Per cambiare gli altri dobbiamo cominciare a cambiare noi stessi

…alcuni suggerimenti pratici per vivere con maggiore serenità
le situazioni conflittuali con le persone per noi importanti …è più semplice e produttivo
modificare i propri atteggiamenti invece che intestardirsi per cambiare chi ci è vicino 

Una vecchia barzelletta sui carabinieri chiedeva: Quanti carabinieri servono per cambiare una lampadina?

Risposta: 1000. Uno che la tenga ferma e gli altri 999 per girare la stanza…

La stessa barzelletta riproposta in chiave psicologica potrebbe recitare così: Quanti ‘psicologi’ servono per cambiare una lampadina?

Risposta: “…ne basta uno, purché la lampadina voglia farsi cambiare.”

Il tema del cambiamento riveste di questi tempi un’importanza particolare.

Si dice spesso: “…è cambiato il mondo e ancora cambia e cambierà.” Come è possibile che noi restiamo sempre uguali? Significherebbe vivere fuori dal tempo si, vivere fuori tempo!

Ora, ogni relazione per noi importante con persone significative, così come ogni evento della nostra vita, sono in grado di porci di fronte a scelte difficili e chiederci personali cambiamenti.

Anche il coaching …cambia le persone, aiutandole a maturare e crescere. L’ obbiettivo primo di ogni Life Coach, in effetti, è proprio quello di portare l’individuo a migliorare il rapporto con se stesso attraverso una maggiore consapevolezza di se e quindi della relazione con gli altri.

Il che comporta nel bene e nel male una ridefinizione della problematica in un contesto di personalità diverso.

Tuttavia non è un processo forzato o manipolatorio, in quanto parte dal libero desiderio del soggetto di andare a capire qualcosa di se stesso: la psicoterapia (in particolare quella psicoanalitica) cerca di far vedere al soggetto il proprio fantasma, la cui consapevolezza può portare una ristrutturazione della propria struttura di personalità. Per fare questo, quindi, ci si prefigge di rendere la persona più cosciente delle proprie emozioni, pensieri, relazioni e conflitti che sottostanno al disagio vissuto dall’individuo.

Le strade per portare a questo nuovo quadro di personalità e per raggiungere quello che in termini tecnici si chiama “insight” da parte della persona (la consapevolezza della situazione letta in una nuova luce) sono molteplici e variano a seconda dell’approccio teorico dello psicologo.

Tra i diversi strumenti utilizzati dal terapeuta per provocare il cambiamento, due sono quelli più conosciuti: le tecniche per interpretare i conflitti più o meno inconsci che causano il momento di “empasse” nel soggetto (ad esempio quelli legati a comportamenti assunti rispetto ai genitori) e la cura dell’evolversi della relazione in un clima di collaborazione e sostegno emotivo, aiutando quindi a osservare e verbalizzare le proprie emozioni.

Se usciamo da una logica clinico analitica e ci avviciniamo a quelli che sono i bisogni esperiti dalla maggior parte delle persone nella vita di tutti i giorni, occorre soffermarsi su una capacità che tutti possono imparare ad utilizzare: considerarsi come causa dei comportamenti altrui e non semplicemente vittime.

Non si può, in effetti, far cambiare una persona semplicemente dicendole di farlo: è l’esperienza comune (in clinica come nella vita quotidiana) ad insegnarci che questa strategia non funziona.

Il cambiamento, infatti, non è generalmente dovuto a un’azione diretta delle persone ma avviene come retroazione a un determinato comportamento.

Inoltre, qualora manchi la motivazione a cambiarsi, difficilmente ci saranno le modifiche aspettate che si manterranno nel tempo.

Farò un esempio per spiegare meglio il concetto: una moglie si lamenta perché il marito in casa non fa mai nulla mentre lei è sempre occupata dal dovere mettere in ordine la stanza, fare le pulizie, cucinare, stirare, lavare eccetera. Potrebbe, giustamente stufa, mettersi a urlare: “In questa casa tu non fai mai niente, faccio sempre tutto io”, continuando imperterrita a sobbarcarsi sulle spalle i suoi impegni.

Alla luce di quanto detto potremmo ipotizzare che la soluzione migliore per fare cambiare atteggiamento al marito non sia quella di sfogarsi e lasciare tutto com’è ma accompagnare allo sfogo uno sforzo a cambiare lei stessa.

“Forse se mio marito non fa nulla è perché io non riesco a invogliarlo a farlo”. Potrebbe lasciare qualcosa da fare anche a lui, farlo sentire utile, affidargli delle responsabilità.

Dare fiducia è possibile se si valorizza quel che viene fatto senza troppe critiche perché l’altro non è bravo o rapido come ci aspettiamo da noi stessi, chiedere aiuto anziché pretenderlo ben dispone, ringraziare è importante.

