PD: dopo la vicenda Lotti CSM e nuova Segreteria non tiene più, molto meglio sciogliere il partito, possibilmente già domani…

Stiamo perdendo Nicola Zingaretti e il suo nuovo PD. Per carità, lui è ancora là dove l’avevamo visto l’ultima volta, pacioso e sorridente, ma si sta perdendo nella ridda di critiche che lo stanno colpendo. A tanti mesi dalle primarie e dopo i risultati elettorali dignitosi era giusto gli fosse data una tregua ma era giusto  che lui non la desse a nessuno. Il segretario avrebbe dovuto invadere di idee, di proposte, di iniziative il partito per riformarlo profondamente,  avrebbe dovuto reagire  a ogni evento rovinoso (come il caso Lotti) in modo radicale restituendo agli elettori democratici la dignità di votare per una forza politica senza più “mascalzoni” al suo interno che ne compromettevano l’immagine e la dignità politica. Invece tutto ciò non è accaduto. Zingaretti che sembrava non sbagliare nulla, nemmeno  il tono di un commento in nome di una “ritrovata” unità d’intenti nel partito,  alla fine ha sbagliato per mancanza di  posizioni precise… perché mai ringraziare Lotti per l’autosospensione dal partito… dopo le vicende CSM, avrebbe dovuto pretendere le dimissioni…   una presa di posizione significativa di fronte a tanta inopportunità politica e vedremo se emergeranno anche fatti penali. Ma c’è dell’altro. La periferia ribolle? Dice riapriamo qualche circolo torniamo tra la gente, bene, ma bisogna anche circostanziare chiaramente cosa si vuole fare, come si vuole agire rispetto ai problemi reali delle persone sui territori, nei quartieri degradati. E anche altro. Prendete  il caso Puglia dove, con tutta evidenza, c’è una vera fronda contro Michele Emiliano che mostra la lungimiranza di chi ha capito che il presidente della Regione è alla frutta. Zingaretti potrebbe sostenere il suo collega o sostenere quelli che lo vogliono disarcionare. Prendere una posizione. Prendete le elezioni in Sardegna, si persi alcuni dei i principali comuni che andavano al voto: Cagliari e Alghero a Sassari si andrà al ballottaggio cresce ancora la destra, non Salvini, ma F.lli D’Italia. Quindi non c’è una continuità nella ripresa di consenso per il partito democratico. Ovvero continua l’indeterminatezza di una situazione che vede il PD in carenza di idee e con risultati risultati elettorali contraddittori. Male, anche nel caso dell’Umbria dove abbiamo assistito alla buffa vicenda di Catiuscia Marini. E altre contraddizioni con relativi silenzi si sono ancora registrate, nelle scorse settimane… Il caso Lotti ha fatto esplodere il Pd. La pace comunque armata dei mesi scorsi ora è diventata di nuovo una guerra senza quartiere (ed è facile presagire che finirà malissimo). La vicenda di Luca Lotti e le nomine del Csm ha fatto capire a tutti come la pace del Pd fosse solo una momentanea e debole tregua. Tra autosospensioni, dimissioni e interviste non concordate ora rischia di aprirsi di nuovo una frattura insanabile. Che finirà per rinsaldare i renziani.  Sabato scorso, un po’ a sorpresa,  Nicola Zingaretti ha rotto gli indugi e nominato una segreteria tutta di fedelissimi e senza alcun esponente vicino a Matteo Renzi, in quella che appare una risposta (dopo le critiche ricevute) più decisa e compiuta al caso Lotti-Csm  ma che scosso il partito. Il leader, di fronte al montare dello scandalo, non ha aspettato la direzione di domani per annunciare la sua squadra, della quale sulla carta avrebbe potuto far parte anche Lotti, in segno di apertura ai renziani dialoganti… Ma le condizioni oggi, non ci sono più e si è così riaccesa in grande stile la lotta interna, con le minoranze partite all’attacco del segretario. Così il PD: non tiene, non va da nessuna parte, non riemerge dal baratro del 4 marzo dell’anno scorso.  Cosa bisogna fare fare e anche in fretta? Il Pd si deve sciogliere e possibilmente già domani… Solo così c’é l’impressione che ci possa essere ancora un futuro per il centrosinistra come fosse un nuovo Ulivo. Lo scandalo Csm-Lotti ha reso evidente quel che si sapeva da un bel po’: dal referendum perso da Renzi, nel Pd è continuata la guerra civile. L’unica soluzione? E’ quindi sciogliersi. E ripresentarsi con due partiti, uno di sinistra e uno di centro, sul modello dell’Ulivo… È bastato, il coinvolgimento di Luca Lotti nel caso Palamara, a rimettere in discussione il Partito Democratico finito di nuovo nel caos. È bastata la nuova segreteria, presentata sabato scorso, a far finire la pace armata degli ultimi mesi tra renziani e anti-renziani, Ed è bastata qualche settimana di distanza dalle elezioni europee per rendersi conto che nella realtà poco è cambiato da quando Nicola Zingaretti è diventato