Politica: Calenda e Renzi, dalle polemiche a colpi di Tweet alla nascita del “terzo polo”. Molto di più di un semplice patto politico per affrontare le elezioni…

Davvero è nato il primo Centro “puro” degli ultimi 30 anni? La coalizione Renzi-Calenda sarebbe la prima dalla caduta della Dc a non doversi occupare delle ali alla loro sinistra e destra. Ma attenzione a Giorgia Meloni, i cui potenziali elettori la percepiscono altrettanto se non più centrista dei suoi alleati… Si continua a sostenere che l’Italia è un Paese di “Centro”, il consenso popolare per governare è là, nonostante il sistema politico sia bipolare. Lo si motiva con il fatto che l’Italia è un Paese di vecchi, che non vogliono perdere i piccoli o tanti benefici acquisiti, e vogliono conservare, non fare rivoluzioni, di destra o sinistra. E che anche i giovani sono legati mani e piedi a questo sistema per vecchi. Spesso vivono grazie alla casa, alla pensione, allo stipendio di mamma e papà. Gli unici giovani che vorrebbero cambiare le cose sono gli immigrati, ma quelli in genere non votano. Su questo centro, da destra o sinistra, si sono svolti due decenni di duelli tra Pd e Forza Italia. Romano Prodi, o Massimo D’Alema, o Matteo Renzi, nessuno di loro indossava panni radicali, né era radicale Silvio Berlusconi, artatamente in doppio petto, fisico e mentale. Verso questo Centro correvano anche i pentastellati, ufficialmente vaffa-estremisti, ma che poi si mettevano in prima fila, in giacca e cravatta, Luigi Di Maio o Giuseppe Conte. Ma proprio al centro-centro, fino alla scoperta del terzo polo di Matteo Renzi non c’era nessuno. Il motivo dell’assenza era sostanziale. La caduta del muro e la fine del sistema DC avevano tolto i veti alla Sinistra e alla Destra, a Pci e Msi; quindi, il comportamento politico aveva interesse ad essere doppio. Da una parte bisogna conquistare il Centro, dall’altra raccogliere i voti alla propria destra o propria sinistra. I voti estremi erano in ogni conto marginali, ma perderli avrebbe potuto concedere un vantaggio di misura all’avversario. Il sabotaggio del governo di Mario Draghi, con le sue politiche economiche e la sua posizione internazionale, da parte di Conte però ha reintrodotto un veto, almeno da parte di alcuni. Alcuni partiti, a cominciare da Italia Viva di Matteo Renzi, pensano che gli M5S, traditori di Draghi, siano intoccabili, i loro voti devono essere congelati. Naturalmente, come sempre nella politica odierna italiana, tale veto di principio ha una utilità tattica, non strategica. Serve a mettere in difficoltà il Pd che con la presa di posizione di Renzi è con le spalle al muro. Se fa un accordo tattico con M5S, perde i suoi voti di centro, a favore di Draghi e contro Conte. Se non lo fa rischia di perdere in malo modo. Così, come avevamo notato, un accordo intorno a Pd e Carlo Calenda che in un primo momento sembrava avrebbe schiacciato ed eliminato Renzi, si è trasformato in un boomerang per i suoi avversari di sinistra. Evidentemente, in queste condizioni, vedendo una vittoria politica al centro con Renzi, Calenda ha cambiato cavallo, sostenendo che non voleva accordarsi con la sinistra radicale anti Draghi, anche se non è M5S. Vere o false che siano le ragioni di Calenda, poco importa. Importa invece la creazione di uno spazio al centro che non si cura per la prima volta da oltre 30 anni della propria ala estrema. Renzi appare l’uomo con l’intelligenza politica del vedere la situazione. Calenda sembra l’uomo che corre prima di qua, verso il Pd, poi di là, verso Italia viva, a seconda di quella che percepisce sia la convenienza del momento. Il segretario del Pd Enrico Letta invece è rimasto con il cerino in mano perché, diversamente da Prodi nei decenni passati, non è riuscito a raccogliere un consenso alla sua destra e alla sua sinistra, e ha sottovalutato le mosse di Renzi. Un movimento analogo pare essere in corso anche a Destra, dove pure l’alleanza sembra tenere. Nonostante Fratelli d’ Italia di Giorgia Meloni sia ufficialmente all’estrema destra secondo un sondaggio molti elettori sono indecisi tra lei o Renzi. Cioè FdI viene percepito più centrista dei suoi alleati di centrodestra. Questo elemento forse è fondamentale perché anche Lega e FI, alleati di FdI, hanno fatto cadere Draghi e hanno avuto posizioni quantomeno ambigue con la guerra in Ucraina. FdI era all’opposizione e non ha fatto cadere il governo, e sulla guerra ha avuto posizioni non ambigue. Ciò detto poi si tratta di trasformare la posizione tattica in voti, e qui vale sempre la regola centrista: non alzare i toni, rimanere moderati, perché ci sono anche estremisti di centro. La Meloni su questo finora non sta sbagliando. Fa quello che deve fare, tiene un profilo basso, non si agita né cede alle provocazioni. Più incertezze ci sono su Renzi. Riuscirà a togliersi un po’ di quell’aria