Politica: Centrodestra è uno schieramento veramente unito? Il ‘toto ministri’ è una manovra a tenaglia con cui Lega e Forza Italia tentano di depotenziare la leadership della Meloni…

Salvini chiede che i nomi dei ministri vengano fatti prima delle elezioni e per lui vuole il ministero dell’Interno e, soprattutto, la delega ai servizi segreti (cosa che preoccupa molto il resto dell’Occidente), mentre Tajani pensa di prendere la Farnesina. Tutte richieste finalizzate di fatto a depotenziare Fratelli d’Italia e condizionare le decisioni di Giorgia Meloni. Matteo Salvini è andato a Lampedusa, ma il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese gli ha fatto lo “scherzetto”, di svuotare l’hotspot traboccante di immigrati arrivati in questi ultimi giorni, prima che lui arrivasse sull’isola per suonare le trombe della propaganda leghista sull’immigrazione. È il tentativo di depotenziare la propaganda elettorale del leader leghista, che già ha rimesso la maglietta e il berretto della Polizia. Si sente di nuovo su quella poltrona che tanto successo elettorale gli ha portato durante il primo governo Conte. E vuole arrivarci con il vento in poppa, almeno (dice lui) raggiungendo un 20 per cento di voti, un risultato che non lo distanzi troppo da Fratelli d’Italia. Convinto che se azzecca la campagna elettorale (ultimamente non ne azzecca una) recupera i voti che sono andati a Giorgia Meloni e così può rimettere in discussione chi farà il premier. E allora Salvini fa la destra più destra, battendo come un fabbro forsennato sul tema fisco-flat tax al 15 per cento e immigrazione-ordine pubblico. Ma se fosse solo questo, si fa per dire, sarebbero noccioline. Salvini non vuole solo ritornare sul luogo del delitto sovranista. Vuole il controllo dei servizi segreti, vuole che a Palazzo Chigi ci sia un sottosegretario leghista doc con delega all’intelligence. Deve solo decidere chi tra due super fedelissimi metterci (gli ex sottosegretari al Viminale Stefano Candiani o Nicola Molteni). Il problemino non secondario è che la potenziale premier non gradisce una soluzione del genere. Già avere Salvini che impazza agli Interni, che prende iniziative a volte e spesso solitarie, che chiude i porti senza sentire gli altri ministri, che incrocia da solo le lame con l’Europa, come ha fatto sull’immigrazione nel suo primo tempo gialloverde, le fa venire l’orticaria. Certo, non è che Meloni sia una sostenitrice di Medici senza frontiere – ricordiamoci sempre che lei ha sempre proposto di schierare le navi della Marina di fronte alla Libia (il famoso blocco navale): c’è chi è curioso, di vedere se lo farebbe veramente una volta arrivata a Palazzo Chigi. L’idea del cosiddetto Malta 2 per distribuire migranti anche economici, e non solo chi chiede asilo politico, potrebbe essere uno strumento che spunta le lance dei sovranisti nostrani e delle altre latitudini. Sempre che Malta 2 si faccia e che gli amici di Salvini e Meloni non lo stoppino perché di immigrati non ne vogliono nemmeno uno. Sia mai che gli ungheresi si mescolino con altre “razze”! Torniamo al punto. Salvini al Viminale, con la gestione diretta delle informazioni top secret, avrebbe il sapore di un commissariamento della leader di Fratelli d’Italia. Qui il passaggio è molto delicato. Meloni dovrà accreditarsi in Europa, dovrà fare il giro delle sette chiese per farsi conoscere. Rassicurare che l’Italia non impazzisca, non si trasformi nell’Ungheria dell’amico Orbàn, o segua le orme polacche sull’uso strumentale del voto all’unanimità per far prevalere la norma nazionale su quella comunitaria. Ovvero l’Europa chiede patti chiari. Se Meloni vuole uscire dalla logica della demonizzazione reciproca, dia il buon esempio. Infatti, parlare di presidenzialismo dopo essersi fatti i selfie con Orbán è come parlare di pace dopo essersi fatti fotografare con la maglietta di Putin: poco credibile e ancor meno rassicurante. Non c’è bisogno di spiegare