Politica: Dopo la strage di Cutro, la difesa di Piantedosi in Parlamento ha usato argomenti che sono persino peggiori dei suoi sproloqui. Si chiude così, la penosa stagione del salvinismo come ideologia…

Se si ammette che i naufraghi di Cutro avevano diritto di fuggire dal proprio paese e cercare riparo qui, aggiungere che per risolvere il problema bisogna fermare gli scafisti è un grottesco gioco delle tre carte. E’ come se il palazzo in cui vivete va a fuoco, con voi intrappolati dentro con tutti gli altri condomini e che nessun pompiere venga a salvarvi. Arriva in compenso una banda di trafficanti, che per aiutarvi chiede però in cambio un sacco di soldi. Non avendo alternative, pagate e venite portati fuori, ma non tutti: molti vengono lasciati indietro o addirittura gettati dalle finestre, perché la banda di trafficanti è per l’appunto una banda di trafficanti, mica la Croce Rossa, e si preoccupa anzitutto di sfuggire alla polizia (che seppure in ritardo almeno ha provato ad avvicinarsi, al contrario dei pompieri). Immaginate che sia accaduto tutto questo, e che di fronte a una simile tragedia la reazione del governo consista nel dire che per impedire nuove tragedie bisogna fermare i trafficanti, stroncare l’attività dei trafficanti, alzare le pene contro i trafficanti. Per quanto possiate detestare chi vi ha ricattati e derubati nel momento in cui eravate più indifesi, non trovereste assai singolare una simile reazione? Eppure, cambiando quel che c’è da cambiare, è esattamente la logica dei discorsi ossessivamente ripetuti dalla destra-centro in questi giorni? Nel goffo tentativo di rettificare le disumane dichiarazioni del ministro Piantedosi sui genitori: “responsabili di mettere a rischio la vita dei propri figli” (di chi parla? Dei superstiti del naufragio di Cutro, o forse direttamente dei morti?), la maggioranza di governo ripete che quelle persone avevano tutto il diritto di scappare, trattandosi in buona parte di donne e bambini afghani, ci mancherebbe altro: ma, il problema sono i trafficanti, sono loro i responsabili di tutto e dunque sono loro che vanno fermati. Forse, se si fosse trattato di un incendio nel centro di Roma o di Milano, se i superstiti si fossero chiamati Rossi o Brambilla e se fossero stati loro a denunciare in TV la mancanza di soccorsi, in pochi avrebbero osato accusarli di diffamare i vigili del fuoco. Ma soprattutto a nessuno sarebbe saltato in mente di dire che per risolvere il problema bisognava impedire alla criminalità organizzata di sostituirsi ai pompieri. Perché tutti avrebbero pensato immediatamente che ci fosse un modo semplicissimo di impedirlo. Dunque, sono in primis gli errori di Salvini leader leghista sul naufragio che decretano lo sgretolamento di questa sua narrazione fondata sull’opposizione amico-nemico in base all’etnia, sui respingimenti, sull’aiutiamoli a casa loro… Esattamente un anno fa, il 9 marzo 2022, un politico italiano rimediava una figuraccia mondiale in una cittadina polacca, Przemys, al confine con l’Ucraina, dove si era recato per fare un po’ di propaganda a buon mercato ma era stato respinto sdegnosamente dal sindaco che gli smontò il giocattolino retorico ricordandogli la sua amicizia con Vladimir Putin. Quel politico era proprio lui, Matteo Salvini. Aveva già imboccato una parabola discendente che lo avrebbe poi portato alle politiche di settembre a racimolare un otto per cento piuttosto triste a paragone di precedenti successi (addirittura il trentaquattro per cento alle europee del 2019). Ma oggi il capo leghista è in una condizione ancora peggiore. A parte la totale irrilevanza della sua presenza al ministero delle Infrastrutture (siamo ai livelli di Danilo Toninelli), sta crollando il tetto di bugie e grossolanità che gli ha garantito sin qui sonni tranquilli nella bottega del potere. La strage di Cutro ha cambiato ulteriormente e definitivamente la percezione dell’opinione pubblica circa la questione dell’immigrazione, il suo cavallo di battaglia. Le chiare responsabilità dello Stato per la morte di settantadue persone hanno aperto con una forza mai vista prima la piaga della colpa che tutti i cittadini di questo Stato provano dinanzi a quelle bare (quelle bare con cui ancora ieri il governo sta pasticciando (mandarle a Bologna – con le spese a carico dei famigliari), come ultimo oltraggio alla civiltà). Lo Stato, tramite il governo, non ha mostrato il necessario grado di compassione né avvicinato di un millimetro la verità su quanto è effettivamente accaduto, e soprattutto su quanto non è accaduto, nel mare calabrese. Ma la gente ormai, sembrerebbe aver capito una cosa: le persone in pericolo in mare, vanno sempre salvate, altro che «stiano a casa loro», e chi se ne frega dei decreti e delle catene di comando, dei commi e delle gerarchie: è per questo che nella coscienza del popolo prevale la solidarietà laddove fino a qualche tempo fa dominava l’egoismo. Oggi chi griderebbe a squarciagola lo slogan salviniano «prima gli italiani» che pure è risuonato per anni nelle periferie delle nostre città? Accolti migliaia e migliaia di donne, uomini, vecchi e bambini dalla martoriata Ucraina, gli italiani hanno capito meglio che aprire le porte si può fare, si deve fare. Secondo le regole, i disperati di tutto il mondo possono venire qui, migranti che scappano dalla guerra ma anche quelli che fuggono dai disastri ambientali (lo ha chiarito bene la giurista Vitalba Azzollini su Domani), dalle malattie, dalla fame, e questo è quanto. Dalle balzane idee di blocchi navali e muri da erigere il dibattito si sta spostando su “come” accogliere chi ne ha diritto, come salvare da morte sicura chi è in mare verso le nostre coste e come aiutare a darsi una formazione ai migranti che vogliono lavorare – ora tutti dicono a voce alta quello che qualunque vicino di casa sa da tempo, che gli immigrati sono decisivi per le nostre aziende, per i nostri anziani, per i nostri malati. D’altronde quante generazioni di italiani sono state loro: immigrati ad andare nel Mondo, per sfuggire dalla miseria e/o a diritti incerti quando non negati? La strage di Cutro è la fine del salvinismo come ideologia, cioè marxianamente come falsa coscienza. È il crollo di un armamentario politico fondato sull’opposizione amico-nemico in base all’etnia, al colore della pelle, in una parola sul razzismo. È Matteo Salvini (e chi lo ha coperto, come il suo ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte e la sua attuale presidente del Consiglio Giorgia Meloni) il responsabile della politica dei «dajé all’immigrato», dei respingimenti, della presunta «salvaguardia delle nostre coste». Ora che il vento sta cambiando Meloni certo non può mollare ma nemmeno sorreggere il vicepremier leghista e il suo amico Matteo Piantedosi che barcollano sotto il peso della storia. L’unità della maggioranza è solo di facciata, e non sarà una inutile passerella del governo a Cutro a fargli recuperare la stima dei calabresi e degli italiani tutti, né basterà indurire le pene per gli scafisti – fosse questo il problema – per uscire dal pozzo nero in cui il governo Meloni-Salvini è caduto. Il Paese ha visto e ha capito…

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