giallo”, è chiaro che l’aria è alquanto cambiata. E non sarà un caso che qualcosa di nuovo, per ora solo al livello locale, si muove nel rapporto mai chiarito fra Partito democratico e i così detti riformisti liberaldemocratici (Italia viva, Azione, Base (Bentivogli), +Europa). Sono piccoli indizi ma vanno colti, perché i vuoti sono destinati a riempirsi. A Milano c’è il fatto forse più importante, le firme per la formazione di una lista civica riformista a sostegno di Beppe Sala. A Roma, contiene una novità l’intervista di Carlo Calenda che ipotizza un «fronte repubblicano per battere i populisti» con una convergenza tra «Pd, Mara Carfagna e Beppe Sala». Persino a Napoli, dove l’asse tra Partito democratico e Cinquestelle sembra reggere, c’è qualche iniziativa che tende a smussare gli angoli del rapporto fra dem e liberalriformisti, come quella dell’associazione Amici dell’Avanti! che chiede unità fra Azione, Italia viva, socialisti, Base (Bentivogli) e +Europa a sostegno di Gaetano Manfredi. A Bologna però lo scontro tra “il Partito” ed “eretici” è forte ma vorrà pur dire qualcosa se molti dirigenti del Partito democratico appoggeranno Isabella Conti e non il “candidato del partito” Matteo Lepore (da ultimo, l’assessore regionale alla cultura Mauro Felicori, figura di primo piano della sinistra bolognese, che si è beccato un bel «Vergognati» dall’assessore comunale Mazzanti). Insomma, il problema strategico per un Partito democratico che dà l’impressione di continuare a muoversi un po’ a tentoni oggettivamente si pone. Naturalmente fra Nazareno e i liberaldemocratici c’è un oceano di ghiaccio che chissà se il tempo e la lungimiranza di entrambi riusciranno a sciogliere in vista della costruzione di un asse politico nuovo. Quello che è certo è che un macigno chiamato Movimento cinque stelle si va sbriciolando, ed è questa la novità, che richiede al Pd e al suo segretario una riflessione nuova e ampia… Proprio oggi che tutto è ancora più accelerato dobbiamo recuperare in fretta il tempo perduto e porre la riduzione delle disuguaglianze e la prossimità verso i bisogni della persona e della comunità al centro della nostra azione politica. Cosa significa essere progressisti, altrimenti? Dov’è l’anima, di cui parlavo prima? In fondo, come dice il prof. Filippo Andreatta (figlio di Beniamino), e ordinario di Scienze Politiche all’Università di Bologna: “rimangono i nemici di sempre da sconfiggere (le 4 P): povertà, privilegi, pregiudizi, paura. Sono ancora gli stessi nemici del Risorgimento, Resistenza e Costituente”.  Quindi il Pd deve prendere atto una volta per tutte in un serio dibattito politico che: cambiano le epoche storiche ma la sua missione, la sua anima, devono essere le medesime di sempre. Se non dimostrerà, a chi fa fatica a vivere e a adeguarsi al cambiamento continuo, che la sua politica si concentra proprio sul rendere possibile la convivenza non traumatica con questi nemici, il suo cammino diverrà sempre più impervio. Non è facile trovare gli strumenti, le soluzioni, perfino le parole giuste. Quel che è sicuro è che bisogna cambiare se stessi, nella testa e soprattutto anche nel cuore. Scrive ancora Enrico Letta: “Per fare questo salto di paradigma, emotivo prima ancora che culturale e politico, dobbiamo però evitare di aggirare ancora una volta, un dibattito serio sul fallimento del “modello della locomotiva e dei vagoni”. E capire perché quella impostazione, talvolta sostenuta con le migliori intenzioni, abbia alla fine fallito, in particolare in Italia e in Europa, creando storture e distorsioni che impiegheremo tempo, forse anni, a correggere radicalmente. La locomotiva, si sa, è la parte più importante del convoglio. Anzi, è la parte su cui lavorare e investire. Se la locomotiva è potente, il più è fatto. Più la locomotiva va forte, più efficacemente trascina dietro di sé il resto del convoglio. Questo