Pd: Zingaretti ha un progetto per trasformare il Partito democratico nel primo partito italiano…

«Ho già un doppio incarico e ne sento tutto il peso, non penso affatto ad entrare nel governo. Resterò governatore fino al 2023». A dire ciò è il segretario del Partito democratico Nicola Zingaretti in un colloquio con il Corriere della Sera. Zingaretti prevede una lunga marcia per i prossimi due anni che mancano alla fine di questa legislatura, ma per la prima volta accenna ad un progetto preciso: «Ripristinare il bipolarismo con sistema proporzionale e sbarramento al 5%: quella è la soglia minima che spinge al voto utile, e noi possiamo diventare il primo partito italiano». Aggiunge: «Ho girato 140 piazze elettorali quando nessuno della maggioranza ci metteva la faccia… con i nostri voti abbiamo fatto una trasfusione di sangue al governo. Adesso non vorrei che si approfittasse della ritrovata stabilità per prendersela comoda. Possibile che stiamo ancora a perdere tempo sul Mes? Voglio dirlo chiaro: l’obiettivo su cui si gioca quest’alleanza di governo non è più solo l’elezione del prossimo capo dello Stato, come si poteva ancora immaginare lo scorso gennaio, ma è il Recovery plan e per dire meglio la ricostruzione del Paese». Secondo Zingaretti alla fine lo sbarramento al 5% starebbe bene anche a Matteo Renzi (sulla legge elettorale, Italia viva non chiude al proporzionale, ma i tempi slittano). E non c’è dubbio farebbe comodo al Pd. Zingaretti precisa: «Per me vincere le prossime elezioni politiche vuol dire tenere i sovranisti sotto il 50%. Il resto mi va bene tutto». C’è però in mezzo un turno elettorale importante. Infatti È già tempo di pensare alla sfida per le comunali del 2021 a Roma, Torino e poi a Milano, Napoli e Bologna.  Come si sa il problema, è soprattutto a Roma di trovare un candidato Pd. Ma negli ultimi giorni c’è stato il fuggi fuggi di molti nomi. E per il momento, si va alle primarie dei «sette nani». «Non è una mia battuta — dice Zingaretti — e anzi le convocherò e si faranno». C’è una certa apprensione per le mosse di Carlo Calenda. Si candiderebbe al Campidoglio fuori da un’alleanza di centrosinistra anche a rischio di favorire il passaggio al secondo turno della Raggi? «Di quello che fanno gli altri non mi impiccio», risponde Zingaretti. «Voglio dire però che su una cosa ho avuto di sicuro ragione: al Congresso avevo detto che i Cinquestelle non sono la stessa cosa della Lega. Sono nostri competitori, certo. Ma il governo che abbiamo fatto insieme ha ribaltato i rapporti dell’Italia con l’Europa. Ora siamo ascoltati, è tornata la fiducia in noi, anche per il modo in cui abbiamo fronteggiato l’epidemia. È un capitale decisivo per l’Italia. E l’abbiamo messo in banca noi». Zingaretti strappa il pari alle regionali  e con il voto al referendum trova un risultato che rafforza il governo Conte 2. Nella testa di Zingaretti ha preso così  forma compiuta quel che: ‘vuol fare da grande’ il segretario del Pd. Il Partito democratico è uscito rafforzato dal voto di regionali e comunali e questa nuova spinta si nota nei rapporti di forza all’interno del governo… Lui stesso si è posto il problema del suo doppio ruolo, e quello su altri eventuali (entrare al governo come vicepremier). Improvvisamente candidato a tutto – novello Giuliano Amato – ministro, sindaco di Roma, essendo già presidente del Lazio e segretario del Partito democratico, questo per lui è certamente un ottimo momento, grazie allo scampato pericolo del 6 a 0 preconizzato improvvidamente da quel genio di Matteo Salvini e alla buona e imprevista performance del suo partito ai ballottaggi. Come al solito i Media e la carta stampata ci hanno ricamato sopra… bisogna dare atto a Nicola Zingaretti che ha soprattutto messo la sua attenzione e quella del Pd su come riuscire a utilizzare al meglio il capitale politico guadagnato in questa fase… marcando un distinguo politico di una leadership interpretata in modo assai diversa dagl’altri leader (lo stesso Conte ma chiaramente anche da Renzi e da Di Maio nonchè soprattutto da Salvini). Si ha l’impressione precisa che le votazioni di settembre siano state per il segretario del Partito democratico un turning point. Lui si presenta proprio con un’altra faccia, un’altra allure. Ha finalmente ritrovato sicurezza, dopo mesi molto difficili, con la conferma di avere avuto una certa “fortuna” nell’incrociare il calando di Salvini e l’implosione grillina. E ora le tentazioni non mancano… Ma lui a questo punto sa bene che cosa vuole fare e deve fare. C’è stato questo