Politica: “apprendisti stregoni e cattivi maestri” a Sinistra e a Destra. Dieci anni di confusione totale e altri 20 d’ “indifferentismo politico”. Una parte dei “grillini” scopre solo ora l’orrore del populismo…

Se dovessi dire i nomi  che storicamente hanno fatto di più, tra la fine degli anni Novanta e i primissimi anni del Duemila, per spingere il giornalismo, la cultura e i partiti della sinistra italiana sulle posizioni oggi rappresentate dal Fatto quotidiano e dal Movimento 5 stelle, direi senza dubbio che sono stati Paolo Flores d’Arcais e Furio Colombo. Il primo, come direttore di Micromega, fece del suo “almanacco di filosofia” la tribuna di tutti i pubblici ministeri di maggior grido e il megafono di tutti i movimenti della «società civile» che contestavano i partiti della sinistra da posizioni proto-grilline, in particolare al tempo dei cosiddetti girotondi. Il secondo, come direttore dell’Unità, con Antonio Padellaro al fianco come condirettore (e successore), fece altrettanto sul giornale fondato da Antonio Gramsci, affrontando per questo non poche polemiche con i dirigenti e anche con qualche militante del partito di riferimento (i Democratici di sinistra), forte dei notevolissimi e innegabili risultati ottenuti in termini di copie vendute… Tra le scelte indimenticabili di quella stagione va ricordata anche quella di assegnare una rubrica fissa, sull’Unità, a Marco Travaglio. Alla fine il risultato fu quello di alimentare quello che già Calamandrei uno dei padri della nostra Costituzione definì in un suo discorso l’ “indifferentismo  alla politica” che caratterizza questi ultimi 20 anni, in cui  i partiti hanno perduto la propria intrinseca necessità, oltre che l’idealità e la progettualità. Nella rubrica ‘La Camicia Rossa’ sul  Blog dell’Espresso scrive Leonardo Cecchi: “La sinistra, diventando liberale, adattandovi  gli stessi concetti di eguaglianza e equità, ha lasciato le masse al populismo. E oggi ne paga il prezzo”. Sulla perdita, da parte della sinistra italiana, della bussola ideologica; sul suo essere divenuta, in ormai quasi trent’anni di trasformazione, da solido riferimento politico con idee ed obiettivi tutto sommato chiari, a duttile e fragile spugna pronta ad assorbire, con insicura impazienza patologica, qualunque visione e pensiero potesse anche solo vagamente assomigliare alle battaglie di un tempo, tramontate a seguito dello scossone ideologico prodotto dalla caduta del Muro di Berlino e conseguentemente dell’URSS. Confesso dunque di aver letto con sentimenti contrastanti l’accorata intervista di Colombo a Flores, su Micromega, in cui racconta la sua decisione di lasciare il Fatto quotidiano, vale a dire il giornale fondato da Padellaro con Travaglio e con lo stesso Colombo, come fosse una costola della loro Unità, una sorta di scissione politico-giornalistica, perfettamente coerente con le loro passate battaglie. Prima di proseguire, a beneficio dei lettori più giovani o smemorati, è forse utile ricordare che una delle questioni maggiormente divisive, come si direbbe oggi, tra partito e giornale, era rappresentata allora dalla dura campagna condotta da Colombo per affermare l’importanza di definire il governo Berlusconi del 2001 un vero e proprio «regime», paragonandolo esplicitamente al regime fascista, e accusando tutti quei dirigenti dei Ds e del centrosinistra che non ritenevano né giusto né conveniente prendere una simile posizione di essere sostanzialmente traditori e quinte colonne del nuovo fascismo arrembante, o poco meno (spesso anche qualcosa di più). Le posizioni di Flores e Micromega erano su questo, e su molte altre cose, largamente coincidenti con quelle dell’Unità di Colombo, come lo erano le firme dei principali collaboratori, a cominciare ovviamente da Travaglio. Fa dunque un certo effetto vedere oggi i due principali artefici di questo movimento politico e culturale, culminato prima nella fondazione del Fatto quotidiano (con tutta la galassia editoriale connessa) e poi nel Movimento 5 stelle, ritrovarsi all’opposizione delle loro creature, dopo essere entrambi inorriditi dinanzi alle prese di posizione assunte da tanti loro amici e compagni di strada della gauche grillina sulla guerra di