Politica: Anni d’odio. La memoria selettiva di Fratelli d’Italia e l’ambiguo disagio sul 25 aprile. Fino alla Retorica nera col complottismo suprematista dei meloniani e la sostituzione etica della destra…

Il senatore Verini del Pd ha ricordato solennemente l’orrendo rogo di Primavalle, durante il quale tre estremisti di Potere operaio bruciarono vivi due figli di un militante Msi. Questo dimostra che la sinistra ha fatto i conti col passato, mentre i sovranisti al governo faticano a ricordare con imparzialità le vittime causate dall’estrema destra. Un atteggiamento immaturo che rischia di rovinare la Festa della Liberazione… Il 16 aprile, sono ricorsi i cinquant’anni di un episodio tra i più schifosi degli anni di piombo, l’omicidio dei fratelli Mattei a Primavalle (allora era una borgata di Roma), bruciati vivi nella loro casa per mano di tre militanti di Potere Operaio fattesi assassini. I fatti vanno ricordati nella loro crudezza. C’è una famosa, terrificante, fotografia che ritrae una figura carbonizzata affacciata a una finestra, una statua lugubre, quello era Virgilio Mattei, di ventidue anni, che insieme al fratello Stefano, di otto, morì bruciato vivo aggrappato al davanzale della sua casa al terzo piano, scala D, nel complesso di edifici popolari di via Bernardo da Bibbiena 33, Primavalle, Roma. I tre di Potere Operaio avevano gettato sotto la porta della benzina con un primordiale innesco, poi dissero che volevano solo spaventarli, qualcosa non funzionò, scapparono come ladri quando divampò l’incendio mentre i due Mattei cercavano aria dalla finestra via via prendendo fuoco, la gente accorsa per strada – era notte fonda – gli strillava di buttarsi, ma era troppo tardi per sfuggire a una morte assurda e spaventosa. La loro “colpa” era quella di essere figli di Mario Mattei, segretario della sezione “Giarabub” del Movimento sociale italiano a Primavalle, anche Virgilio era militante del Msi. Gli altri figli si salvarono. Gli assassini si chiamavano Achille Lollo, Marino Clavo e Manlio Grillo, il primo è morto due anni fa, gli altri scapparono facendola franca. Storie di mezzo secolo fa. Gli estremisti di “Potop” per molto tempo inventarono la storia di una faida tra “fascisti”: non era vero ma la dice lunga su quegli ambienti. E siamo qui nell’Italia del 2023 – eravamo piccoli, siamo diventati anziani – a parlare di queste cose. Come se negli anni Cinquanta si fosse ancora discusso su Bava Beccaris o dell’attentato di Sarajevo. E però ha fatto bene il senatore del Pd Walter Verini a parlarne nell’aula di palazzo Madama davanti al presidente del Senato Ignazio La Russa, colui che ha spacciato, salvo poi scusarsi dinanzi all’indignazione generale, i nazisti di via Rasella per una banda musicale di pensionati. Verini ha rievocato quel misfatto degli «anni dell’odio che non devono più tornare» e ha richiamato la necessità di una memoria unitaria, raccogliendo alla fine il plauso di tutta l’aula e persino parole di apprezzamento da parte di La Russa. Ma il punto è proprio questo. Mentre la sinistra, non senza una lunga e faticosa revisione ideologica e storica, ha infine riconnesso memoria e verità, scarnificato ogni residuo scheletro e debellato ogni orpello minimizzatore, la destra (quella destra che viene dalla vicenda del neofascismo) non appare ancora in grado di affondare il bisturi della verità nella carne viva della sua storia, come se ogni volta una mano invisibile l’afferrasse per il bavero bloccandone il cammino verso una più piena maturità democratica. Non c’è doppiezza, a sinistra, su quegli anni. Peraltro la tragedia di Primavalle fu subito condannata dal Partito Comunista e come avrebbe potuto essere diversamente davanti a quell’orrore, gli assassini erano militanti di quell’estremismo che fu progenitore del terrorismo rosso, e sono ormai passati tanti anni da quando l’allora sindaco di Roma Walter Veltroni ospitò sullo stesso palco, facendoli abbracciare, Giampaolo Mattei, fratello delle due vittime, e la madre di Valerio Verbano, il ragazzo di estrema sinistra ucciso nel 1980 davanti ai genitori. La questione è che tuttora i Fratelli d’Italia citano solo i “loro” morti e non gli altri, dimostrando forse senza nemmeno rendersene conto di restare pienamente dentro la logica degli anni dell’odio e non comprendendo che i morti sono morti di tutti: ed è esattamente questo incredibile inciampo che gli impedisce di riconoscere la grandezza del 25 aprile, data di nascita della democrazia italiana che altro non è che il terreno comune sul quale far coincidere memoria e verità come puntelli della libertà di tutti e di ciascuno. Ecco perché, a pochi giorni dalle celebrazioni della Liberazione, alle quali non è dato sapere se e come i capi di Fratelli d’Italia, i ministri, la presidente del Consiglio prenderanno parte, la destra sta commettendo il suo errore forse più grave, quello appunto di mostrarsi malferma nell’incedere tra memoria e verità. Come se il tempo si fosse fermato dinanzi alle fiamme di quella lugubre notte di Primavalle… E veniamo a ieri. E’ già da qualche giorno che ministri, sottosegretari e parlamentari della maggioranza non fanno altro che parlare di lotta alla droga, all’immigrazione e addirittura al comunismo. Una fuffa ideologica che oscura mediaticamente i moderati della coalizione. Se n’è rimasto ancora qualcuno. C’è da chiedersi, di fronte alla valanga nera che