Spesso nelle coppie arriva la crisi perché i ruoli si irrigidiscono, si mettono nell’altro le nostre caratteristiche negative: lui è il fannullone, questo permette a me di fare quella attiva, se non ci fosse lui sarei io la disordinata, rimprovero all’altro i difetti che cerco di combattere dentro di me. Se lei cambia, cede un po’ di potere sul suo territorio, anche l’altro può esprimere le sue capacità.

E’ in questo senso che il cambiamento avviene in relazione agli effetti retroattivi di un altro cambiamento. A determinati atteggiamenti ne rispondono alcuni e al mutare dei primi si modificano anche i secondi.

Cambiare gli altri è molto più difficile che cambiare se stessi.

Inserendo una persona in un contesto diverso da quello a cui è abituata spesso si assiste al riadattarsi della personalità alla nuova situazione (si pensi a quando siamo in vacanza come cambiano le nostre abitudini ed emozioni).

Gli esempi sulla vita di coppia meglio spiegano questa idea: si pensi a una coppia nella quale la moglie si lamenti perché il marito spesso torna a casa tardi la sera poiché si ferma al bar con gli amici. La moglie che si impunta e aggredisce il partner esigendo una situazione diversa non ottiene quasi mai i risultati attesi: almeno in parte siamo noi che costruiamo la nostra realtà. Se invece, oltre a esprimere il proprio malcontento cercasse di prendersi anche lei i propri spazi e cominciasse a uscire e a coltivare i suoi interessi, probabilmente starebbe meno male e metterebbe il marito nella sua stessa condizione.

Non sarà allora più solo nelle mani della moglie la responsabilità di salvare la coppia, ma si invierebbe al marito un messaggio chiaro del tipo: “Cosa vogliamo fare? Comincio anche io a disinteressarmi dei nostri progetti e a disinvestire dal nostro rapporto? Cosa ci piace fare insieme e cosa con gli amici?”. Se le cose in questo modo non dovessero più funzionare per la coppia da una situazione precaria si potrebbe arrivare a chiarirsi quanto le persone siano adatte l’una per l’altra.

Bisogna anche considerare come il lamentarsi circa determinate situazioni che si dichiarano fastidiose possa talvolta essere inconsciamente un fattore di comodo (vantaggio secondario del comportamento). Dire che non si sopporta più una situazione e di volerla cambiare, per poi comportarsi affinché questa resti tale capita perché un ambiente per quanto scomodo può fornire alle persone motivo di alibi. Dire che il proprio partner in casa è un fannullone può essere addotto, ad esempio, come motivo per il quale la moglie debba rinunciare a relazioni sociali per affrontare le quali non si sente pronta, perché spaventata e intimorita dal doversi aprire verso gli altri.

In conclusione mi sembra che volere a tutti i costi cambiare l’altro sia una sottile forma di dipendenza.

Impuntarsi perché le persone intorno a noi siano diverse sottintende da parte del richiedente il non essere disposti a fare ciò che si chiede agli altri di fare.

Si finisce col fare ciò che non si vuole che l’altro faccia.

Dando il buon esempio per primi, invece, è spesso più semplice migliorare le situazioni.

Partire da se stessi per arrivare agli altri è una strategia più percorribile e realista rispetto all’ancorarsi immobili sulle proprie posizioni chiedendo a chi ci è vicino di fare l’opposto di quanto noi facciamo.

Il discorso è valido anche da un punto di vista più generale, riferito ai processi di cambiamento della società.

Spesso le persone si lamentano per ciò che non piace senza però fare nulla in prima persona per cambiare la situazione.

Il mondo sta andando a rotoli, l’inquinamento ci nausea, le persone sono troppo frenetiche e nervose. Sicuramente sono tutte affermazioni condivisibili, ma per potere cambiare le cose occorre cominciare a lavorare su se stessi nel proprio piccolo. Non basta dire che l’aria della nostra città sia inquinata, ma occorre cominciare ad usare i mezzi pubblici, comprare auto a metano, fare la raccolta differenziata, attivarsi per il risparmio energetico.

Per arrivare a 3 miliardi occorre partire da uno, così come ogni viaggio di mille miglia inizia da un passo.

Dire che le cose non vanno bene e fermarsi a questo è un modo di delegare il problema: riconoscerlo senza entrare nel merito della sua risoluzione.

La gente è nervosa: forse se noi per primi cominciassimo a sorridere di più per strada raccoglieremmo più serenità distribuendola contemporaneamente.

La società è frenetica: ma da qualche parte dobbiamo cominciare a cambiare le cose.

Se prendessimo in prima persona la vita con calma e con un po’ di “pigrizia positiva” creeremmo spazi necessari per essere meno frenetici noi stessi.

Solo in questo modo comincerebbe a crearsi la pre-condizione fondamentale per cambiare le cose.

E’ tempo di Coaching!

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Commenti

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