Putin. Flores infatti si è giocato subito il rapporto con qualcuno dei suoi collaboratori scagliandosi contro le dichiarazioni del presidente dell’Anpi, Gianfranco Pagliarulo, e in particolare contro il comunicato dell’associazione sul massacro di Bucha, definendolo giustamente «osceno», in un articolo carico di sacrosanta indignazione contro il «ponziopilatismo» di chi mette sullo stesso piano, sotto l’etichetta del «furore bellicistico», aggressori e aggrediti. Colombo non ha esitato a polemizzare direttamente col suo giornale, il Fatto, per lo spazio e l’accoglienza dati ad Alessandro Orsini e alle sue singolari tesi strategiche e storiografiche, ma anche per analoghe uscite di altre più antiche firme del giornale, come Massimo Fini, che sul Fatto ha scritto un articolo sulla correttezza del comportamento delle SS in Italia. Scive Fini: “Gli occupanti in Italia non erano i tedeschi, ma gli Alleati. E l’esercito tedesco, a parte alcune azioni efferate, Marzabotto e Sant’Anna di Stazzema in testa, in Italia si comportò con correttezza”. Posizioni che hanno suscitato qualche protesta anche da parte di un altro recente acquisto del giornale come Gad Lerner. Francamente, trovo sorprendente la loro sorpresa. Per quale ragione al mondo il giornale che da oltre un decennio tratta Beppe Grillo come un ‘visionario’ leader politico, appoggiando senza riserve il Movimento che ha sdoganato in Italia, la paccottiglia no vax, la caccia alle scie chimiche e la propaganda russa sull’annessione della Crimea, dovrebbe ora censurare le teorie di un Orsini? È comunque degno di nota anche il modo in cui il Fatto ha aperto il dibattito al contributo dei lettori, con titoli surreali quali «Colombo sbaglia, ma resti» (lunedì 16 maggio), ma soprattutto con contributi come quello pubblicato ieri in cui l’affezionato Luca Menichetti scrive: «(…) Colombo avrebbe potuto esprimere tutte le sue perplessità senza quei toni ultimativi. Toni che lo fanno assomigliare a un qualsiasi editorialista di post su Blog online. Io, invece, sono d’accordo con il lettore del Fatto quotidiano, che come ha scritto anche Giuliano Ferrara, sul Foglio, rivolgendosi direttamente a Lerner e Colombo: «Continuate a collaborare tranquilli». Intendiamoci, ciascuno ha diritto di ricredersi sulle battaglie combattute in passato e sui propri compagni di strada. Quello che però non si può sostenere è che siano tutti gli altri ad avere improvvisamente fatto inversione e a essere finiti contromano. Vale la regola della barzelletta: “Un tizio sta guidando la macchina in autostrada, tranquillo. Accende la radio per passare il tempo… Ad un certo punto si interrompe bruscamente la musica e sente una voce: ATTENZIONE ATTENZIONE! C’È UN MATTO CHE GUIDA CONTROMANO IN AUTOSTRADA!!! Perplesso e confuso, l’uomo guarda la strada ed esclama allarmato: UN MATTO!?!??! QUI SONO TUTTI MATTI!!!!”  Evidentemente, è il momento di fare una sosta e riflettere, riflettere, riflettere… A Destra fu negli ultimi mesi del 1950 che Julius Evola – dopo il congresso del Movimento Sociale Italiano,  – in un successivo incontro con i giovani missini a parlare d’ “indifferentismo politico”. Il filosofo romano di fronte alla disgregazione politica del secondo dopo guerra scrisse una vera e propria ‘esortazione’ alla gioventù missina chiamandola all’impegno politico e dandogli un valore universale, visto che l’ “indifferentismo politico (soprattutto da parte dei giovani) è un vizio di vecchia data. A destra oggi l’assillo è: “vado o non vado?” Meloni e Salvini, invitati alla Convention conservatrice Cpac a Budapest con Orban, mantengono un basso profilo. L’istantanea tra Carlson, Farage e Abascal non è il massimo. E il nodo russo-ucraino si conferma pieno di spine per la destra italiana… Un vero dilemma morettiano ha attanagliato in questi giorni Matteo Salvini e Giorgia Meloni. Anch’essi ostaggi di qualche  lustro di confusione e generale indifferenza alla politica di molti italiani… A Budapest, c’è l’edizione europea del Cpac (Conservative political action conference), la più importante kermesse dei conservatori americani traslocata per l’occasione nella capitale ungherese. Officia la messa Viktor Orban, partecipa un nutrito drappello