di guappo antipatico che gli ha fatto tanto male in passato? Quell’aria è estremista, e non c’entra con il centro che lui vuole. E Calenda saprà resistere a se stesso e non essere altrettanto antipatico e soprattutto ondivago? Entrambi, oggi, sono al centro dello spazio mediatico e, al contempo, provano a diventare sgomitando il centro politico di un possibile terzo polo. Una missione difficile, ma di certo non impossibile. Intanto, è innegabile che un primo risultato l’hanno portato a casa: modificare la polarizzazione elettorale. A Matteo Renzi e Carlo Calenda possono essere addebitati difetti e responsabilità varie, però un merito gli va riconosciuto: nessuno come loro sta animando questo scorcio agostano di campagna elettorale, portando gli italiani a discutere sotto l’ombrellone o in montagna di patti, tradimenti, accordi, marce indietro, passi in avanti. Eccoli, Matteo e Carlo, il primo, di due anni più giovane del secondo, ha già fatto, tra le altre cose, il sindaco della sua città, Firenze, e il presidente del Consiglio dei ministri. Il secondo ha accarezzato il sogno di diventare sindaco di Roma e per poco non l’ha realizzato, mentre a Palazzo Chigi ci ha messo piede solo grazie al primo che nel 2016 l’ha nominato ministro dello Sviluppo economico. Entrambi, a quanto pare, hanno un carattere fortemente volitivo ma altrettanto ambizioso, doti che si legano perfettamente in una miscela già di per sé frizzante a una discreta dose di cinismo, attitudine necessaria per non restare imbrigliati nell’anonimato depressivo della politica italiana. Il primo è, per la vulgata dominante tanto bravo quanto antipatico e tracotante, il secondo; invece, è un meticoloso organizzatore che si presenta tanto supponente quanto maledettamene spregiudicato nel linguaggio social. Entrambi hanno trovato, Matteo prima di Carlo per dirla tutta e non far torto a nessuno, la loro dimensione più autentica twittando, molto spesso direttamente, ciò che gli frullava per la testa. Senza filtri, senza badare tanto al rispetto della grammatica politica e istituzionale e, soprattutto, senza bada vespaio delle polemiche che il loro post poteva generare. Anzi, il tweet è per i due leader l’innesco ideale di un “Butterfly effetto” voluto, cercato e ambito. Così l’account Twitter dell’ex segretario del Partito democratico negli anni è diventato per i giornalisti e le classi dirigenti politiche l’abbeveratoio per stanare le strategie renziane e, di converso, quello del leader di Azione, è assurto a confessionale digitale delle scorribande calendiane. Come detto, entrambi, oggi, sono al centro dello spazio mediatico e, al contempo, provano a diventare, sgomitando, il centro politico di un possibile terzo polo, una missione difficile quanto andare su Marte, ma non impossibile. Intanto, è innegabile che un primo risultato l’hanno portato a casa, cioè sono riusciti a narcotizzare in questa settimana quella polarizzazione elettorale – da molti definita come “cattiva, perché fatta di demonizzazione e delegittimazione”, che ruotava tutt’attorno all’equazione semplificata atlantisti, progressisti e riformisti contro fascisti, putiniani e razzisti. I numeri, perché in politica sono quelli che contano e fanno la differenza, ma non soltanto quelli delle urne perché la politica dovrebbe iniziare a guardare, senza enfatizzarli, anche ai dati, ci dicono che dalla caduta del governo Draghi, Matteo Renzi e Carlo Calenda non hanno lasciato sul campo follower e like. Dal 22 luglio al 9 agosto, i due leader hanno guadagnato su Twitter rispettivamente 6.900 Renzi e 16 mila nuovi follower Calenda, mentre, dall’inizio di luglio e fino al 19, giorno prima della rottura del patto di maggioranza delle forze che sostenevano l’esecutivo Draghi, l’incremento era stato di 1.400 per il leader di Italia Viva e di 4.000 quello di Azione. Quest’ultimo, in particolare, ha pubblicato una marea di tweet, addirittura 475 in totale con una media giornaliera di 25 post, che gli hanno fatto incassare complessivamente 307 mila reaction, a fronte delle 142 mila registrate nel periodo precedente. Al pari, anche Matteo Renzi, che di tweet nella prima parte di luglio ne aveva pubblicati 15, passa da 40 mila a 95 mila reaction totali, twtittando 51 volte, dal 22 luglio al 9 agosto. A questo punto, l’agognato Terzo polo lancerà il suo primo vagito con Matteo e Carlo che si ritrovano nuovamente sotto lo stesso tetto, evitando, se vorranno darsi qualche pizzicotto in più sulla pancia, quanto diceva anni fa Vincenzo De Luca, presidente della Regione Campania di due politici di centro-destra: “Sono come Cric e Croc, questi due giovanotti contano per quello che contano. Fare ammuina era l’obiettivo principale dei due personaggi che ho citato e cerco di non nominare, perché non portano bene”…

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