PD: un congresso che non finisce mai…

A dire il vero, ci credevano in pochi alle buone intenzioni di Renzi & dei renziani di voler trovare le ragioni di una nuova unità del e nel partito. Non solo per i toni dell’intervento di Giachetti all’Assemblea Nazionale dello scorso 17 marzo, che ha decretato la vittoria di Zingaretti alle primarie e l’ha insediato ufficialmente come neo Segretario di un PD che si vuole “nuovo” nella linea politica e nella rinnovata vicinanza al popolo della sinistra… superando gli anni divisivi del renzismo post rottamazione. Infatti, C’è da ri-chiedersi quanto gliene frega della sinistra a Renzi… che nella sostanza e negli atteggiamenti  ha sempre lavorato per distruggerla. Renzi un “centrista” con lo sguardo rivolto a destra e che sembra detestare proprio le classi subalterne ancor più e peggio di Berlusconi, in nome di un “moderatismo” della classe media, che nel nostro paese (qui lo sbaglio politico di fondo di Renzi) si è ormai radicalizzata… in quanto depauperata fino a diventare nelle posizioni politiche per via delle diseguaglianze economico-sociali indotte dalla globalizzazione d’oggi: il “nuovo proletariato”. Giachetti che ha voluto sottolineare la sua posizione nel partito non votandolo e non facendolo votare dai suoi, il nuovo Presidente del PD, proposto da Zingaretti, Paolo Gentiloni, rimarcando così la ormai insanabile rottura di Renzi con lo stesso. E dicendo chiaramente di non essere d’accordo con chi come Zingaretti, vorrebbe cambiare lo statuto del PD eliminando la coincidenza tra Segretario e candidato Premier del Governo. Tant’è che Luca Lotti (decisamente il capo corrente del pezzo maggioritario di quei renziani… che si erano alleati  alle primarie con Maurizio Martina e Matteo Richetti), in un’intervista al Corriere, sottolineava che Renzi poteva, quando ve ne fossero state le condizioni, tornare al Governo, (un modo per ribadire, che i renziani hanno come obiettivo di riprendere il controllo del PD) impedendone uno spostamento delle politiche a sinistra e rendendo così impossibile ogni politica delle alleanze che passi, non tanto e non solo (in quanto effettivamente impossibile) un dialogo e un accordo con il gruppo dirigente del 5Stelle, ma un dialogo anche semplicemente teso a recuperare l’elettorato ex PD di sinistra andato ai 5Stelle nelle elezioni del marzo 2018. Non cambia la strategia renziana, punta alla riedizione del patto del Nazzareno una volta che ciò che resterà di FI svuotata da Salvini e con un Berlusconi in definitivo declino, si sposterà al centro e aggregherà con i renziani che usciranno dal PD, lamentandosi di una gestione dello stesso, che guarda alla alleanza con una parte dei 5Stelle, che sarà costretta a sua volta a decidere da che parte stare. Già Pd-Cinque Stelle, si ricomincia subito: ora è stato Veltroni con un’intervista a Repubblica a ri-lanciare questa alleanza impossibile (facendo incazzare i renziani). Nelle ultime scorse giornate, prima Veltroni e poi anche Prodi hanno rinnovato la spaccatura sentimentale e ciclica del Partito democratico: allearsi con i Cinque Stelle per tornare al governo o porsi come la forza anti-sovranista? Walter Veltroni, fondatore del Partito Democratico, nel dire chiaramente di aver votato alle primarie “convintamente” Zingaretti, nell’intervista ricordata dice anche: «Tra poco saranno i 5 Stelle, e non il PD, a dover decidere da che parte stare. È ora di ricostruire in questo Paese un sano bipolarismo tra centrosinistra e destra». Sono bastare queste poche parole, pronunciate certo non dall’ultimo arrivato nella comunità democratica, per far tornare l’ombra delle fibrillazioni politiche interne, così evidenti nelle settimane precedenti alle primarie. Se poi le sommiamo alle dichiarazioni recenti di Romano Prodi, per cui «I democratici stanno finendo di essere solo il partito dei ricchi», si capisce bene che i due più importanti fondatori del PD stanno realmente tracciando una nuova strada. Una strada che, inevitabilmente, mette in risalto una spaccatura filosofica e politica ben presente nel PD, che l’elezione di Nicola Zingaretti e il successo della giornata delle primarie del 3 marzo hanno solo per il momento silenziato… Infatti fino a maggio il neo-segretario ha imposto la tregua ma poi si vedrà… Ma perché i renziani storcono il naso per le parole di Veltroni e di Prodi? Perché presentano uno scenario diverso rispetto a quello immaginato da Renzi. Detto in poche parole, il primo segretario del Pd e l’ex presidente del Consiglio