molto il perché abbia piuttosto sorpreso, in questi giorni, sentire evocare proprio da Enrico Letta il rischio che il centrodestra possa raggiungere i due terzi dei seggi e cambiare la Costituzione a suo piacimento, senza passare da un referendum. L’idea è sempre la solita: polarizzando il confronto, cioè dividendo in due l’elettorato e mobilitando la propria parte in uno scontro, o di qua o di là, anche il probabile sconfitto può immaginare di incassare comunque molto più di quanto avrebbe preso altrimenti, senza il ricatto del “voto utile” a prosciugare i potenziali concorrenti. Tutti possono dunque criticare questo modo di fare campagna elettorale, fondato su un misto di allarmismo e demonizzazione dell’avversario, tranne proprio Fratelli d’Italia, che fino all’ultimo hanno difeso a spada tratta tale sistema, e puntano anzi a imprimergli un’ulteriore torsione, mettendo nel loro programma elettorale la proposta di una riforma presidenzialista. Fa specie, pertanto, sentire Guido Crosetto, intervistato dal Corriere della Sera, sostenere che ci voglia «un patto» tra le forze politiche, per evitare demonizzazioni reciproche che danneggerebbero non Meloni, ma l’Italia. Principio sacrosanto, intendiamoci, che però non si concilia benissimo con le card in cui proprio Meloni, appena due mesi fa, accusava Letta di essere favorevole, testualmente, «all’abisso della morte» (tra le altre cose). Il «patto», spiega Crosetto, consisterebbe nell’impegnarsi a non fare una campagna elettorale a base di slogan come «l’Italia fallirà con Meloni» o «fallirà con Letta». Ma nessuno sostiene che l’Italia può fallire con Letta, per la semplice ragione che il Pd non si è mai sognato di prendere posizioni demagogiche e irresponsabili sulle questioni vitali da cui dipende la nostra permanenza nell’area euro e nell’Unione europea. O perlomeno, diciamolo meglio, non a livelli neanche lontanamente paragonabili a quelli raggiunti da Fratelli d’Italia, che non ha votato nemmeno per gli aiuti europei al nostro paese, centinaia di miliardi in prestiti e persino in aiuti a fondo perduto. Se dunque Fratelli d’Italia vuole davvero inaugurare un nuovo corso della politica italiana, cominci con il dare il buon esempio, e tolga dal tavolo la pistola della riforma presidenzialista. Perché anche qui, non basta dire, come fa Crosetto, che la riforma sarà fatta con il dialogo e il confronto, anche qualora il centrodestra avesse la maggioranza dei due terzi (ci mancherebbe che la facesse insultando pure l’opposizione). Il fatto è che la graduale rimozione di tutto il sistema di pesi e contrappesi della democrazia liberale, dopo averne conquistato democraticamente il controllo, è esattamente quello che ha fatto Viktor Orbán in Ungheria e che si propone di fare Donald Trump negli Stati Uniti, qualora riuscisse a tornare alla Casa Bianca. Se Meloni e Crosetto non vogliono sentire evocare quei nomi in campagna elettorale, sta a loro rassicurare tutti accantonando sin d’ora la riforma costituzionale (rinuncia da cui peraltro avrebbero solo da guadagnare, visto com’è andata a tutti coloro che ci hanno provato prima). Altrimenti, ogni inquietudine sarà più che giustificata. In compenso, sono ben felice di riconoscere che il tentativo di sbarrare a Matteo Salvini la via del ministero degli Interni è un segnale decisamente incoraggiante. Se all’indomani di un’eventuale vittoria del centrodestra il Viminale non andrà al leader della Lega, ma a un qualsiasi altro esponente della coalizione che non ne faccia il palcoscenico di una propaganda violenta e antistituzionale, bisognerà dare atto a Meloni di avere compiuto un passo importante, anche nell’ottica di quella normalizzazione dei rapporti tra gli schieramenti invocata da Crosetto. Tra l’altro stiamo aspettando di vedere scritto nero su bianco questo punto nel programma del centrodestra: se non verrà scritto, avremo il primo segno del commissariamento oppure la prima vera mossa di