segretario: nessuna idea nuova, nessun salto di qualità nella capacità di fare opposizione al governo di Lega e Cinque Stelle, che continua a monopolizzare il dibattito pubblico. Signor Boh. l’ha soprannominato l’Espresso uscito ieri domenica, in un’efficace e impietosa sintesi del vuoto totale di contenuti e visione che ancora continua a esserci a sinistra… Forse è il giudizio è esagerato, ma certo è difficile dargli torto. Che di fronte a un governo così divisivo, l’opposizione non riesca a crescere se non di pochi punti percentuali, restando al palo di un asfittico 22% – peraltro “drogato” dalla bassa affluenza delle elezioni europee – è quasi un paradosso politico. Un paradosso di cui Zingaretti che forse ha anche qualche colpa, ma, soprattutto, una gigantesca attenuante: provateci voi a dare identità a un partito in guerra civile dal 4 dicembre del 2016, da quando Renzi ha perso il referendum costituzionale e D’Alema e Speranza hanno brindato alla sua sconfitta. Da quel giorno – lo diciamo a posteriori – il Pd ha smesso di esistere e sono nati due diversi partiti, entrambi fondati sulla paranoia e sul risentimento. Quello della “pugnalata alla spalle” dei renziani ortodossi, che ancora oggi pensano – Renzi in primis – che il governo dei mille giorni sia deragliato a causa dell’opposizione interna. E quello dell’“identità violata” e di chi pensa che l’ex sindaco di Firenze e i suoi siano un corpo estraneo al partito, una specie di metastasi da uccidere per non morire… Pensare di riappacificare queste due anime, di credere davvero che possano convivere sotto lo stesso tetto, e soprattutto che questo sia utile al Pd rischia di essere il vero errore di Nicola Zingaretti e del seminuovo gruppo dirigente del partito. Che al contrario dovrebbe lavorare per provocare una scissione in grado di separare le identità del partito e di permettere a ciascuna di loro di far fuoco contro il governo, anziché all’interno dello stesso Partito. Guardare il passato può essere un errore, ma lo schema di gioco è quello del caro vecchio Ulivo: al centro una forza moderata, più “democristiana” che liberale, che contende i voti a un centro destra estremista e che potrebbe allearsi con +Europa e pezzi di Forza Italia. La casa perfetta per Renzi, per le madamine Sì Tav, per le istanze confindustriali, per quei pezzi di ceto medio che non si riconoscono in Salvini, né nei Cinque Stelle. E forse (c’è qualche dubbio) per Calenda. A sinistra, invece, un Pd più simile ai vecchi Ds, senza sogni di costruire una società socialista all’insegna del bel sol dell’avvenire, ma in grado di portare avanti istanze di sinistra, dal dialogo con la Cgil alla difesa delle Ong, senza alcuna remora e alcun rischio di fuoco amico, capace di riacquistare credibilità anche nei confronti di chi era uscito dal Pd stesso perché diventato troppo di destra, per diventare interlocutore credibile di quel che si muove alla sinistra del Pd e che sobbolle all’ala sinistra dell’indistinto a Cinque Stelle. Due forze, insomma, in grado di rivendicare compiutamente la loro identità, senza necessariamente dover mediare l’una con l’altra, che dovrebbero limitarsi a trovare una sintesi ogni cinque anni, per definire una proposta politica comune da presentare al Paese. Un po’ come Forza Italia e Lega fanno da secoli, per intenderci. Da quando, ormai sei anni fa, Berlusconi ha deciso che il Popolo delle Libertà – nato assieme al Pd e del Pd vero e proprio partito-specchio – era diventato un orpello inutile. Separarsi, senza rancori, se è possibile, è la mossa migliore che il Pd potrebbe fare… Non si hanno sondaggi in mano, ma potremmo scommettere che anche solo un’operazione di questo tipo farebbe schizzare il voto al 30% circa, se non di più, il potenziale elettore delle forze di opposizione. Gli elettori finalmente avrebbero una proposta politica chiara. I politici e i militanti, finalmente, due forze in cui riconoscersi pienamente, e non solo a metà. E le forze di governo, si ritroverebbero attaccate da due fronti, anziché uno, senza più il bersaglio facile del Pd, oggi facilmente additabile a responsabile di tutti i mali del mondo. E le elezioni in Emilia – Romagna, ancora abbastanza lontane, potrebbero essere il primo banco di prova per sperimentare questo nuovo attacco a due (o tre) punte del centro sinistra al blocco di potere di Lega e Cinque Stelle e al futuribile strapotere del nuovo centrodestra di Salvini. L’alternativa è seguire ancora il sogno di una vocazione maggioritaria inesistente, peraltro in un campo da gioco che – per scelta del Pd, del resto – è diventato proporzionale. Cosa state aspettando, ancora?

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