di sovranisti di qui e di là, dal Brexiteer Nigel Farage al leader di Vox Santiago Abascal, da Eduardo Bolsonaro (figlio del più celebre Jair) fino a volti noti dei Repubblicani Usa come Mike Waltz e l’ex Capo di gabinetto di Donald Trump Mark Meadows. Non proprio lo star-system del mondo conservatore transatlantico. Se infatti il Cpac, nella sua versione originale, quella che ogni anno si tiene a Orlando, in Florida, riunisce puntualmente il gotha dei repubblicani e conservatori d’oltreoceano, da Trump a Mitch McConnell, lo stesso non si può dire di questa edizione 2.0. Tra gli invitati, sulla carta, ci sono anche i due leader della destra italiana: Salvini per la Lega e Meloni per Fratelli d’Italia. Fra gli speaker confermati però il loro nome non appare. La Meloni invierà un video-messaggio, fanno sapere dall’organizzazione, e un europarlamentare, Vincenzo Sofo, passato nei ranghi di Fdi dopo aver abbandonato la Lega a Bruxelles un anno fa. Di Salvini invece nessuna traccia. Ci saranno per lui Lorenzo Fontana, vicesegretario del Carroccio e responsabile degli Esteri, e in sala l’ex sottosegretario alla Farnesina Guglielmo Picchi. Insomma, se l’invito ufficiale è stato recapitato, non c’è esattamente una gara a partecipare tra i due leader di partito, reduci da un inutile “aperitivo di coalizione” con Silvio Berlusconi, nel tentativo di ricucire il centrodestra dopo i mesi di gelo seguiti alla partita del Quirinale. Non è difficile immaginare perché. Presentarsi tirati a lucido a Budapest in questo momento, mentre Orban si erge a capofila del fronte filorusso in Europa e blocca le sanzioni sul petrolio di Mosca, non è il massimo per l’immagine. Tanto più se, a guerra in corso, il Cpac ungherese raduna il meglio del partito putiniano in Europa e in America. Attesissimo, tra gli altri, l’intervento in collegamento di Tucker Carlson, l’anchorman di Fox News che conta milioni di fan e che sulla tv di Stato russa è diventato un vero eroe per il suo sostegno gridato all’“operazione speciale” di Vladimir Putin in Ucraina e gli strali contro l’invio di armi a Kiev. È una creatura strana, questo Cpac in salsa sovranista, e forse per questo la Meloni ha evitato all’ultimo di prendere un aereo. La leader di Fdi è ormai un ospite abituale della kermesse a Orlando, organizzata dalla influente American conservative union, per due edizioni di fila ha perfino parlato in perfetto inglese dal palco, a pochi minuti da Trump. In questi anni ha fatto della connection con l’Elefantino un vanto. In Ue Meloni presiede il partito dei conservatori, la Lega, con Marco Zanni, il gruppo sovranista di Identità e Democrazia dove milita tra gli altri il Rassemblement National di Marine Le Pen. Due cuori e due capanne: tramontata ormai definitivamente l’idea di un super gruppo europeo, le due famiglie politiche seguono le stesse rette parallele che in Italia rendono distanti, se non incompatibili, i modelli di Lega e FdI. Il bassissimo profilo mantenuto dai due partiti sulla kermesse di Budapest dimostra che per entrambi il nodo russo, destinato a venir fuori nella due giorni di dibattiti, è pieno zeppo di spine. Per Orban è invece un’occasione d’oro per strizzare un occhio ai conservatori americani. Non a caso lunedì ha tenuto un roboante discorso pubblico sull’immigrazione e la teoria del “grande rimpiazzo” che Joe Biden in un recente comizio a Buffalo ha definito “una ideologia perversa”. Anche per il premier magiaro però sarà meglio non danzare troppo sui cocci della guerra russa. Se gli ospiti repubblicani a Budapest sono tutti inclini alla causa del Cremlino, la stragrande maggioranza del Partito repubblicano è schierata con i democratici a favore della resistenza ucraina e pronto a inviare con la legge “Land-Lease” 40 miliardi di forniture umanitarie e militari a Volodymyr Zelensky… Come possiamo constatare veniamo da un decennio di “grande confusione sotto il cielo…” della nostra politica che da 20 anni è diventata indifferente alla politica stessa e dove: i tanti “apprendisti stregoni e cattivi maestri” a Sinistra come a Destra, scoprono solo ora l’orrore del populismo che cerca il potere senza responsabilità…

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