Politica: A che gioco giochiamo? Il sabotaggio dei partiti mette a dura prova la pazienza di Mario Draghi…

Il Presidente del Consiglio questa volta non s’è tenuto e ha mostrato di essere seccato dall’atteggiamento ambiguo di alcuni membri della maggioranza, che approvano le leggi in Consiglio dei Ministri e poi le modificano in Aula, con l’obiettivo di indebolire proprio il Premier. Una tendenza pericolosa, anche alla luce delle tensioni internazionali. È un richiamo all’ordine non inaspettato. “Il tana libera tutti”… che ha provocato l’altra notte ben quattro sconfitte parlamentari in commissione (sul decreto Milleproroghe, tradizionale teatro di scorribande di tutti i tipi) ha allarmato Mario Draghi che non essendo un politicante che deve stare al palazzo Chigi per forza o per smanie di potere è uno che fa presto a cantarle chiare ai partiti della maggioranza: «Garantire i voti in Parlamento o non si va avanti». Quello che è successo in Parlamento (quattro sconfitte non sono poche) non è stato un fulmine a ciel sereno: da qualche settimana, erano stati troppi gli annunci di battaglie parlamentari per “migliorare” (cioè colpire) provvedimenti varati dal governo. Nell’affaire Milleproroghe che ha mandato più volte sotto l’esecutivo alla Camera.  pur considerandola una vicenda marginale — dettata peraltro da un cortocircuito tra il ministro per i Rapporti con il Parlamento e i deputati — è tuttavia indicativa dello stato dei rapporti tra le forze di maggioranza e il Premier. E premonitrice di quanto potrà accadere nel prossimo futuro…  c’e chi nel Palazzo non nutre dubbi sul fatto che si possa verificare un incidente politicamente rilevante. E si arriva perfino a indicare la data dell’avvenimento: a giugno, dopo l’arrivo della seconda tranche del Pnrr. Draghi ovviamente ha compreso l’andazzo e la «strigliata» alle forze di maggioranza è stata una mossa preventiva per tentare di bloccare lo stillicidio. Per quanto la sua irritazione sull’accaduto fosse autentica, dovuta in particolare — racconta una personalità che gli ha parlato — al cambio di destinazione dei fondi per Taranto voluto da Pd e Iv. Ma è solo un dettaglio in un contesto complicato che il presidente del Consiglio ha sottolineato, accusando i capidelegazione di non essere «in grado di garantire il rapporto tra il governo e i partiti». Perché non c’è dubbio che nel mirino ci sia Draghi, che le forze politiche nei loro conciliaboli definiscono indebolito dopo la corsa per il Colle. Divergono semmai le tesi sull’obiettivo che l’incidente dovrebbe provocare: alcuni sostengono che l’occasione servirebbe a rinnovare l’esecutivo dopo la rottura definitiva tra Salvini e Meloni; i più ipotizzano invece che l’evento avrebbe come obiettivo le elezioni anticipate in autunno. Resta da capire chi ne trarrebbe veramente vantaggio. Il racconto ufficiale dice che in particolare, Draghi si è molto irritato per l’emendamento che innalza da 1.000 a 2.000 euro l’uso del contante approvato contro il parere del governo da Forza Italia che lo ha votato insieme a Lega e Fratelli d’Italia. Un tentativo di rimpattamento dell’area di centrodestra? Ma nella realtà è un’aria generale quello che impensierisce il Presidente del Consiglio, un clima di ambiguità con ministri di un partito che votano in un modo in Consiglio dei ministri e i parlamentari di quello stesso partito che votano in un altro alle Camere, uno sfilacciamento che evidenzia discrepanze tra partiti e gruppi parlamentari, un andazzo da fine legislatura quando alla fine della legislatura manca più di un anno e nel bel mezzo di tre emergenze serissime: economica, sanitaria e adesso anche internazionale. Proprio mentre, a questo proposito, Draghi entra nella complicatissima partita ucraina in un momento chiave – né pace né guerra, si sarebbe detto una volta – dopo un duplice approccio da parte europea prima con il presidente francese Emmanuel Macron e poi con il cancelliere tedesco Olaf Sholz, i quali hanno tenuta aperta la strada del dialogo senza però pervenire, per colpa della doppiezza di Putin, ad un risultato decisivo. Draghi, che volerà a Mosca, spera di cogliere un obiettivo forse decisivo, portare allo stesso tavolo Putin e Zelensky. E mentre l’Italia assume questo ruolo a livello internazionale, a Roma alcuni partiti della maggioranza si divertono. Ecco perché il Premier, che ne aveva parlato in precedenza con Sergio Mattarella, ha lanciato un aut aut: o vi date una regolata o si va a casa. Non vuole avere brutte sorprese, Draghi, sul prossimo dossier da aprire, quello del contrasto al caro-bollette, una questione che cittadini e imprese ormai avvertono drammaticamente e sulla quale il presidente del Consiglio prepara un intervento di svariati miliardi, sei o sette. Difficile capire come reagiranno i partiti dinanzi ad un vero e proprio ultimatum. Nessuno può assumersi la responsabilità di mandare il governo gambe all’aria, tantomeno un Matteo Salvini sempre più in difficoltà anche all’interno del suo partito. Ma certo i diktat non bastano. Lo sa bene anche Draghi. Occorre una iniziativa politica soprattutto da parte dei Partiti che sostengono con più forte convinzione questo esecutivo, Pd e Italia viva. In altri tempi ci sarebbe stata la richiesta di un chiarimento politico, soprattutto rivolto a Lega e M5s, i punti molli della maggioranza. Lo sappiamo, lo abbiamo compreso subito, anche prima delle elezioni del Capo dello Stato, finito nel bis di Mattarella:  esiste un fragile equilibrio tra il protagonismo di Draghi e l’insofferenza dei Partiti, ma se questi vogliono arrivare alla fine della legislatura, Lega e Movimento 5 stelle devono sintonizzarsi con la velocità del presidente del Consiglio, che però a sua volta (che si è dichiarato disponibile a farlo) deve persuaderli senza sfidarli. O il rischio è che il Parlamento affosserà qualsiasi tentativo di riforma con il risultato di affossare il Pnrr.  Quello che è certo a questo punto è che Draghi non consentirà altri strappi… e alla fine se ognuno farà quello che vuole poi ne risponderà al Paese…

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