Politica & Coaching: talento e politici è un binomio possibile?

La parola talento è una di quelle molto usate e spesso abusate negli articoli dei giornali, sui social media e nel linguaggio comune. È importante quindi andare a darle un significato e dei connotati ben precisi in modo da avere dei parametri di riferimento quando andiamo a definire le persone di talento in linea con la nostra concezione. Il primo mito da sfatare è quello del talento innato, purtroppo è ancora diffusa la convinzione che i grandi atleti, gli artisti più significativi, gli scienziati a cui dobbiamo scoperte e studi importanti siano nati con un corredo genetico particolare che ha permesso loro di affermarsi e passare alla storia. Gli studi più recenti di genetica, psicologia e antropologia hanno dimostrato infatti che il talento è una conquista a cui si arriva con un percorso che parte da una passione che si sceglie di coltivare, a cui ci si dedica con impegno e costanza, affidandosi a maestri, allenatori e coach con i quali stabilire l’allenamento intenzionale. Questo particolare tipo di allenamento teorizzato da Anders Ericsson  (uno psicologo svedese e insegnante della Conradi Eminent Scholar nonché professore di psicologia presso la Florida State University, riconosciuto a livello internazionale come ricercatore nella natura psicologica delle competenze e delle prestazioni umane) implica una volontà stabilita e costante nell’estendere le proprie capacità e competenze, attraverso il raggiungimento di obiettivi specifici, organizzati in un programma di lavoro, a cui dedicarsi con grande attenzione, concentrazione e perseveranza. Comprende inoltre la domanda di feedback da parte di allenatori, maestri e coach per modificare l’impegno, aggiustare il tiro e superare i limiti e le criticità. A suo dire: “L’acquisizione del talento implica inoltre un contesto che fornisca opportunità di apprendimento e di crescita, una vocazione, individuata in un sistema simbolico definito, che si realizzi esprimendo il nucleo più autentico di sé, e che in tal modo fornisca quell’energia vitale indispensabile ad affrontare la fatica dell’allenamento intenzionale e la delusione per gli errori e fallimenti, e una tensione all’auto-superamento per tendere a risultati sempre più elevati”.  Quindi ogni essere umano è dotato di un potenziale che può essere allenato e sviluppato, se lo desidera e sceglie di farlo. Per definire un talento umanista, Luca Stanchieri noto Coach aggiunge poi che:  “…oltre ad essere scelto, deve far felice non solo chi lo incarna e lo persegue, ma anche le altre persone che direttamente o indirettamente ammirano, apprezzano e traggono godimento dall’espressione del talento. E infine che nel suo sviluppo il talento sia armonico con le altre aree dell’autodeterminazione, nel senso che non si può parlare di talento umanista se, per esempio, per diventare un professionista o un artista eccellente sacrifico la cura di me o le mie relazioni”.  Individuare autentici talenti in campo artistico, sportivo o scientifico è più facile a posteriori. Andando a vedere i risultati e le biografie dei grandi possiamo vedere come le loro passioni siano state alimentate e perfezionate attraverso studi e esperienze continuamente ricercati e assimilati con impegno e dedizione. La bellezza di un’opera d’arte, la straordinarietà di un gesto atletico, il miglioramento per la qualità della vita di una scoperta scientifica ci affascinano, suscitano la nostra ammirazione e possono diventare fonte di ispirazione per ciascun essere umano. Non dobbiamo tuttavia fermarci ai risultati, pensando che abbiamo a che fare con dei geni, è indispensabile andare a studiare il percorso che ha permesso la realizzazione di quei risultati, per capire quanto impegno, fatica, perseveranza e determinazione siano stati necessari. Allenando la nostra osservazione in questa direzione possiamo individuare anche tra i contemporanei chi ha scelto e persegue un percorso di allenamento per il talento. Quando siamo rapiti dalla grazia, leggerezza e al tempo stesso potenza di un’esibizione di Roberto Bolle, oppure ci entusiasmiamo per un dritto lungolinea di Alcaraz o Sinner (o come ci entusiasmavamo fino a poco tempo fa per Feder o Nadal) che va a colpire l’angolo preciso dell’incrocio delle righe anche se sembrava impossibile riuscire a farlo, o siamo ammirati e riconoscenti per le scoperte innovative in campo oncologico di Roland Levy e del suo team di ricercatori della Standford University, provate a immaginare quante ore di esercizio alla sbarra e di prove Bolle si sia sottoposto per raggiungere quell’armonia, e a quante migliaia di palle Federer, Nadal e i neocampioni Alcaraz e Sinner abbiano colpito da tutte le posizioni per ottenere quella