incidente, questo giallo, forse un clamoroso misunderstanding con un giornalista che gli chiedeva della sua possibile entrata al governo e lui che rispondeva in modo strano, parlando dell’attuale doppio incarico: «In questi mesi ho onorato un doppio impegno, quello di presidente della Regione e di leader nazionale e oggi avverto un po’ il peso e la fatica di un doppio ruolo, soprattutto nel momento del Covid, che richiederà una presenza che sarà costante». Aggiungendo una frase ancora più incomprensibile: «Nelle prossime settimane vedremo e discuteremo su come andare avanti». Che voleva dire? Cosa c’è da discutere, se ha già detto no alla richiesta (formulata da Matteo Renzi) di entrare nel governo? «Non entro nel governo, sto benissimo dove sto» . Insomma, qual è il problema? Leggendole e rileggendole, quelle parole possono essere interpretate – a meno di non pensare che un leader politico dica cose a casaccio – come il classico sasso nello stagno, non solo come un ostentato ribadimento della “stanchezza” ma anche come una spia accesa per i suoi: «sto ponendo un problema personale e politico, e per l’appunto ne discuteremo». Perché se è vero che il segretario può essere fisicamente stanco. Con mesi tremendi alle spalle, anche personali (il Covid preso in primavera). Non c’è solo la contingenza a spiegare questa stanchezza. Dietro la bonomìa e quella certa leggerezza che lo contraddistingue. Nicola Zingaretti è il tipo che sa incassare bene ma che i segni se li porta dentro. La lunga esperienza politica lo ha certamente fornito di uno schermo protettivo – un po’ di cinismo nel politico ci vuole – ma l’uomo si arrovella più di quanto non dia a vedere (giustamente). E la sua forza d’animo è stata messa a dura prova dall’eterno timore di non farcela, dal dubbio di sbagliare, di non saper chiaramente distinguere fra amici e nemici all’interno dello stesso partito. Spesso ha cambiato idea repentinamente, come quando chiedendo un rimpasto (spinto da alcuni dei suoi) si era forse convinto di andare a fare il vicepresidente del Consiglio, persino forzando un riluttante Conte e poi invece ha fatto “macchina indietro”. Forse dentro… proprio dentro di sé questa vita di partito non gli garba più tanto: la “macchina” in fondo è sempre la stessa, da anni, logorante con tutti suoi riti e i suoi barocchismi sulla leadership. «Oggi avverto la fatica di un doppio ruolo». In fondo avrebbe potuto benissimo dire: ho preso il partito in una fase di enorme difficoltà e l’ho rimesso in carreggiata, ora fate voi, io vado a fare altro. Già, ma cosa? C’è una voce che ha preso a circolare da qualche giorno e “nascosta” in qualche pezzo giornalistico. Si tratta di questo: vista la difficoltà, anzi l’impossibilità, di trovare un peso massimo da candidare a sindaco di Roma, ecco che il segretario del Partito democratico potrebbe scendere in campo personalmente, lui che è da sempre grande conoscitore e protagonista della politica romana, un profilo giusto per rianimare un partito disperso e confuso come quello della Capitale, un nome il suo tutt’altro che indigeribile per i grillini che con ogni probabilità al secondo turno dovranno scegliere fra destra e sinistra e che sull’altro piatto della bilancia troverebbero il nome di Roberta Lombardi come candidata a succedere proprio a Zinga alla Regione. Come spesso accade in questi casi, non si sa chi abbia partorito questo ragionamento. Spesso nulla è chiaro di quello che avviene al Nazareno sulla questione di Roma. La mente finisce sempre per andare a Goffredo Bettini, deus ex machina di tutto – almeno secondo la vulgata giornalistica, il quale ha fatto: «il fioretto di non parlare di Roma». Ma che a domanda specifica di Alessandra Sardoni (Omnibus di martedì) ha detto che ci vogliono primarie cui partecipino «i giovani» che già si sono fatti avanti (Monica Cirinnà, Giovanni Caudo, Amedeo Ciaccheri, Tobia Zevi), che insomma «tocca a loro», e contestualmente bocciando Carlo Calenda che è «troppo duro con il Pd». Ma davvero Bettini giudica competitivi i nomi dei “giovani”? In ogni caso, per Nicola Zingaretti è arrivato il momento di fare una scelta personale e politica… sembra proprio l’abbia fatta: seppur con fatica resto Segretario del Pd e resto Governatore del Lazio e lavoro per: «Ripristinare il bipolarismo con sistema proporzionale e sbarramento al 5%: quella soglia spinge al voto utile, e noi possiamo diventare il primo partito italiano». Sembra così aver superato i suoi rovelli e le sue titubanze…

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