pare non fermarsi un giorno, dove siano i famosi moderati del centrodestra, gente tipo Maurizio Lupi, Giorgio Mulè, Gianfranco Rotondi, lo stesso Guido Crosetto (e per quel che gli compete, Carlo Nordio), cosa pensano tutti questi della strategia che i nuovi governanti del Paese, ritenendo di esserne i padroni, hanno in animo di sviluppare sino alle Europee in un crescendo di avvertimenti, rivalse, mistificazioni. Nessuno di questi che si interroghi sul fatto che il centrodestra è morto e sotterrato. Proprio in questi giorni si stanno celebrando i suoi funerali perché proprio in questi giorni è scattata la mobilitazione generale di ministri, sottosegretari, parlamentari – e naturalmente della leader di Fratelli d’Italia provvisoriamente anche presidente del Consiglio. Tutti a suonare una grancassa che non è solo politica in senso stretto ma anche e soprattutto culturale, meglio: ideologica, una musica ritmata da rumorosi allarmi. Contro la sostituzione etnica, contro la droga, più sullo sfondo ancora! Contro il comunismo e quant’altro la retorica nera riesce a raggranellare nella sua scarsella del risentimento. Ieri è toccato al potente ministro dell’agricoltura Francesco Lollobrigida tuonare contro il pericolo della sostituzione etnica, un lugubre classico dell’ideologia fascista e postfascista che scaturisce dal mai sopito incubo per un inverosimile complotto in base al quale il fenomeno dell’immigrazione sarebbe pianificato da chissà quale entità per creare una sorta di gregge multietnico in sostituzione delle popolazioni residenti in Europa. Per il grintoso ministro dell’Agricoltura, da mesi impegnato a difendere l’italianità di qualunque cosa, vicino dunque a una vera e propria ossessione autarchico-nazionalistica (peraltro condivisa con Meloni o per altro verso con il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano e Fabio Rampelli sulla questione della lingua), «vanno incentivate le nascite, va costruito un welfare per consentire di lavorare a chiunque e avere una famiglia. Non possiamo arrenderci al tema della sostituzione etnica», e si lambisce qui la fobia per qualche mister X di rango pluto-giudaico-massonico, identica a quella di Matteo Salvini che gridava all’Italia sotto attacco per via degli sbarchi di centinaia di disperati sulle nostre coste. Non siamo nemmeno lontanissimi delle teorie antisemite, della corruzione del sangue, la spettrale base ideologica del nazismo, e con questo non si vuole certo dire che l’Italia è governata da hitleriani e però qualche brivido dinanzi a certe espressioni viene spontaneo. A sua volta la cognata del ministro, cioè la presidente del Consiglio, ieri ha usato un concetto solo un pochino diverso quando inaugurando il Salone del mobile a Milano ha spiegato che per risolvere il problema della scarsezza di manodopera serve appunto una politica per la natalità e poi far lavorare le donne più che gli immigrati. Esattamente il contrario di quanto sostengono, non Elly Schlein, ma Confindustria e Bankitalia, gli immigrati sono decisivi per la nostra economia, altro che. Ma Meloni preferisce la supremazia dei nostri, degli italiani, hai visto mai. “Meno migranti, più figli, più occupazione femminile e no alla sostituzione etnica”. Meloni-Lollobrigida dichiarazioni shock. Le teorie complottiste fanno parte dell’armamentario ideologico della destra europea (vedi Viktor Orbán) e da noi sono recentemente penetrate a livello politico soprattutto per colpa della Lega: ne parlò il Governatore della Lombardia Attilio Fontana (si scusò poi per aver adoperato l’espressione «razza bianca») e lo stesso Salvini, oltre a un po’ di gente del circo mediatico, da Diego Fusaro a Claudio Messora. Finché restiamo ai bassifondi del dibattito pubblico passi ma è chiaro che quando la bandiera della sostituzione etnica viene presa tra le mani del partito di maggioranza relativa che esprime la presidente del Consiglio che poi va col finto sorriso sulle labbra ai quattro angoli del mondo, beh, questo divenga un problema politico enorme. E ancora una volta, nelle stesse ore del vaneggiamento del ministro-cognato, Sergio Mattarella si è trovato, in quel di Auschwitz, a dover ricordare le responsabilità catastrofiche del fascismo italiano, non certo immune, anzi, dal più puro razzismo. Perché nei discorsi di Fratelli d’Italia i fantasmi nazionalisti scolorano in fretta verso il razzismo contenuto nell’avversione per gli altri e nella paura che qualcuno voglia sostituire noi con gli immigrati. Allora ecco il giro di vite sulla protezione speciale, simbolo del ritorno al salvinismo in salsa meloniana contro il quale le opposizioni stanno facendo il possibile malgrado la tirannia dei numeri parlamentari. Ed ecco per altro verso ma in splendida sintonia spuntare senza un minimo di decoro l’ex sottosegretaria Augusta Montaruli, sempre FdI, già condannata per peculato per rimborsi folli di spese assurde, tra le quali un libro porno, proporre pene più dure per chi consuma droghe leggere (fino a cinque anni). Niente di cui aver paura, solo che sono segnali, avvertimenti, voglia di usare le maniere forti, come il decreto sui rave, la proposta sul divieto di usare parole straniere, le mistificazioni su via Rasella, è tutta una fuffa nera che oscura totalmente i cosiddetti moderati e rende più buia la scena politica e la vita nazionale…

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