precisione di tiro, e infine a quante ore di lavoro, tentativi falliti, sperimentazioni, test, prove e verifiche siano state necessarie per individuare una nuova frontiera per la cura dei tumori,  che da noi ha condotto e fatto Paolo Veronesi, figlio del più noto oncologo Umberto Veronesi. È veramente riduttivo limitarsi a correlare i successi ottenuti a una predisposizione naturale, senza considerare l’immenso lavoro che sottostà e determina i risultati eccezionali. Inoltre, è anche dannoso perché costituisce un alibi per deresponsabilizzare e giustificare scelte di disimpegno da parte di chi decide di arrendersi alla prima difficoltà e si arrocca nella routine e nella sua zona di comfort, ma pensando che il fato non gli aveva destinato i geni adatti a fare grandi cose. Si può essere persone di talento anche senza avere un riconoscimento pubblico di grande ampiezza, come i personaggi citati. Lo verifichiamo con alcuni dei clienti che seguiamo nei percorsi di coaching e che vediamo fiorire nelle loro attività e relazioni, medici, insegnanti, artigiani, imprenditori, coach, genitori… ma i politici?  Loro hanno questo desiderio di allenamento al talento? Per capire se in Italia, in questo preciso momento storico, abbiamo dei politici di talento, nel senso che a riguardo dall’incipit di questo post, ci aiutiamo con una serie di dati che emergono dal libro “La grande ignoranza “ di Irene Tinagli (scritto quando non era ancora uno sei vicesegretari del Pd di Letta e si occupava di Lavoro e cultura d’azienda) e che sono tratti da un database costruito mettendo insieme fonti diverse ma tutte di grande serietà e attendibilità. Cominciamo a definire quelle che dovrebbero essere le caratteristiche di un politico, che chiaramente non sono derivanti da un percorso formativo standard, ma che dovrebbero partire da una base di buona cultura generale. Competenze di tipo gestionale e organizzativo, competenze tecniche specifiche, affiancate da capacità relazionali. Affiancate da capacità relazionali e comunicative, indispensabili per coinvolgere e persuadere, ma anche negoziare e trovare accordi. Il tutto sostenuto dal desiderio di mettersi a disposizione della comunità per favorirne la crescita e il benessere. Non sono stati fatti molti studi per individuare quali competenze specifiche sarebbero necessarie per un politico, ma nei primi anni Duemila una ricerca empirica sui candidati del partito conservatore inglese ha evidenziato come il pensiero critico, cioè la capacità di processare e comprendere una gran mole di dati, farne sintesi ed elaborare soluzioni, fosse la competenza più apprezzata dagli elettori. Per misurare l’attitudine al pensiero critico, si può fare riferimento ad alcuni indicatori di performance scolastica che sono stati rilevati da alcune ricerche come correlati a quella capacità. Possiamo quindi dare una valutazione positiva all’istruzione, in termini di competenze per esercitare adeguatamente attività politica. Nel Parlamento italiano attuale il solo 70% dei deputati è in possesso di una laurea, di cui l’11% ha una specializzazione post-laurea, e rarissimi sono quelli che hanno fatto esperienze di studio all’estero. È noto però che un titolo di studio non è indispensabile per essere competenti; infatti, in certi casi l’esperienza maturata sul campo si esprime in capacità e abilità specifiche in determinati settori, che costituiscono un grande valore per partecipare e influire sui processi legislativi. Andando a rilevare l’esperienza lavorativa prima dell’elezione nel nostro Parlamento, la professione più rappresentata è quella dei funzionari di partito e di politici a vario livello, seguiti da manager, imprenditori e professionisti di vari settori, quindi è adeguata all’area delle competenze assunte operativamente, tuttavia il dato più caratteristico di questa ultima legislatura è una forte presenza di persone che prima di entrare in Parlamento non avevano alcuna occupazione o che avevano un reddito molto basso legato ad attività saltuarie. Riguardo ai parametri dell’istruzione, della formazione, degli approfondimenti teorici e delle specializzazioni non sembra che i politici attuali abbiano una forte tendenza all’allenamento del talento, anzi se si va a confrontare i dati attuali con quelli delle prime legislature si può verificare come il livello d’istruzione dei parlamentari sia fortemente calato mentre quello della popolazione è molto cresciuto. Senza contare che i maggiori partiti avevano delle eccellenti scuole di formazione, adesso chiuse, per preparare i propri candidati, che giungevano così con una preparazione specifica anche rispetto alle procedure e all’apparato statale. C’erano inoltre scuole e istituti di formazione presso i corpi intermedi (sindacati, unioni industriali, rappresentanze del commercio e dell’artigianato…) che contribuivano ad elevare il livello di preparazione degli associati con aspirazioni alla politica. Andando poi a valutare le esperienze e le competenze acquisite sul campo viene spontaneo chiedersi quanto sarà capace di esercitare in maniera efficace la funzione legislativa chi non è stato in grado di esprimere una professionalità spendibile nel mondo del lavoro, anche in questo caso, non sembra proprio che il concetto di allenamento del talento sia stato preso in considerazione. Un altro dato che appare piuttosto preoccupante: i partiti non operano una selezione privilegiando esperienze e competenze per i loro candidati, e successivamente tra gli eletti per individuare i possibili ministri, in quanto tendono a dare la massima importanza alla fedeltà al partito e all’abilità politica. Il loro atteggiamento risulta quello di chiudersi e trincerarsi per affrontare la notevole complessità politica ed economica che stiamo vivendo, scegliendo persone fedeli e controllabili, piuttosto che persone con capacità tecniche e pratiche sperimentate. Questo tipo di scelta non facilita l’allenamento del talento nei politici, anche quando ce ne fosse l’aspirazione. Nemmeno coloro che hanno dimostrato una serietà e una dedizione al loro ruolo di rappresentanti politici, con una presenza costante in Parlamento e la presentazione di un alto numero di proposte legislative trovano riconoscimento del loro operato con una nuova candidatura, anzi pare vero il contrario. Vengono infatti privilegiati gli assenteisti che dedicano buona parte del loro tempo ad apparire in tv o sui social media, avendo così modo di alimentare il consenso anziché occuparsi dei lavori parlamentari. Purtroppo, questo non premiare il merito, le competenze, le esperienze è un dato che dura da decenni e non è cambiato nemmeno in queste ultime legislature che si palesavano apparentemente come paladine dell’innovazione e del cambiamento, ma hanno pagato e fatto pagare a caro prezzo il limite dell’improvvisazione e della mancanza di una visione competente di come realizzare l’innovazione e il cambiamento. Questa tendenza alla mediocrità, al tendere verso il basso invece che impegnarsi e permettere la crescita del paese non può che riversarsi negativamente in tutti gli ambiti della società, andando ad appiattire e ingrigire anche i settori che in precedenza erano ritenuti delle eccellenze. Penso alla scuola, all’università, alla sanità, all’imprenditoria. La scuola, in primo luogo, ambito che riteniamo di vitale importanza per la salute e la crescita del paese, sta naufragando ed è tenuta a galla solo dalla buona volontà, dalla passione e dall’impegno di alcuni insegnanti che si prodigano per sopperire alla mancanza di una legislazione che promuova la formazione eccellente delle nuove generazioni ispirata ai concetti più avanzati della pedagogia. Abbiamo una percentuale di abbandono scolastico del 14% tra le più alte in Europa, e il 28% di Neet, giovani trai 18 e i 34 anni, che non studiano, non lavorano e non frequentano tirocini, che è la più alta d’Europa. Dobbiamo condividere il parere di coloro che ritengono questa induzione alla mediocrità come una strategia ben precisa da parte della classe dirigente politica per mantenere uno status personale privilegiato? Cosa possiamo proporre come coach umanisti che hanno radicata una tensione affermativa e hanno a cuore la crescita e lo sviluppo della società in generale e della propria comunità in particolare? Quello che ci proponiamo è di ripartire dalla visione, dal significato profondo di fare politica, dall’incarnare una leadership di servizio che favorisca la crescita di tutta la popolazione, che permetta l’accesso all’istruzione e alla cultura a tutti, avendo però il coraggio di dare a questi elementi contenuti e modalità innovative in modo che il sapere non sia un’etichetta esterna, ma un patrimonio da mettere a frutto per la propria realizzazione e quella degli altri. Che favorisca il fiorire di iniziative sia di natura economica che artistico/culturale. Che tenga alla salute e il benessere psicofisico della popolazione. Che sia in grado di ideare e realizzare progetti di largo respiro sia a livello nazionale che internazionale uscendo dalla logica miope della chiusura e del campanilismo. Per tutto questo serve passione ma anche formazione e competenza, da arricchire continuamente con impegno, determinazione e lo sguardo sostenuto e fisso alla meta ideale. Avremo finalmente politici di talento? Non è certo. Ma resta una necessità non rinviabile e non può rimanere un semplice nostro augurio e speranza…

E’ sempre tempo di Coaching! 

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