hanno in mente uno schema per cui il radicamento bipolare, grazie all’azione della segreteria Zingaretti, finirà per mettere, uno contro l’altro, il Centrosinistra e la Destra a trazione salviniana. Ma siccome difficilmente il centrosinistra stesso può ambire, nel breve periodo che loro s’immaginano precedente alle elezioni anticipate, al 42-43% dei voti necessari per governare, s’immaginano anche che un ruolo debba essere giocato dal Movimento 5 Stelle. I grillini infatti, anche ammesso che andranno a perdere parecchi voti rispetto alla scorsa tornata, nella peggiore delle ipotesi rappresenteranno una forza tra il 17-22% il cui contributo sarà fondamentale per la formazione di un governo. Veltroni (e Prodi) vedono nei Cinque Stelle l’ago della bilancia. Che poi, volendo essere maliziosi, è un po’ quello che dice da anni anche Pier Luigi Bersani, quando sostiene che i grillini sono di fatto “il nuovo centro”, scatenando ire e ironie del popolo legato al “senatore semplice di Scandicci”. Il bipolarismo renziano non è tra destra e sinistra in senso tradizionale, ma tra populisti e progressisti, tra sovranisti ed europeisti, tra razionale e irrazionale, tra cervello e pancia. Sarà per questo che lo scenario appena rappresentato manda in tilt i democratici di fede renziana. Lo schema di Renzi, infatti, continua ad essere diverso. Per l’ex rottamatore, il M5S fa parte integrante della destra e il PD deve opporsi allo stesso modo a Salvini e a Di Maio (per interposta persona a Casaleggio). Non è più un mistero che, in un quadro siffatto, Renzi preferirebbe di gran lunga che il PD si alleasse con un centrodestra moderno, europeo e maturo, scommettendo sull’emancipazione di questa area da Salvini, piuttosto che con ciò che resta del Movimento 5 Stelle. E non è un mistero neppure che il PD renziano non abbia nulla a che fare con “il partito dei poveri”, parafrasando le parole di Romano Prodi. Guardando fuori dall’Italia, Renzi e i suoi “ideologi” preferiscono Ciudadanos al Psoe in Spagna, hanno come riferimento europeo Emmanuel Macron, si considerano più vicini alle politiche di Angela Merkel che alle istanze del primo Tsipras, considerano Jeremy Corbyn un problema e non certo una risorsa del mondo socialista… Questa spaccatura sentimentale, nel PD, è viva e vegeta e ciclicamente tornerà a galla, com’è successo proprio oggi, all’indomani del voto in Basilicata, dove il PD ha perso la presidenza della regione dopo ben 24 anni. I renziani hanno subito scaricato il loro scontento sul neo segreterio Zingaretti. Non nasconde la sua amarezza la neo-vicepresidente democratica Anna Ascani, esponente dell’ala renziana più intransigente, che accosta il PD a Toto Cutugno, eterno secondo del Festival di Sanremo:  @Anna Ascani Friuli, Trento, Molise, Abruzzo, Sardegna e #Basilicata. Alla sesta volta credo che persino il grande Toto Cutugno abbia smesso di esultare per il 2º posto. Noi abbiamo intenzione di andare avanti parecchio? scrive su Twitter. (465 10:05 – 25 mar 2019). Una critica del fronte renziano che trova conferma nel tweet del deputato PD, Luciano Nobili:@lucianonobili Da quando @matteorenzi si è dimesso abbiamo perso Friuli, Molise, Abruzzo, Sardegna, Basilicata, Trento e Bolzano. Ma il problema era il carattere di Renzi, ovvio. E finalmente oggi, senza di lui, tutti felici per il secondo posto in Basilicata: felici e perdenti. Lasciando intendere che gli insuccessi siano colpa di un PD senza Renzi segretario??!! Nelle ultime settimane prima delle primarie e in queste giornate, Zingaretti ha imposto, a se stesso e ai suoi, la linea della pacificazione e dell’unità, che probabilmente reggerà, tra alti e bassi, fino alle elezioni europee. Renzi, dal canto suo, sembrava aver accettato la tregua (obbligato dai numeri e dal successo del presidente della Regione Lazio). Ma, questa tregua già mostra più di una ‘crepa’ e alla lunga i contrasti saranno destinati a tornare in tutta la loro evidenza, soprattutto in caso di uno showdown anticipato della “creatura” giallo-verde. A quel punto, ancora una volta, si proporrà sulla strada del PD, il bivio della scissione renziana e della necessaria ricomposizione di un quadro politico alternativo all’attuale governo con un nuovo e più articolato Centrosinistra. Per i democratici l’alternativa sarà proprio quella di far capire, una volta per tutte, se siano la causa o possano essere la soluzione dell’anomalia politica italiana…

E’ sempre tempo di Coacing! 

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