paradigma, negli ultimi tre decenni, è stato declinato in modo massivo, perfino fideistico, sia nei modelli di sviluppo economico (soprattutto territoriale), sia nelle relazioni all’interno della società. In Italia forse più che altrove”. Dovremo aggiornarlo questo paradigma e dirci che la vera sfida oggi è battere “la paura del secolo XXI” che la pandemia da Covid ha prodotto nell’intero Globo. E potremmo anche convenire che la sfida non è impossibile, se la affrontiamo, appunto, con occhi che sappiano guardare oltre, con lo spirito di chi sa immedesimarsi nelle ansie e nelle fragilità dell’altro, con la creatività e la competenza di chi sa vedere prima e costruire poi soluzioni nuove; con la pazienza necessaria per accompagnarci tutti per mano, senza voltare lo sguardo di fronte allo studente che si è disconnesso o al cinquantenne che ha perso il lavoro… Continua il Segretario del Pd:  “Conosco fin troppo bene l’obiezione. In una comunità complessa – si dice – esistono meccanismi redistributivi interni e reti di protezione che tutelano chi rimane indietro. È stato, sia pure parzialmente, vero a lungo. Oggi non è più così. Oggi in tutto il mondo, se hai soldi, hai più opportunità di prima. Puoi spostare il tuo capitale legalmente fuori dal Paese, puoi agevolmente stabilire la sede fiscale della tua attività all’estero. Puoi scegliere di spostarti, fisicamente o anche solo giuridicamente, in modo semplice. Ci sono addirittura Paesi che mettono all’asta la cittadinanza, che promettono mari e monti se decidi di pagare le tue tasse da loro. In altri termini, chi ha il privilegio economico ha il privilegio di separare il suo destino individuale da quello del proprio Paese. E se il Paese affonda può salvarsi. È un discorso che fin troppo bene si addice all’Italia, ma che vale per molte altre democrazie, non a caso esse stesse in crisi. È la conseguenza più diretta di una globalizzazione che sta creando una nuova élite mondiale che si riconosce vicendevolmente nel cogliere opportunità senza precedenti. Un’élite globale più larga e composita di quella identificabile col cosmopolitismo di un tempo. Ma pur sempre élite: minoranza nella società, maggioranza nella proprietà e nella disposizione degli asset e dei mezzi finanziari. Il problema è che questa élite globale, cosmopolita e colta, rischia non solo, come dicevo, di staccarsi sempre di più dal proprio Paese, ma anche di difendersi da esso, anziché porsi il problema di come contribuire alla sua salvezza. Di certo continuare a perpetuare squilibri sottrae linfa e vitalità alle nostre comunità. Ne risentono tutti, non solo gli ultimi, e ciò dovrebbe suggerire alle élite, alla “locomotiva”, che l’unico vero modo per far procedere a una buona velocità il treno è accettare una volta per tutte che la riduzione delle disuguaglianze – vecchie e nuove, sociali e territoriali, generazionali e di genere – non è più soltanto una sacrosanta questione di giustizia sociale, ma un motivo di convenienza per tutto il Paese, a partire dalle sue classi dirigenti. Perché se il treno deraglia le conseguenze sono gravi per tutti e a rischio ci sono non i privilegi di una parte, ma la sopravvivenza dell’intero sistema della democrazia così come l’abbiamo conosciuto nell’ultimo secolo”. Se il Pd a cominciare da se stesso non riuscirà a discutere della sua “Anima” e ad usare il “cacciavite” per riavvitare il destino della sua rappresentanza sociale al superamento di diseguaglianze economiche e discriminazioni di diritti individuali e sociali, il destino del Pd è quello di continuare a declinare politicamente… basta rimuovere il conflitto sociale, basta parlare di alleanze tornare in campo con un’agenda che rifondi valori e strumenti di una politica riformista ben più congrua di un non meglio aggettivato riformismo liberaldemocratico…

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