appeasement da parte di Meloni nei confronti di Bruxelles. La delega dei servizi segreti a Salvini sarebbe letta, nei Paesi occidentali, come un grave pericolo. Nessuno ha dimenticato di quando, con la faccia di Putin stampata sulla maglietta, andava in giro per il Parlamento europeo e sulla Piazza Rossa. A Mosca si sentiva a casa, quasi meglio delle luci a San Siro. Indimenticabile l’accordo politico di collaborazione tra la Lega e Russia Unita, il partito fantoccio di Vladimir Putin, con il quale abbiamo in sospeso qualche problema militare, di intelligence, di inquinamento informativo, di condizionamento elettorale, di agenzia viaggi presso l’ambasciata russa a Roma che aveva pagato all’amico leghista il biglietto per Mosca. Lasciamo perdere cosa sia successo nelle ore in cui Salvini e Berlusconi hanno deciso di accoltellare Draghi, il più lucido e avanzato premier nel conflitto ucraino. Non possiamo lasciar perdere invece cosa succederebbe se i servizi fossero in mano a un leader che vuole la pace con Putin, e che la pace la vuole solo alle sue condizioni. C’è questo, e non solo, dietro l’insistenza del capo leghista sull’indicazioni di alcuni ministri e sul rinvio della questione da parte di Meloni. «Vedremo. Dipende da quanti voti prenderanno i singoli partiti, al massimo possiamo indicare i ministri degli Esteri e dell’Economia per dare rassicurazioni». È quello che si sente dalle parti di via della Scrofa. Già, la Farnesina. Tutti sanno che a quella poltrona punta Antonio Tajani, legato a doppio filo al Ppe di Weber. Di quel partito che è fuori da tutti i governi europei di un certo peso e che vagheggia un premier italiano della sua famiglia. Se non potrà averlo, e non l’avrà, almeno agli Esteri un amico fidato lo vogliono per stringere in un fianco Meloni. L’altro fianco, oltre a quello degli Interni. Insomma, un vero tentativo di commissariamento. Se poi verrà messo un tecnico all’Economia, come fu il professor Giovanni Tria nel 2019, l’operazione è completa. Riusciranno i nostri “errori” a “sterilizzare” la leader di Fratelli d’Italia, a loro vantaggio? A “esorcizzare” Io sono Giorgia? Personalmente ho molti dubbi. Anche perché lei ha capito la trappola, si sta riposizionando, manda messaggi rassicuranti sui conti pubblici, frena l’assalto sugli scostamenti di bilancio, vuole vederci chiaro sulle coperture per i mille euro ai pensionati di cui parla il mai pensionato ma ripetitivo Berlusconi, boccia la flat tax. Chiede a Draghi, quali Ministri (senza partito, ma con portafoglio) dell’attuale governo, potrebbe far parte del suo futuro esecutivo. Cingolani e Panetta sono i ministri suggeriti da Draghi. Una telefonata subito dopo le dimissioni del premier e su richiesta della leader di FdI, Draghi il premier avrebbe (ammesso ma non concesso che vinca le elezioni). Poi c’è un nome che “Io sono Giorgia”, non vuole scrivere nella lista dei suoi ministri, quello di Licia Ronzulli, che considera la quinta colonna di Salvini ad Arcore e che le ha remato sempre contro. Non è un caso se durante il programma di La7 Corsa al voto, Ronzulli abbia frenato: non è ancora detto chi farà il premier, si vedrà alla fine se Meloni avrà più voti degli altri. E alla domanda se nel conteggio ci sarà il trucco di sommare i voti di Forza Italia a quelli della Lega, Ronzulli, non ha risposto. Anzi è sembrata abbastanza imbarazzata. Anche nel Centrodestra, i rapporti tra i partiti che lo compongono sono tutt’altro che chiari e tranquilli e credo che nella campagna elettorale ne vedremo delle belle… come d’altronde vedremo quelle del Centro doppio trattino Sinistra tutte quante ci faranno ridere o piangere, a seconda di quanto lungo sia il pelo sullo stomaco…

E’ sempre tempo di Coaching! 

Se hai domande o riflessioni da fare ti invito a lasciare un commento a questo post: sarò felice di risponderti oppure prendi appuntamento per una  sessione di coaching gratuito

 

 

0

Aggiungi un commento